Testimonianza: i falsi o indotti ricordi non sono contemplati (di Riccardo Radi)

La prova regina per l’accertamento processuale è la testimonianza, la cosiddetta prova diretta o rappresentativa.

Il testimone viene valutato affidabile dal giudice e di conseguenza dalla sua testimonianza si ricava la prova diretta della responsabilità dell’imputato, tutto molto bello ma chi assicura che il ricordo del teste non sia stato indotto (in)consapevolmente o sia un falso ricordo?

Lo studio del funzionamento della memoria e del recupero e costruzione-ricostruzione dei ricordi trova difficilmente ingresso nel processo per inerzie difensive e per principi giuridici che non prendono in alcuna considerazione che: “La testimonianza non è una fotografia esatta di ciò che ha vissuto il teste e i suoi ricordi non costituiscono contenuti obiettivi e inalterati della realtà”.

Il tema dei falsi ricordi o, meglio, del testimone inconsapevolmente indotto trova scarsa considerazione nel nostro ordinamento che è ormeggiato placidamente, da tempo immemore, sulla verifica dell’attendibilità del testimone, che deve essere incensurato e non avere motivi di mentire perché non portatore di interessi o astio nei confronti delle parti.

Quante volte leggiamo nelle motivazioni delle sentenze di condanna: “Occorre premettere che si è in presenza di un processo basato una prova diretta insita nelle dichiarazioni del testimone P.P. il quale avendo assistito agli accadimenti della sera del …. (o almeno a gran parte degli stessi) ha consentito, con la sua testimonianza, di ricostruire il fatto-reato e di individuarne l’autore

Tutto molto chiaro e semplice ma siamo sicuri che il ricordo del testimone sia la fotografia di quanto accaduto?

Le neuroscienze mettono in guardia da tempo ma gli attori del processo (avvocati, giudici e pubblici ministeri) sono imbrigliati a principi e criteri datati per verificare l’attendibilità del testimone o, meglio, la veridicità della sua testimonianza.

Recentemente abbiamo pubblicato: Testimonianza: criteri per la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni (di Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA

In questa sentenza numero 10600/2024, la Cassazione in tema di valutazione della prova testimoniale indica i criteri da adottare da parte del giudicante per verificarne l’attendibilità.

La Suprema Corte ha indicato che in tema di valutazione della prova testimoniale, non sono necessari riscontri esterni, dovendo il giudice limitarsi a verificare l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni, avuto riguardo alla loro logicità, coerenza e analiticità, nonché all’assenza di contraddizioni rispetto ad altre deposizioni o ad altri elementi concretamente accertati con caratteri di certezza – sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri (principio di affidabilità) e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo (principio di normalità), specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri (principio di responsabilità)”.

Questi criteri fanno affidamento sul fatto che il teste sia in posizione di “terzietà” e non abbia interesse a mentire, non si prende mai in considerazione che si possa mentire inconsapevolmente o perché indotti a farlo o perché portatori di falsi ricordi.

Anche noi avvocati difficilmente procediamo ad una profilazione dei testi dell’accusa e quando procediamo ci scontriamo con dei blocchi mentali non indifferenti.

Faccio un esempio concreto, nell’ambito di un procedimento per atti persecutori mi rendo conto, esaminando gli atti, che la persona offesa tende ad amplificare e distorcere gli accadimenti.

Cerco di avere notizie sulle condizioni psicologiche e psichiche della stessa e nell’ambito delle indagini difensive vengo a conoscenza che le stessa è in cura presso il reparto di Neuroscienze e salute mentale di un policlinico.

Con difficoltà riesco a far acquisire al pubblico ministero, ai sensi degli artt. 391 quater e 367 c.p.p., “la documentazione medica in possesso dell’INPS e del policlinico …” ed emerge che tra le varie patologie riscontrate c’è una sindrome rara che comporta anche “stati confusionali e deficit di memoria … sensibilità alla repulsione interpersonale”.

Nel corso del processo, dopo aver acquisito la documentazione medica chiedo al giudice di voler disporre una perizia che valuti la possibile incidenza delle patologie e dei medicinali assunti all’epoca dei fatti della persona offesa sul contenuto dei suoi ricordi e di conseguenza della sua testimonianza.

Apriti cielo!

Ho bestemmiato senza saperlo e vengo investito dalle contumelie del collega di parte civile e il giudice mi ammonisce di non proseguire su questa linea.

Non mi soffermo sugli sviluppi processuali, l’esempio mi è solo servito per rappresentare la possibile incidenza, di patologie o medicinali assunti, sui ricordi di un testimone.

Questa è la situazione attuale salvo meritevoli eccezioni.

Rimaniamo ancorati a stantii principi che riguardano la mancanza di rancori o interessi del teste senza mai voler provare ad andare oltre.

Ricordiamo sul tema il pregevole lavoro “La memoria, il trauma e i falsi ricordi: da Freud a Loftus”.

Tuttavia, nella terapia e nella psicologia giuridica lo studio dei meccanismi che stanno alla base della falsa memoria costituirebbero elementi fondamentali per la creazione di una comune intenzione, quella di comprendere le dinamiche che regolano il recupero dei ricordi e dei processi che mediano i rapporti tra memoria e suggestionabilità.

Il processo di comprensione e di analisi del funzionamento mnestico, nei due ambiti, avviene con diverse metodologie e procedure di lavoro, entrambi, però, richiedono un’adeguata formazione professionale e personale e la consapevolezza dei potenziali danni che derivano dalla non conoscenza degli effetti suggestivi che possono prodursi proprio all’interno della psicoterapia o degli interrogatori in sede legale.

Ci sembra opportuno soffermare l’attenzione sull’aspetto peritale, che in maniera ancora più evidente rispetto a quello terapeutico, è investito dalle implicazioni derivanti dagli studi sulla falsa memoria.

La consulenza in sede penale, in quanto indagine che ha come obiettivo prioritario il conseguimento di un giudizio su specifiche situazioni di natura legale, contiene in sé le medesime fasi di uno studio scientifico. Si parte, infatti, da un’ipotesi la cui veridicità deve essere dimostrata; si procede all’analisi degli eventi e delle circostanze in grado di convalidare o falsificare l’ipotesi, si giunge, infine, all’elaborazione dei dati e alla scrittura della perizia.

In questo scenario il testimone assume l’indispensabile funzione di strumento di misura, per mezzo del quale (insieme agli altri strumenti a sua disposizione), il giudice può valutare i fatti, le circostanze, le testimonianze e quanto il teste abbia registrato attraverso i propri sistemi sensoriali, elaborato cognitivamente a livello percettivo e richiamato o recuperato attraverso le abilità mnestiche.

Ma è proprio nei processi di riconoscimento e recupero che la dimensione giuridica assume una connotazione di aleatorietà; il testimone, pur configurandosi come strumento di misura, non risulta dotato di completa dignità scientifica.

La sua testimonianza non è una fotografia esatta di ciò che ha vissuto e i suoi ricordi non costituiscono contenuti obiettivi e inalterati della realtà.

Il primo passo da compiere è dunque valutare l’attendibilità del teste, accertando, inizialmente, la presenza o meno di alterazioni dei processi psichici in grado di interferire sulla precisione delle attività percettive, della conservazione e della rievocazione.

Il passo successivo consiste nel focalizzare l’attenzione sul contenuto specifico del racconto-testimonianza.

Entrano in gioco due fattori: l’accuratezza e la credibilità della testimonianza.

Il primo fattore è legato alla sfera del funzionamento percettivo, cognitivo e mestico. Sull’accuratezza del racconto influiscono diverse variabili, da quelle che interessano in maniera specifica la condizione del teste in quanto persona (età, sesso, presenza di eventuali deficit del funzionamento mentale, presenza di eventuali pregiudizi e stereotipi), a quelle variabili che invece si legano alla situazione oggetto della deposizione, quali lo stress, la possibile influenza di sostanze stupefacenti, la complessità dell’evento, il tempo intercorso dal fatto, le tecniche di interrogatorio, e tutta una serie di fattori che possono agire da interferenze al momento della percezione dell’evento, dell’immagazzinamento, del recupero della “memoria” e della riproduzione del ricordo.

La credibilità del testimone interessa, invece, aspetti di natura più specificamente motivazionale. Questa dimensione è legata non solo alla prospettiva del testimone, che focalizza l’attenzione sui comportamenti adottati con lo scopo di risultare convincente, ma si lega anche alla prospettiva dell’ascoltatore, che esamina i diversi meccanismi messi in atto da chi valuta l’accettabilità del teste e dei suoi racconti.

Nella prospettiva del testimone è fondamentale la fiducia che lui stesso ripone nel proprio ricordo; spesso anche in assenza di dati certi che ne confermino il contenuto, la fiducia manifestata sembra suggerire la direzione per valutare come attendibile o meno una testimonianza.

Dal momento che un elevato grado di certezza nella propria memoria, alla luce di quanto esposto, può essere infondato è evidente come tale valutazione possa essere facilmente contaminata da fattori non oggettivi. Infine, la dimensione dell’ascoltatore può essere contaminata o influenzata dalle convinzioni che l’ascoltatore stesso ha; tali convinzioni possono spaziare dal comune pregiudizio nei confronti di una determinata situazione, alle personali opinioni circa il funzionamento dei processi mnestici e le condizioni ideali per favorire il recupero di uno specifico ricordo”.

Per la lettura dell’intero lavoro: https://lumsa.it/sites/default/files/UTENTI/u%5btoken_custom_uid%5d/falsi%20ricordi%20zammitti%20mannino.pdf

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