Detenuto e condizione carceraria degradante: quando una porta amovibile fa la differenza (di Riccardo Radi)

Un bagno alla turca a vista “separato” da una porta amovibile rende salubre l’ambiente detentivo e garantisce la riservatezza del detenuto: è questa l’ultima perla della nostra Suprema Corte in tema di condizioni di vita dei detenuti.

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 9672/2024, ha ad oggetto l’ennesimo caso di trattamenti non ritenuti degradanti con l’uso di formule astratte e ragionamenti bizantini che enfatizzano la presenza di una porta amovibile che “delimita” il cesso dall’ambiente della cella per scrivere che tutto ciò: “esclude la lesione del diritto alla riservatezza, così come quello alla salubrità dell’ambiente”.

Quanto mi piacerebbe che per almeno tre giorni, non di più, chi ha teorizzato tale concetto provasse in concreto cosa significhi.

Vicenda giudiziaria

Con l’ordinanza impugnata, il tribunale di sorveglianza [segue l’indicazione della sede] ha rigettato il reclamo avverso il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza in sede, in data 21 marzo 2022, ha respinto il reclamo ex art. 35-ter Ord. pen., avanzato da [segue il nome dell’interessato] in relazione ai periodi di detenzione sofferti presso l’istituto di penale [segue il nome dell’istituto].

Il magistrato di sorveglianza aveva respinto il reclamo per ciò che qui interessa, in primo luogo confermando la correttezza dei criteri di computo dello spazio individuale in cella collettiva, concludendo che l’istante ha, nei periodi in contestazione, fruito di uno spazio superiore a tre metri quadrati, avuto riguardo a quanto risultante dalle relazioni trasmesse dagli Istituti penitenziari ed ai criteri indicati dalla giurisprudenza, in punto di computabilità dei letti a castello e degli arredi fissi, con esclusione di arredi quali bilancette, tavoli ed altri arredi. In secondo luogo, quanto ai fattori degradanti la detenzione, ha osservato come – con riferimento alla dedotta presenza nella cella singola di un bagno alla turca – essendo l’uso di tale servizio non promiscuo e separato dal resto della cella con una porta amovibile, tale dato non integrasse profili d’insalubrità, ma un mero indicatore da valutarsi nel complesso delle condizioni detentive che riteneva, dunque, non contrarie all’art. 3 della convenzione EDU.

Motivi di ricorso

Ricorre tempestivamente, avverso la descritta pronuncia, il condannato, per il tramite del difensore, [segue il nome del difensore] denunciando inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 3 CEDU, con correlato vizio di motivazione.

Deduce la sussistenza di tutte le condizioni per procedere al riconoscimento della detenzione non conforme e, senza avversare i criteri di calcolo dello spazio individuale da assicurare a ciascun detenuto, concentra le sue doglianze sulla mancata valutazione di ulteriori fattori negativi, diversi dal sovraffollamento, ma comunque idonei a configurare la violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU.

Segnatamente, lamenta l’erroneità della motivazione del provvedimento impugnato laddove trascura il rilievo di elementi obiettivi che – pur se non oggetto dell’originario reclamo – sono comunque transitati nel patrimonio conoscitivo del giudice specializzato attraverso le memorie; sotto questo profilo, censura il mancato rilievo attribuito alla limitata possibilità di fruizione delle e docce e delle luci (i cui interruttori allocati fuori dalla cella erano gestiti dal personale della Polizia penitenziaria). Ugualmente, lamenta – quanto alla detenzione presso il carcere di Poggioreale – la limitata possibilità di fruizione delle docce e l’esiguità del tempo da trascorrere all’esterno della cella.

Infine, si duole dell’illogicità della motivazione con la quale si è esclusa la rilevanza della presenza nella cella del bagno alla turca, non adeguatamente separato dal resto dell’ambiente, in evidente spregio dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 1 n. 13660 del 25.02.2022) in un caso del tutto sovrapponibile.

Richiesta del PG d’udienza

Il sostituto procuratore generale ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è infondato.

Com’è noto, il sistema di tutela a favore dei detenuti è stato rafforzato concretizzandosi in due azioni, autonome e complementari, disciplinate, rispettivamente, agli artt. 35-bis e 35-ter Ord. Pen., che consentono al detenuto di essere sottratto in modo tempestivo ad una condizione detentiva contraria al senso di umanità – per effetto di un intervento di tipo preventivo-inibitorio, con possibilità di esecuzione coattiva, in base all’art.35-bis – e, dall’altro, di conseguire un ristoro per la violazione già subita, grazie alla tutela risarcitorio-compensativa di cui all’art. 35-ter (il riferimento è al decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge del 21 febbraio 2014, n. 10 e al decreto legge 26 giugno 2014, n. 92 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117).

L’essenziale caratteristica dell’art. 35-ter Ord. pen. consiste nell’aver introdotto rimedi di tipo compensativo/risarcitorio, con estensione dei poteri di verifica e di intervento del magistrato di sorveglianza, allo scopo di rafforzare gli strumenti tesi alla riaffermazione della «legalità della detenzione».

Si tratta, in sostanza, di misure che rappresentano un quid pluris rispetto al previgente sistema di tutela, essenzialmente incentrato sul potere del magistrato di sorveglianza di inibire la prosecuzione dell’attività contra legem, in ottemperanza al monito derivante dalla Corte EDU di introdurre ricorsi tali «che le violazioni dei diritti tratti dalla Convenzione possano essere riparate in maniera realmente effettiva» (così, Corte EDU, 8/01/2013, Torreggiani ed altri c. Italia, §98).

Il legislatore ha perimetrato il pregiudizio risarcibile ai sensi dell’art. 35-ter al fatto di aver subìto «condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Ciò premesso, rileva la Corte come il tribunale di sorveglianza abbia fatto buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, costituzionale e convenzionale sul tema e ha mostrato di avere tenuto in considerazione tutti i lamentati motivi di disagio dedotti dall’interessato, ritenendoli – con motivazione non manifestamente illogica – non incidenti sulla decisione discrezionale ad essa spettante.

In primo luogo, ha correttamente posto in evidenza la circostanza, non avversata dal ricorrente, che il detenuto aveva sempre fruito di uno spazio superiore a tre mq.

A tal proposito va ricordato come, a seguito di quanto chiarito nella pronuncia della Grande Camera del 20/10/2016 nel procedimento Mursic c. Croazia, mentre la costrizione di un detenuto in uno spazio inferiore a tre metri quadrati in una cella collettiva determina una “forte presunzione” di violazione dell’art. 3 CEDU, uno spazio personale dentro la cella compreso fra i tre e i quattro metri quadrati può assumere rilievo nella prospettiva dell’art. 3 CEDU solo se l’esiguità della superficie si accompagna ad altri fattori di inadeguatezza del regime penitenziario (impossibilità di fare esercizio all’aria aperta, scarso accesso alla luce naturale e all’aria, insufficiente sistema di riscaldamento, omesso rispetto di basilari requisiti igienico-sanitari).

Infine, in presenza di uno spazio personale dentro la cella superiore a quattro metri quadrati, come quello che riguarda l’odierno ricorrente, ai fini dell’eventuale violazione dell’art. 3 CEDU, assumono rilievo aspetti diversi da quello dello spazio. Sicché, sotto tale profilo, il Tribunale non ha trascurato le deduzioni difensive, ma ha, di contro, valutato le condizioni negative dedotte dal detenuto (limitata possibilità di uso delle docce, ridotta permanenza all’aria aperta, scarsa luminosità) e le ha reputate smentite dalle informazioni acquisite e, comunque, ha correttamente ritenuto che tali situazioni, ove esistenti, non si fossero tradotte nella sottoposizione del condannato a un trattamento disumano e degradante.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, la condizione detentiva contraria all’art. 3 della CEDU, a differenza dell’ambito di applicazione  dei rimedi preventivi di cui all’art. 35-bis, non è riconoscibile in presenza di una qualsiasi violazione dei diritti del soggetto detenuto, ma esclusivamente in caso di violazioni di tale entità da provocare ‘all’interessato un’afflizione che eccede l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione (tra le altre, Sez. 1, n. 20985 del 23/06/2020, Rv. 279220; Sez.1 n. 43722 del 11/06/2015; Sez. 1, n. 14258 del 23/01/2020, Rv. 278898 secondo cui, «In tema di rimedi risarcitori ex art. 35-ter Ord. pen., non costituisce trattamento inumano o degradante, rilevante ai sensi dell’art. 3 della convenzione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, la situazione di “mero disagio” collegata a contesti di vita intramuraria poco confortevoli o alla necessità di subire, per periodi non prolungati, disagi non previsti, né prevedibili, la cui rimozione richiede tempi di intervento non sempre programmabili».

Ciò coerentemente con il criterio della così detta soglia minima di gravità, costantemente utilizzato dalla Corte EDU per selezionare le condotte messe al bando ai sensi dell’art. 3 della Convenzione. Gravità non riconoscibile nella situazione complessivamente denunciata dal ricorrente.

Quanto allo specifico tema della presenza, all’interno della cella, di un bagno-doccia alla turca, il collegio intende dare continuità al principio di diritto espresso da questa Corte (Sez. 1, n. 15308 del 23/01/2019, non mass.) secondo cui «il periodo detentivo trascorso anche in camera detentiva singola, senza limitazioni di spazio vitale rilevanti, può rappresentare un concreto indicatore di trattamento degradante, da valutarsi nel complessivo contesto delle condizioni detentive».

E, in tale contesto, si è chiarito che l’assenza di un’effettiva e completa separazione tra il locale-bagno e il resto della camera detentiva «è fattore potenzialmente produttivo di un trattamento inumano o degradante – sia in camera detentiva singola (per questioni di decoro ed igiene, oltre che per la probabilità di osservazione dall’esterno di quanto accade nello spazio che dovrebbe essere riservato), sia in camera detentiva collettiva, se ed in quanto a tale condizione sfavorevole si associno altri aspetti negativi della complessiva condizione vissuta dal soggetto recluso» e che «non può, pertanto, omettersi la verifica del complesso delle condizioni detentive – ai fini di cui all’art. 35-ter ord. pen – lì dove risulti accertata, come nel caso in esame, l’esistenza del bagno “a vista” in camera detentiva singola» (Sez. 1, cit.).

Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale ha espresso le ragioni per le quali non si è ritenuto tale elemento di intollerabile afflittività, chiarendo che il bagnodoccia era separato dal resto della cella da una porta, sebbene amovibile, che – considerata unitamente all’ uso esclusivo del bagno da parte del ricorrente – escludeva la lesione del diritto alla riservatezza, così come quello alla salubrità dell’ambiente, il cui corretto mantenimento non era compromesso da fattori esterni.

Commento

Terzultima Fermata commenta spesso sentenze nate da reclami attinenti alle condizioni di vita dei detenuti.

Talvolta esprimono principi condivisibili (sempre più raramente) altre volte sono banali e noncuranti, (come quello in commento) altre ancora difendono pregiudizialmente posizioni francamente indifendibili dell’amministrazione penitenziaria avallate dalla magistratura di sorveglianza.

Comunque sia, quando una storia carceraria arriva all’attenzione della Cassazione, di solito è il frutto di un atteggiamento che nel detenuto vede soltanto un problema e un’esigenza di contenimento piuttosto che un essere umano.

Così è stato nel caso che si racconta in questo post: la solita vecchia storia di un detenuto costretto a vivere in condizioni subumane, muovendosi in uno spazio che assomiglia a una stia per polli e costretto ad andare in bagno senza un minimo di privacy e senza che sia garantita la salubrità della cella.

Le condizioni minime che valgono per tutti noi non valgono per i detenuti

Riportiamo Il nuovo schema di regolamento previsto dal “Decreto SCIA Bis” (222/2016) che ha integrato il Testo Unico Edilizia per quanto concerne il procedimento per il rilascio del permesso di costruire.

Requisiti dimensionali degli spazi di vita

L’art.7, ai commi 1 e 2, precisa che la progettazione dei nuovi insediamenti e delle riqualificazioni/rigenerazioni urbane devono garantire il completo benessere fisico, psichico e sociale degli occupanti.

Gli spazi di vita devono essere realizzati secondo le seguenti prescrizioni sanitarie:

prevedendo un dimensionamento dei locali, un volume d’aria e un ricambio d’aria idoneo a garantire un adeguato benessere psicofisico degli occupanti;

riducendo le disuguaglianze sanitarie e garantendo spazi abitativi minimi idonei a soddisfare le esigenze di privacy e benessere degli occupanti di ogni unità abitativa;

garantendo la completa arredabilità e accessibilità degli spazi come previsto dalla Legge 9 gennaio 1989, n. 13 (in materia di eliminazione delle barriere architettoniche);

nelle unità immobiliari deve essere garantita la presenza di spazi ad uso letto, soggiorno e almeno un locale destinato a servizi igienici.

Stanza da bagno

La stanza da bagno deve essere fornita di apertura all’esterno per il ricambio dell’aria o dotata di impianto di aspirazione meccanica.

Il rispetto dei requisiti igienico-sanitari nella progettazione e realizzazione degli interventi edilizi è importante sia per la relativa dichiarazione di conformità, che per il rilascio del certificato di agibilità del complesso edilizio o delle singole unità immobiliari che ne fanno parte”.

Quindi, ricapitoliamo, se sei detenuto una porta amovibile ti garantisce il completo benessere fisico, psichico e sociale mentre se sei libero …

Si provano molte sensazioni a leggere queste storie: compassione, sconcerto, rabbia.

Possiamo solo contribuire a denunciare questa vergogna di Stato per non doverci a nostra volta vergognare di avere taciuto pur potendo parlare.