La Camera penale di Milano scrive al Procuratore della Repubblica della sua città ed è bene che l’abbia fatto (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

È stata divulgata sui social, e volentieri contribuiamo anche noi, una lettera del direttivo della Camera penale “Gian Domenico Pisapia” di Milano (allegata alla fine del post) al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di quella città.

Lo scritto segue l’astensione dalle udienze proclamata dallo stesso organismo in data 4 marzo 2024 e serve a renderne pubbliche le motivazioni.

A ben vedere, e nonostante i toni garbati, si tratta di un vero e proprio cahier de doléance che elenca impietosamente le plurime e gravi criticità riscontrate dai penalisti milanesi nelle prassi della Procura con cui si interfacciano e, si potrebbe dire, nella “ideologia” di cui sono espressione.

Il primo addebito attiene al comparto dell’iscrizione delle notizie di reato e denuncia le singolarità della sua gestione.

Si accenna in tal caso ai “fascicoli contenitore in cui vengono convogliate nel tempo notizie di reato diverse a carico di una pluralità di soggetti e in cui sono operate iscrizioni anche a distanza di anni dall’iscrizione originaria, che di fatto comportano lo svolgimento d’indagini prolungate nel tempo (ben oltre i termini di durata massimi), spesso per reati tra loro privi di reale connessione, talvolta con l’uso di mezzi di ricerca della prova che sarebbero consentiti solo per alcuni dei reati iscritti.

Questi fascicoli, aperti alla ricerca di notizie di reato ad ampio raggio, comportano la titolarità, in capo a un singolo sostituto (o comunque a un pool di sostituti co-assegnatari), d’indagini ad ampio raggio, con deleghe a un’unica Polizia Giudiziaria e, sulla scorta delle regole tabellari, con un medesimo GIP (con la problematica, tutt’altro che secondaria, relativa alla corretta individuazione del giudice naturale)“.

Si richiamano anche, per immediata connessione, gli “stralci” che – si lascia intendere – sarebbero anch’essi parte della medesima patologia.

I penalisti milanesi chiedono al riguardo “un confronto, per valutare quali garanzie, in termini di assegnazioni e distribuzione dei fascicoli, siano in concreto previste per evitare prassi distorte che rischiano di creare “eterni indagabili” e, ci consentirà la metafora, “riserve di caccia”.

Si procede oltre e si menzionano i “possibili “conflitti d’interesse” del singolo pubblico ministero” intendendo per tali, nell’esemplificazione dello scritto, i casi “del singolo sostituto, che sia contemporaneamente parte di un processo e titolare di un fascicolo che riguardi ipotesi di reato legate a quel processo e, addirittura, indagini riguardanti un’altra parte di quel processo. Ciò, peraltro, in una situazione di forze impari, anche sul piano delle garanzie ordinamentali“.  

Si espone poi il disagio dovuto alla sensazione che “si stia consolidando una frattura che trova il proprio fondamento nelle numerose difficoltà che quotidianamente noi avvocati incontriamo nell’interlocuzione e nei rapporti con gli Uffici della Procura della Repubblica. Difficoltà, sintomatiche di un disinteresse – se non un malcelato fastidio – nei confronti del ruolo del difensore“.

I penalisti milanesi sostanziano tale sensazione con precisi riferimenti: “l’agenda elettronica per gli appuntamenti è utilizzata da pochissimi sostituti (ad oggi soltanto nove sono presenti nell’Agenda, di cui taluno senza alcuna disponibilità per gli appuntamenti); molti sostituti richiedono l’invio di una richiesta – talvolta addirittura motivata – a mezzo e-mail, che troppo spesso rimane priva di riscontro; si registra persino una certa indisponibilità da parte di alcuni magistrati ad una interlocuzione con i legali nel primo semestre di indagine“, ritenendo peraltro “inaccettabile che vi siano sostituti che ci fanno sentire ospiti sgraditi nei corridoi della Procura – ne sono prova alcuni cartelli affissi fuori dalle stanze che vietano di “disturbare” – mostrando così di non rispettare e non comprendere il ruolo del difensore” e segnalando “come sia particolarmente difficoltoso anche l’accesso alle segreterie della Procura della Repubblica: ogni ufficio ha modalità diverse per l’accesso degli avvocati (soltanto in alcuni orari, in giorni prestabiliti, previo appuntamento, etc.) e anche le e-mail spesso rimangono prive di riscontro“.

Si chiude infine con una robusta carrellata di difficoltà legate al contenuto del fascicolo informatizzato, alle modalità di accettazione dei mandati difensivi a mezzo portale, di accesso al fascicolo e così via.

A noi pare che questa lettera sia espressiva del modo migliore di intendere la rappresentanza associativa della difesa penale.

Ha il pregio della propensione al dialogo ed al confronto ma senza alcun connotato di acquiescenza e di subalternità.

Rivendica fieramente la rilevanza pubblica del ruolo difensivo e la necessità che sia condivisa dalla controparte accusatoria.

Soprattutto – è bene sottolinearlo – mette in guardia da gravi rischi ed indica la strada per prevenirli perché non si riproponga all’infinito la fenomenologia inaugurata al tempo di Mani Pulite allorché, come venne denunciato già allora e ribadito più recentemente nell’occasione del trentennale di quell’esperienza giudiziaria, saltarono le regole più basilari ed essenziali del giusto processo.

Se ci si pensa, infatti, ciascuna delle prassi stigmatizzate oggi dalla Camera penale milanese ha un suo identico contraltare in Mani Pulite: basti qui ricordare il procedimento contenitore con il corollario dell’assegnazione ad un solo giudice delle indagini preliminari delle migliaia di richieste cautelari presentate dal pool degli inquirenti  e l’annichilimento del ruolo dei difensori, un numero rilevante dei quali dovette accettare, sia pure obtorto collo e a fronte della soverchiante egemonia della Procura, di limitare i danni per gli assistiti piuttosto che difenderli con pienezza.

In conclusione, l’iniziativa dei penalisti milanesi merita di essere condivisa e sostenuta e come tale la proponiamo ai lettori.