In dubio pro “avvocato”: il principio di presunzione di non colpevolezza vale anche in sede disciplinare (di Riccardo Radi)

Avvocato inizialmente sospeso dall’esercizio della professione (per 18 mesi) e condannato in primo grado nel procedimento penale riesce a ribaltare la decisione avanti il CNF (sentenza numero 327/2023 pubblicata il 24 marzo 2024, consultabile a questo link) nonostante il fardello della pendenza.

Segnaliamo la sentenza per la sua novità in tema di “ragionevole dubbio” in sede disciplinare.

Il procedimento disciplinare è di natura accusatoria, sicché va accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale, di sospensione dall’esercizio della professione per anni 1 e mesi 6, allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta, per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l’insufficienza di prova su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell’incolpato, che pertanto va prosciolto dall’addebito, in quanto per l’irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all’incolpato l’onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale di verificare in modo approfondito la sussistenza e l’addebitabilità dell’illecito deontologico.

Fatto

L’ avv. [RICORRENTE], ritualmente rappresentato e difeso, ha proposto impugnazione avverso la decisione assunta nel procedimento disciplinare dal Consiglio di Disciplina di Roma, con la quale lo si è ritenuto l’avv. [RICORRENTE] responsabile dei fatti addebitati con il seguente capo di incolpazione: “Per aver – con le condotte di tempo e di luogo descritte nei capi d’imputazione formulati nel decreto del GUP di Roma del 18.5.2011 che disponeva il giudizio e successivamente indicati nella sentenza n. [OMISSIS]/2017 emessa dal Tribunale penale di Roma Sez. VI il [OMISSIS].2017 (da intendersi qui riportati e trascritti in quanto già noti all’incolpato stante la pendenza del procedimento penale attualmente in grado di appello: capi “a”-“b”-“c”-“d”) – in concorso con altri soggetti assunto un contegno non conforme alla probità, alla dignità ed al decoro professionale gravemente lesivo dell’affidamento presso la collettività, compromettendo altresì l’onore, il prestigio, l’immagine e le funzioni dell’intero Ordine Forense, in violazione dell’art. 38 I comma del RDL n. 1578/1933 (ora art. 3 Il comma della l.n. 247/12) nonché degli arti. 5, canone I, 6, 36 canone III del previgente CDF (ora rispettivamente artt. 4, Il comma, 9 e 23, V e VI comma, NCDF).

Con condotta di particolare gravità in considerazione delle sanzioni disciplinari precedenti in violazione dell’art. 2 del previgente CDF (ora art: 21 comma Il NCDF). Fatti commessi in Roma dal 2 aprile al 11 agosto 2009.

Intervenuta sentenza di primo grado del Tribunale di Roma VI sezione penale n. [OMISSIS]/2017 emessa il 21.2-8.3.2017 con condanna per il capo “a” alla pena di anni uno e mesi 8 di reclusione ed € 800 di multa (pena sospesa e non menzione), assoluzione ex art. 530 Il comma C.P.P. per i capi “b”,”c”, “d” (riqualificato nel reato ex art. 482 C.P.)» comminando la sanzione della sospensione dall’ esercizio professionale per anni uno e mesi sei.

Il procedimento disciplinare trae origine da una segnalazione della Procura della Repubblica di Roma, all’esito dell’apertura di un procedimento penale radicato a carico dell’avv. [RICORRENTE].

Oggetto del procedimento penale e, in particolare, dei capi di imputazione richiamati nel capo di incolpazione, come riportati nel corpo della decisione impugnata, erano le condotte relativa a:

A) truffa aggravata in concorso, con riferimento a vicende relative ad acquisti immobiliari, nelle quali l’avv. [RICORRENTE] assisteva le parti venditrici [AAA] e [BBB] nella trattativa per la vendita all’acquirente [CCC], dopo aver assistito e avendo quindi contezza di un precedente trasferimento del medesimo immobile, mediante cessione di quote societarie, da parte delle stesse parti venditrici, ad altro soggetto.

Per queste condotte l’avv. [RICORRENTE] è stato condannato con sent. Trib. Roma n. [OMISSIS]/2017 (impugnata dall’avv. [RICORRENTE] e non ancora decisa dalla Corte d’ Appello di Roma, giusta certificazione depositata dal difensore in corso di dibattimento) alla pena di anni uno e mesi 8 di reclusione;

B) falso, per aver formato atti falsi in relazione alla vicenda di cui al capo A). Per questa condotta l’avvocato [RICORRENTE] è stato assolto ai sensi dell’articolo 530, comma 2, del codice di procedura penale.

All’esito dell’istruttoria svolta in sede disciplinare, il CDD ha ritenuto provata la responsabilità dell’incolpato sulla base delle risultanze probatorie assunte in sede penale e respinta ogni difesa formulata dall’incolpato, ha irrogato nei suoi confronti la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per il periodo di anni uno e mesi sei.

Decisione:

Avverso la decisione ricorre l’avv. [RICORRENTE], chiedendo l’assoluzione nel merito e, “solo in estremo subordine”, la “sensibile” riduzione della sanzione inflitta. Il ricorso è articolato in unico motivo, al quale la difesa dell’incolpato premette una corposa ricostruzione della vicenda e una altrettanto corposa contestazione delle risultanze del procedimento penale a proprio carico.

Nel ricorso si contesta minuziosamente la ricostruzione operata dal Giudice penale e il CNF conclude: “Per quanto sopra evidenziato il ricorso merita integrale accoglimento non risultando provate le condotte deontologicamente rilevanti di cui al capo di incolpazione a carico dell’Avv. [RICORRENTE]”.