Reati procedibili di ufficio riqualificati in sentenza e divenuti a querela di parte: illusionisti in azione (di Riccardo Radi)

La riforma Cartabia ha creato tante situazioni paradossali, ad una di queste mi è capitato di assistere ieri in udienza davanti alla corte di appello penale di Roma.

Il PG ha richiamato le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel processo di primo grado per ravvisare la “volontà della persona offesa di procedere alla punizione dell’imputato”: lo sforzo interpretativo è risultato vano ma comprendo l’intento.

In pratica la situazione che si è determinata parte da una imputazione iniziale di rapina impropria poi riqualificata in sentenza in furto aggravato e naturalmente ora improcedibile in assenza della querela che naturalmente non c’era motivo di presentare stante la procedibilità d’ufficio.

Lo sforzo “ermeneutico” del PG è di pari passo seguito dagli avvocati in senso contrario.

Questa recente sentenza della cassazione sezione 5 numero 37005/2023 ci permette di apprezzare il tentativo dell’avvocato di attribuire valore di remissione alle parole della persona offesa.

Anche nel caso esaminato dalla cassazione il reato per cui si procede era in passato perseguibile d’ufficio, mentre attualmente è perseguibile a querela della persona offesa, ai sensi dell’art. 624, co. 3, c.p., introdotto dall’art. 2, co. 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex art. 6, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, trattandosi, come da contestazione, di furto avente ad oggetto beni esposti alla pubblica fede, commesso con violenza sulle cose.

Nel primo motivo di ricorso la difesa intendeva attribuire valore di remissione di querela all’affermazione resa dalla persona offesa nel corso dell’udienza, che ad espressa domanda del difensore sulla sua eventuale intenzione di “ritirare la denuncia-querela sporta“, aveva espressamente risposto: “per me la posso anche ritirare“.

Secondo la Suprema Corte tale affermazione esprima una semplice, ipotetica disponibilità di massima a rimettere la querela, che non può essere equiparata a una chiara ed esplicita remissione, mai intervenuta.

In altri termini, nel caso in esame, proprio per la mancanza della necessaria formalizzazione e per la sua genericità, la dichiarazione della persona offesa non può essere valutata né come remissione processuale della querela, ai sensi del combinato disposto degli artt. 152, co. 2, 340, co. 1 e 2, c.p.p., né alla stregua di una remissione extraprocessuale, eventualmente tacita, ex art. 152, co. 2, c.p.p., che avrebbe comunque richiesto la presenza di fatti incompatibili con la volontà della persona offesa di persistere nella querela, tali da apparire non equivoci, obiettivi e concludenti, invece del tutto assenti (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 4059 del 12/12/2013, Rv. 258437).