Rivelazione e sfruttamento economico di notizie d’ufficio: nozione e differenze (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 25177/2023, udienza del 16 maggio 2023, osserva che la norma incriminatrice dell’art. 326 cod. pen. contempla, nel primo comma, la rivelazione della notizia di ufficio destinata a rimanere segreta e, nel terzo comma, l’avvalersi della notizia stessa.

Il coordinamento delle due disposizioni porta a concludere, per motivi letterali, sistematici e teleologici (superfluità altrimenti della previsione del terzo comma), che la condotta del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente prevista nel primo comma, applicabile anche se tale rivelazione è fatta per fini di utilità patrimoniale o in adempimento addirittura di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame. Trattasi di reato proprio e di pericolo concreto che si risolve in una fattispecie plurisoggettiva anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la notizia ma alla previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel senso cioè che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a pena in conformità del principio di legalità, fatta salva, in base all’ordinaria disciplina del concorso di persone nel reato, la eventuale partecipazione morale dell’extraneus destinatario della rivelazione nelle forme della determinazione e della istigazione o anche dell’accordo criminoso (Sez. unite, n. 420 del 28/11/1981, Emiliani, Rv. 151619).

La fattispecie di cui al terzo comma, introdotta dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, riguarda invece l’illegittimo avvalersi da parte del pubblico ufficiale o del concorrente extraneus – che lo sfrutti per un indebito profitto patrimoniale – non del valore economico eventualmente derivante dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico in sé delle informazioni che devono rimanere segrete, eventualmente concorrendo con quella prevista nel primo comma.

Sicché, nel delitto di cui all’art. 326, terzo comma, l’indebito profitto patrimoniale, per sé o altri, alla cui realizzazione è finalizzata la condotta del pubblico agente e che incide sull’elemento psicologico del reato definendolo come dolo specifico, deve essere una conseguenza diretta dell’utilizzo dei segreti di ufficio da parte dello stesso intraneus o del terzo beneficiario dell’operazione (Sez. 6, n. 39428 del 31/03/2015, Rv. 264783; Sez. 1, n. 39514 del 03/10/2007, Rv. 237747).

Il reato di utilizzazione di segreti d’ufficio si concreta, dunque, in un’azione diversa dalla mera trasmissione della notizia ad estranei all’ufficio, che non comporta necessariamente la rivelazione del segreto e che, ove si verifichi, configura un’ipotesi di concorso con il reato previsto dall’art. 326, primo comma (Sez. 6, n. 37559 del 27/09/2007, Rv. 237447; n. 4512 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 2713326).

Ritiene pertanto il collegio di condividere il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la rivelazione da parte del pubblico agente di un segreto di ufficio, anche laddove sia compiuta per fini di utilità patrimoniale o addirittura in adempimento di una promessa corruttiva, integra il reato previsto dal primo comma dell’art. 326 cod. pen., eventualmente in concorso con il delitto di corruzione.

Ricorre viceversa la diversa fattispecie prevista dal terzo comma della stessa disposizione quando il pubblico ufficiale, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete; sfrutti quindi, a scopo di profitto patrimoniale, lo specifico contenuto economico, in sé considerato, delle informazioni destinate a rimanere segrete e non il valore economico eventualmente derivante dalla loro rivelazione (Sez. 6, n. 5390 del 27/01/2022, Rv. 283008; Sez. 6, n. 16802 del 24/03/2021, Rv. 281303; Sez. 6, n. 4512 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278326, cit.; Sez. 6, n. 9409 de1 09/12/2015, dep. 2016, Rv. 267273; Sez. 6, n. 37559 del 27/09/2007, Rv. 237447, cit.).