
La sostanziale esclusione della tutela del titolare dei beni sottoposti a sequestro con la prospettata esigenza di evitare o contenere i rischi di liti giudiziarie che possano ingiustificatamente determinare la paralisi della gestione dei beni in sequestro.
La Cassazione sezione 3 con la sentenza numero 13666 depositata il 4 aprile 2024 ha ricordato che il legale rappresentante di una società della quale siano stati sequestrati i beni e le quote rappresentative del capitale sociale, o comunque il proprietario dei beni in sequestro, non è legittimato a chiedere la messa in liquidazione della società o comunque promuovere un procedimento diretto alla revoca dell’amministratore giudiziario di quanto sottoposto a vincolo.
La Suprema Corte premette che non si tratta di sequestro di azienda (per il quale si applica la disciplina dettata dall’art. 41, d. lgs. n. 159 del 2011), ma di sequestro emesso per finalità impeditive e relativo a quote societarie di cui il ricorrente è amministratore e socio unico, con conseguente difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, essendo stato nelle more l’indagato privato dei diritti e delle facoltà a seguito del sequestro con nomina dell’amministratore giudiziario.
La Cassazione richiama il precedente della medesima sezione (sentenza numero 36364/2021) per sottolineare che la conclusione appena indicata si fonda sul combinato disposto di cui all’art. 104-bis, comma 1-bis, disp. att. cod. proc. pen. e di cui all’art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011.
Invero, l’art. 104-bis, comma 1-bis, disp. att. cod. proc. pen., entrato in vigore in forza dell’art. 3, comma 2, lett. b), legge 17 ottobre 2017, n 161, recita: “Il giudice che dispone il sequestro nomina un amministratore giudiziario ai fini della gestione. Si applicano le norme di cui al libro I, titolo III, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni”.
Nel titolo III del libro I del d.lgs. n. 159 del 2011, rubricato «L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati», è presente, come prima disposizione, l’art. 35, rubricato «nomina e revoca dell’amministratore giudiziario».
L’art. 35, al comma 7, primo periodo, fissa la specifica disciplina in tema di revoca dell’amministratore giudiziario; segnatamente, prevede: «In casi di gravi irregolarità o incapacità il tribunale, su proposta del giudice delegato, dell’Agenzia o d’ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell’amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso».
Da queste disposizioni, innanzitutto, si evince che la disciplina generale in tema di revoca dell’amministratore giudiziario nominato in relazione ad un sequestro preventivo è quella fissata dall’art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011.
Invero, l’art. 104-bis, disp. att. cod. proc. pen., ossia la disposizione che detta la disciplina generale in materia di amministrazione dei «aziende, società o beni […]» sottoposti a sequestro preventivo, in particolare, al comma 1-bis, dopo aver indicato l’autorità giudiziaria competente alla nomina dell’amministratore, rinvia, senza altro aggiungere, al titolo III del libro I del d.lgs. n. 159 del 2011, nel quale l’unica e specifica disposizione in tema di revoca dell’amministratore giudiziario è quella prevista dall’art. 35, comma 7.
Né l’applicazione di tale disposizione risulta incompatibile con la disciplina dell’amministrazione e gestione dei beni sequestrati non direttamente disciplinati dal codice antimafia, stante l’assenza di previsioni specifiche o di principi generali di segno contrario.
Dalla disciplina di cui all’art. 35, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, poi, si desume che l’esclusione della legittimazione del proprietario dei beni sequestrati, o di soggetti ad esso assimilabili, a chiedere al giudice la revoca dell’amministratore giudiziario è coerente con l’assetto complessivo della pertinente procedura.
In effetti, l’art. 35, comma 7, d.lgs. cit. individua specificamente non solo i soggetti che possono promuovere la procedura per la revoca dell’amministratore giudiziario, ma anche chi deve essere necessariamente chiamato ad interloquire: precisamente, l’unico soggetto indicato come necessario interlocutore della procedura è l’amministratore giudiziario del quale è in valutazione la revoca.
Ora, la mancata indicazione del proprietario dei beni sequestrati tra le parti necessarie del procedimento conferma la conclusione secondo cui l’omessa elencazione del medesimo tra i soggetti legittimati a chiedere al giudice la revoca dell’amministratore giudiziario non costituisce la conseguenza di una lacuna accidentale del dato normativo, bensì una precisa scelta del legislatore.
Né questa conclusione determina conseguenze irrazionali o l’esclusione della tutela del titolare dei beni sottoposti a sequestro.
Da un lato, l’esclusione della legittimazione di tale soggetto a promuovere formalmente il procedimento di revoca dell’amministratore è obiettivamente funzionale all’esigenza di evitare o contenere i rischi di liti giudiziarie che possano ingiustificatamente determinare la paralisi della gestione dei beni in sequestro.
Dall’altro, il titolare dei beni in sequestro può comunque segnalare irregolarità o incapacità dell’amministratore agli organi legittimati a promuoverne la revoca, e, soprattutto, può proporre opposizione al giudice dell’esecuzione in ordine alle decisioni sulle modalità di gestione di quanto sottoposto a misura cautelare reale (cfr., in relazione a questo secondo profilo, ad esempio, Sez. 2, n. 946 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 274723-01).
Si può aggiungere, ancora, che, già nella vigenza della precedente disciplina di cui all’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., anteriormente all’inserimento del comma 1-bis per effetto dell’art. 3, comma 2, lett. b), legge 17 ottobre 2017, n 161, in giurisprudenza si era escluso che il legale rappresentante della società i cui beni era stati sottoposti a sequestro preventivo potesse proporre appello a norma dell’art. 322-bis cod. proc. pen. avverso le decisioni in ordine alla nomina o alla revoca di un amministratore giudiziario (il riferimento è a Sez. 3, n. 39181 del 28/05/2014, Rv. 260381-01).
Precisamente, in quella occasione si era osservato: «le questioni riferite alle modalità di esercizio dell’amministrazione giudiziaria e agli eventuali profili di negligenza dell’amministratore, con conseguente richiesta di sostituzione dello stesso, e i relativi provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria, devono ritenersi inammissibili, perché attinenti all’ordinaria amministrazione del bene e, dunque, non sindacabili con l’appello ai sensi dell’art. 322 bis cod. proc. pen.».

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