Il giudice può procedere a comparare la fisionomia dell’imputato, presente nel giudizio, con immagini che ritraggano l’autore del reato (di Riccardo Radi)

La presenza dell’imputato in aula alle volte può essere svantaggiosa per la sua difesa.

Nel caso in esame il giudicante ha eseguito una sorta di comparazione tra l’immagine estratta da una videosorveglianza e la fisionomia dell’imputato.

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 11837 del 21 marzo 2024 ci permette di soffermarci su un tema rilevante nella prassi quotidiana, la possibilità del giudicante di utilizzare le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti, trattandosi di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione del giudice e ben possono essere oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie.

Nel caso specifico parliamo del dato probatorio rappresentato dagli esiti della valutazione condotta dal giudicante sulle immagini videoregistrate e sulla fisionomia dell’imputato, presente nel corso del giudizio.

La Suprema Corte evidenzia che l’attività svolta dal giudice nel porre a raffronto immagini e documenti acquisiti legittimamente al processo, così come nel comparare la fisionomia dell’imputato presente nel giudizio con immagini che ritraggano l’autore del reato, esprimendo successivamente il giudizio sulla coincidenza o compatibilità tra le immagini, i documenti e la persona dell’imputato costituisce tipico esercizio del dovere del giudice di dare conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati (art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.).

Come è stato efficacemente affermato, “occorre distinguere tra la scienza privata del giudice, che non rientra fra le prove ritualmente acquisibili al processo e, come tale, non può essere posta a fondamento del giudizio, e le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti, trattandosi di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione del giudice e ben possono essere oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie” (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, Rv. 247826 – 01, in una fattispecie in cui il collegio giudicante, come nel caso in esame, aveva fatto ricorso al proprio convincimento in merito alla conformità della identità dell’imputato, presente al dibattimento, rispetto alle immagini di una persona ripresa da una videoregistrazione.

Il principio è stato recentemente riaffermato a proposito del confronto, operato dallo stesso giudice di merito, tra le immagini di videosorveglianza e quelle del cartellino di riconoscimento dell’imputato sul posto di lavoro, da cui si era inferita l’identità del volto dei soggetti effigiati: Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, Rv. 285441 – 01).

In definitiva, la prova considerata dalla decisione impugnata è quella rappresentata dai documenti estratti dall’impianto di videoregistrazione posto all’interno della farmacia ove fu consumata la rapina; la prova documentale è stata valutata dal Giudice di primo grado che, comparando le immagini con la fisionomia dell’imputato presente nel corso del giudizio, ha indicato i tratti del volto che corrispondevano nelle immagini registrate e nel viso dell’imputato.

Siffatta attività valutativa (da taluni qualificata come vero e proprio indizio: Sez. 2, n. 40731 del 02/10/2009, Rv. 245124 – 01), rappresenta un dato logico, argomentato mediante la specificazione dei dati considerati e delle affinità riscontrate, che diviene elemento di convalida della portata probatoria dell’indizio costituto dall’esito degli accertamenti scientifici (per una fattispecie analoga, ove la valutazione operata dal giudice sulle immagini videoregistrate è stata ritenuta utile riscontro alla chiamata in correità, Sez. 2, n. 1545 del 08/10/1997, dep. 1998, Rv. 209925 – 01).