Colpevoli fino a prova contraria (di Riccardo Radi)

Una storia di (in)giustizia condizionata da approssimazione delle indagini, noncuranza dell’attività difensiva e uso distorto della carcerazione preventiva.

Nelle aule di giustizia molte vicende processuali sono condite da questi ingredienti che sono le cause delle migliaia di ingiuste detenzioni che interessano il nostro sistema giustizia.

Uno di questi fatti processuali voglio raccontarvi.

Siamo a Roma e nel quartiere Casilino sono avvenute una serie di rapine in farmacia compiute da un uomo ed una donna e alle volte dalla sola donna.

I carabinieri acquisiscono le immagini dei circuiti di videosorveglianza delle farmacie ed un maresciallo si convince di riconoscere in E. F. (iniziali a fantasia), una donna di 36 anni, la rapinatrice.

A questo punto, gli inquirenti estrapolano la foto della donna dai video e verificano che il fratello della donna, un uomo di 40 anni, ha precedenti per reati contro il patrimonio.

Tale circostanza li convince di aver trovato i colpevoli, preparano un album fotografico contenente le foto di entrambi i “sospettati”, convocano le persone offese per un riconoscimento fotografico.

Le persone offese riconoscono “senza ombra di dubbio” nelle foto entrambi i sospettati quali autori delle rapine. 

I carabinieri li arrestano in due fasi: prima la donna e dopo qualche giorno l’uomo.

Lo shock è traumatizzante per fratello e sorella che vivono lavorando saltuariamente come fattorino e commessa, vivono con una madre disabile che sarà lasciata sola nel periodo della carcerazione.

Eppure non è ancora nulla rispetto a quello che sta per accadere: la donna viene condotta nella sezione femminile del carcere di Rebibbia, mentre ancora non si riesce a capacitare di quanto ha letto sull’ordinanza di custodia cautelare che le è stata notificata al momento dell’arresto.

Secondo l’accusa, sarebbe stata lei a portare a termine “tre rapine in farmacia, armata di taglierino”, mentreil fratello viene associato a Regina Coeli e nell’ordinanza legge di aver compiuto una rapina con la sorella “brandendo un taglierino e minacciando di morte la farmacista”.

A inchiodarli ci sarebbero due elementi, entrambi frequenti nella casistica degli errori giudiziari del nostro Paese: anzitutto la testimonianza di un carabiniere, che è convinto di avere riconosciuto proprio la donna dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza di una delle farmacie rapinate. In passato, infatti, la donna aveva accompagnato spesso in caserma il fratello sottoposto all’obbligo di firma.

In secondo luogo, si potrebbe dire a cascata, l’iniziale pista investigativa trova conferma dalla testimonianza delle farmaciste, ben sette, che avevano subìto i colpi: sono certe di riconoscere il volto di E.F. e di O. F. nei fotogrammi estrapolati dai video.

Per entrambi, però, ci sono notevoli discrasie tra le descrizioni fornite dei rapinatori dalle persone offese e le loro reali fattezze. Ma sia il pubblico ministero e sia il Giudice delle indagini preliminari sono sicuri delle prove raccolte nei loro confronti “plurimi e concordanti elementi che portano a ritenere gli indiziati autori delle rapine senza ombra di dubbio” che sono colpevoli.

Vengo nominato da entrambi dopo che i loro ricorsi al Tribunale del Riesame di Roma sono stati respinti.

Li vado a trovare in carcere e li trovo entrambi disperati e prostrati dalla carcerazione preventiva subita. Gridano la loro innocenza e mi supplicano di aiutarli.

Presento un incidente probatorio per effettuare una ricognizione di persona da parte delle farmaciste e sollecito una consulenza antropometrica per entrambi. Tutte le mie richieste vengono respinte perché “superflue allo stato degli atti”, quanta ipocrisia in questi provvedimenti.

Ti sollecito un approfondimento investigativo che sarebbe risolutivo per le indagini e per la vita di due persone detenute e lo ritieni “superfluo”. Mi sovviene un corrosivo aforisma di Stanislaw Jerzy Lec: “Le leve dell’Ingiustizia sono sempre nelle mani giuste”.

I miei assistiti non possono permettersi la nomina di un consulente tecnico di parte, sono stati entrambi ammessi al patrocinio a spese dello Stato e tale condizione rende assai difficoltoso se non impossibile trovare consulenti disposti ad assumere l’incarico.

Sulla possibilità per le fasce meno abbienti, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, di accedere alle consulenze di qualsiasi natura per tutelare al meglio e in concreto l’esercizio del diritto di difesa abbiamo scritto in questo contributo del 31 gennaio 2024: Il diritto di difesa e le consulenze tecniche “proibite” ai meno abbienti (di Riccardo Radi) – TERZULTIMA FERMATA

La Procura della Repubblica chiede il giudizio immediato per entrambi ma in due distinti processi che vedono in uno la donna unica imputata per una rapina e nell’altro entrambi coimputati per altre rapine.

In cella a Rebibbia la commessa passerà 202 giorni. E subito dopo, altri 40 agli arresti domiciliari. Il fratello trascorrerà in carcere 210 giorni.

Intanto, si celebrano i processi. Esaminando gli atti, mi accorgo che nella descrizione della rapinatrice fatta prima del riconoscimento fotografico da parte delle farmaciste, queste avevano raccontato di aver descritto una donna mora, robusta, con delle verruche bianche che ricoprivano le mani della malvivente. Ma esaminando la cartella clinica di E.F. al momento del suo ingresso in carcere, venti giorni dopo l’ultimo dei colpi a lei addebitati, mi rendo conto che la donna non aveva verruche, bolle o altre cicatrici sulle mani.

È la svolta. Durante il dibattimento, questo elemento avrà un peso fondamentale per scagionare E.F., ma non sarà l’unico. Le farmaciste vedendola dal vivo in aula manifestano forti perplessità sul fatto che la donna sia la rapinatrice.

La conclusione non può che essere una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.

Mentre per l’uomo e la donna, nel processo tenuto davanti ad un’altra sezione del tribunale di Roma, a fronte dei dubbi emersi in aula sul presunto riconoscimento effettuato nella fase delle indagini si arriva al paradosso. Anzi potrei definirla una beffa.

Il Tribunale a distanza di anni e dopo che la difesa nella fase delle indagini e all’inizio del dibattimento l’avesse più volte richiesta senza esito, dispone una perizia antroposometrica. Evidentemente, nonostante le evidenze probatorie a favore i giudici solo ora vogliono il supporto tecnico.

La clausola di stile è sempre quella: “All’esito dell’istruttoria il Tribunale, ritenuta l’assoluta necessità di disporre perizia antroposometrica sui soggetti effigiati nelle riprese contenute nei Compact Disc acquisiti al fascicolo… nomina.. dica il perito, esaminati gli atti di causa e operato confronti antroposometrici tra le immagini fotografiche presenti nel fascicolo e le riprese video disponibili se i soggetti rappresentati corrispondano a O. F. e E. F. esprima in ogni caso un giudizio di compatibilità antroposomatica tra i medesimi e i soggetti rispettivamente ripresi nei videogrammi e fornisca all’Ufficio ogni altro utile chiarimento”.

Il provvedimento viene accompagnato da un commento del Presidente del collegio, che mi suona beffardo: “Avvocato, anche a tutela dei suoi assistiti”.

Avrei voglia di rispondergli molto romanamente …. ma mi mordo il labbro.

La perizia non potrà che confermare l’estraneità dei miei “sventurati patrocinati” ed anzi indica il possibile colpevole: “… gli accertamenti fisionomici svolti su E. F. hanno permesso al perito di osservare una corrispondenza di elementi tra il soggetto ripreso ed un altro individuo presente negli archivi digitali della Polizia di Stato, già coinvolto in una serie di episodi delittuosi simili a quelli in contestazione nel presente procedimento. Si tratta di….nata a ….il…che tra i contrassegni presentava un tatuaggio a forma di cuore sull’avambraccio sinistro e un tatuaggio nella regione deltoidea destra, in corrispondenza delle macchie rilevate nel soggetto ripreso durante la rapina del…si trasmettono dunque gli atti alla Procura della Repubblica per le eventuali valutazioni di competenza”.

E così, a due anni di distanza dal giorno dell’arresto, il Tribunale di Roma assolverà E.F. e O.F. per non aver commesso il fatto. Divenuta irrevocabile la sentenza, entrambi gli sventurati presentano istanza di riparazione per ingiusta detenzione per i mesi trascorsi da innocenti agli arresti, tra carcere e domiciliari.

Entrambi i fratelli sono stati risarciti con decine di migliaia di euro mentre i carabinieri che svolsero le indagini, il pubblico ministero che richiese la misura cautelare e il Gip che la dispose e che respinse le richieste difensive, che avrebbero evitato il carcere a persone innocenti e scoperto il reale colpevole, hanno fatto, comunque, la loro onorata carriera. D’altronde… “Una volta sono stato in casa della Giustizia. I suoi bambini giocavano a mosca cieca” Stanislaw Jerzy Lec.