Il diritto di difesa e le consulenze tecniche “proibite” ai meno abbienti (di Riccardo Radi)

Il tema è la possibilità per le fasce meno abbienti, ammesse al patrocinio a spese dello Stato, di accedere alle consulenze di qualsiasi natura per tutelare al meglio e in concreto l’esercizio del diritto di difesa.

Come è costume di Terzultima Fermata, parlerò di un caso concreto, segnalatomi dall’Avvocato Arturo Bocci.

Il suo esito è stato determinato da Cass. pen., Sez. 7^, ordinanza n. 48394/2023, udienza del 7 novembre 2023 che, dichiarando inammissibile il ricorso del difensore, ha reso definitiva la condanna del suo assistito ad una pena elevata per il delitto di rapina.

Nelle fasi di merito del giudizio la difesa aveva avvertito l’esigenza di un accertamento di natura antropometrica o biometrica sulle foto estratte da un filmato di videosorveglianza che ritraevano il rapinatore il quale sembrava avere sembianze difformi dall’imputato.

La difesa non ha trovato tuttavia alcun esperto disponibile ad assumere l’incarico di consulente tecnico di parte e, dal canto loro, entrambi i giudici di merito hanno respinto la richiesta di perizia ritenendola non necessaria, sul presupposto che l’affermazione della responsabilità dell’imputato era fondata sulla corrispondenza delle impronte papillari rinvenute sulla cassa asportata dal rapinatore.

Sottolineo che l’imputato aveva fornito una serie di argomentazioni sulla possibile presenza delle sue impronte papillari sulla cassa ma l’argomento non è stato preso in considerazione perché “è piuttosto improbabile che un soggetto si imbatta casualmente in un bene oggetto di rapina”.

L’improbabilità non è certezza e la consulenza avrebbe potuto apportare un contributo decisivo sia all’ipotesi dell’accusa e sia alla prospettazione della difesa.

Nella pratica la possibilità di nominare un consulente tecnico di parte ai sensi dell’articolo 102 del Testo unico delle spese di giustizia è una chimera perché molti professionisti declinano l’incarico per le scarse remunerazioni, per i tempi lunghi delle liquidazioni e per il dover anticipare le spese.

Ricordiamo che il “patrocinio a spese dello Stato” è un istituto giuridico previsto dall’ordinamento con lo scopo, come specificato dall’art. 24 della Costituzione Italiana, di garantire e assicurare “ai non abbienti, con appositi istituti, la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

L’istituto del patrocinio a spese dello Stato serve a rimuovere – in ossequio all’art. 3 comma 2 Cost. – “le difficoltà di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa” (Corte cost. n. 46 del 1957), garantendo l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il comma 2 dell’art. 24 Cost. espressamente qualifica come inviolabile (Corte Cost., n. 80 del 2020).
Tale istituto è pensato per quelle persone che, nonostante le scarse disponibilità economiche, abbiano la necessità di essere tutelate legalmente, sia per agire che per difendersi in giudizio.

L’articolo 102 prevede la nomina di un consulente tecnico di parte nei termini che seguono:

1. Chi è ammesso al patrocinio può nominare un consulente tecnico di parte residente nel distretto di corte di appello nel quale pende il processo.

2. Il consulente tecnico nominato ai sensi del comma 1 può essere scelto anche al di fuori del distretto di corte di appello nel quale pende il processo, ma in tale caso non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalle tariffe professionali.

Dalla lettera della legge alla realtà di tutti i giorni il passo è grande e come spiega l’Avvocato Bocci accade che: “l’imputato è in questo processo ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ma ciò non gli ha consentito di avvalersi di un consulente tecnico di parte esperto nella valutazione e confronto dei dati antropometrici ricavabili dalle immagini fotografiche e video, acquisite in dibattimento, ritraenti il soggetto autore del reato di rapina aggravata contestato nel presente procedimento, in quanto i professionisti contattati, in loco ed in altre città, per proporre loro l’incarico lo hanno rifiutato per ragioni economiche.

In effetti l’ammissione al beneficio del patrocinio gratuito comporta per il professionista incaricato consulente tecnico di parte: il pagamento del suo compenso da parte dello Stato solo a seguito della definizione di ciascuna fase o grado processuale, che può risultare piuttosto lontana nel tempo rispetto alla prestazione professionale (art.83, DPR 115/2002); la riduzione di un terzo di detto compenso (art. 106 bis, DPR citato); la mancata liquidazione delle spese e delle indennità di trasferta al consulente tecnico eventualmente nominato fuori dal distretto di corte d’appello (art.102 comma 2, DPR citato); l’anticipazione a carico del professionista delle spese necessarie per l’espletamento dell’incarico (art. 85 DPR citato).

É comprensibile come la richiamata normativa possa risultare un deterrente per i professionisti ad accettare l’incarico, attese le incertezze sul quantum e sui tempi dei compensi della loro opera, costringendo l’imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato a difendersi solo attraverso l’assistenza dell’avvocato e non anche ricorrendo all’ausilio di un consulente tecnico, che possa assicurargli un’adeguata e compiuta difesa in materie ove necessitino particolari competenze (come nella fattispecie dove sono richieste competenze diverse in combinazione tra loro: biomediche, ingegneristiche, informatiche).

E’ innegabile la centralità della difesa tecnica nel vigente processo penale, meritevole di garanzia non meno della difesa esercitata dall’avvocato, centralità che risulta confermata da significativi elementi normativi: – l’art. 103, commi 2 e 5, c.p.p., che assicura ai consulenti tecnici le stesse garanzie previste per i difensori; – gli artt. 380 e 381 c.p., che puniscono, assieme al patrocinio, anche la consulenza infedele; – l’art. 200, comma 1 lett. b), c.p.p., che assicura ai consulenti tecnici, oltre che ai difensori, la tutela del segreto professionale.

Di fatto – a sommesso avviso di questo difensore – è integrata una violazione del diritto di difesa nella misura in cui la legge di riferimento non garantisca all’imputato ammesso al patrocinio gratuito la possibilità di scelta e di nomina dell’esperto nelle varie materie utili alla sua difesa tecnica (ad es. per mezzo della istituzione di elenchi di esperti analogamente a quanto previsto dall’art. 81 del DPR n. 115/2002 per i difensori).

Risulta palese la violazione del diritto di difesa poiché il cittadino non abbiente, che sia pur teoricamente in condizione di beneficiare del gratuito patrocinio, si trova costretto a rinunciare, per i motivi sopra esposti, ad avvalersi di una consulenza di parte per illustrare in chiave tecnica i propri argomenti difensivi all’autorità giurisdizionale chiamata a giudicarlo.

Nel corso del giudizio di primo grado la scrivente difesa, pur ritenendo indispensabile la nomina di un esperto per la valutazione comparativa delle immagini registrate dalle telecamere di sicurezza della parafarmacia ove si è perpetrato il reato, ha dovuto rinunciare al consulente tecnico (già indicato in lista testi) per le ragioni appena illustrate

A queste argomentazioni la Suprema Corte ha risposto con mezza paginetta e chiosando: “nel caso di specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici, le doglianze difensive”.

Ed ecco che un uomo è in carcere per scontare una pena di sette anni per rapina, senza che gli sia stata concessa la chance di dimostrare, su basi tecniche, di essere innocente.

Anche a tralasciare quest’ultima considerazione – il dubbio non è di moda in questa stagione – la chiusura dei giudici di merito e di quello di legittimità all’accertamento tecnico e le difficoltà materiali della difesa di ricorrervi autonomamente sembrano in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani riguardo al fondamentale diritto di accesso alla giustizia.

Mi è sufficiente in questa sede ricordare che “In forza del diritto sia del Consiglio d’Europa sia dell’UE il diritto di agire in giudizio (derivante dal diritto ad un’equa e pubblica udienza) dovrebbe essere effettivo per tutte le persone, indipendentemente dalle loro risorse finanziarie. Questo richiede che gli Stati adottino misure per garantire la parità di accesso ai procedimenti” (Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali e Consiglio d’Europa, Manuale di diritto europeo in materia di accesso alla giustizia, edizione del 2016, pag. 63, reperibile a questo link).

Conta pure ricordare che in questa visione il patrocinio a spese dello Stato è lo strumento più  coerente per assicurare l’universalità dell’accesso alla giustizia ma potrebbe non essere sufficiente quando il diritto di accesso di un individuo sia condizionato da costi non sopportabili neanche da chi disponga di risorse superiori al limite entro il quale godrebbe del gratuito patrocinio (Corte EDU, Glaser c. Regno Unito, n. 32346/96, 19 settembre 2000, punto 99; Corte EDU, Santambrogio c. Italia, n. 61945/00, 21 settembre 2004, punto 58).

In effetti, gli Stati non sono obbligati a cercare di garantire, attraverso fondi pubblici, la totale condizione di reciprocità tra la persona assistita e la parte avversa ma “a condizione che a ciascuna parte sia accordata una ragionevole possibilità di presentare la propria causa, in condizioni che non la mettano in situazione di netto svantaggio rispetto alla parte avversa” (Corte EDU, Steel e Morris c. Regno Unito, n. 68416/01, 15 febbraio 2005, punto 62) perché una condizione di squilibrio accentuato violerebbe il principio cardine della “parità delle armi” (Corte EDU, Steel e Morris c. Regno Unito, n. 68416/01, 15 febbraio 2005, punto 62).

C’è materiale su cui riflettere. Si può solo sperare che prima o poi qualcuno lo faccia.