Incendio e danneggiamento seguito da incendio: il discrimine secondo la Cassazione (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 5527 depositata l’8 febbraio 2024 ha ricordato che il giudizio sulla ricorrenza del pericolo di incendio deve essere formulato sulla base di una prognosi postuma, “ex ante”, rapportato al momento in cui l’autore ha posto in essere la propria azione, e non già tenendo conto di come il fatto si è concluso; il giudizio prognostico, inoltre, deve essere a base parziale, ovvero fondato sulla valutazione delle circostanze concrete esistenti al momento dell’azione, senza che possano rilevare fattori eccezionali o sopravvenuti; e quindi la probabilità che il fuoco evolva in incendio vero e proprio deve essere desunta dalla situazione di fatto e, in particolare, dalle dimensioni del fuoco stesso in relazione al suo oggetto, senza che assumano alcuna rilevanza eventuali fattori imprevedibili o sopravvenuti (tra cui il tempestivo intervento di spegnimento.

L’analisi della fattispecie in esame va effettuata alla luce delle coordinate ermeneutiche da tempo fissate in numerosi arresti della cassazione.

Per giurisprudenza consolidata, i delitti di incendio (art. 423 cod. pen.) e di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 cod. pen.) si distinguono in relazione all’elemento soggettivo: il primo, infatti, è connotato dal dolo generico, vale a dire dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, mentre il secondo è caratterizzato dal dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche suindicate oppure il pericolo di siffatto evento.

Pertanto, anche nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, qualora a questa ulteriore e specifica attività si associ la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dell’incendio ex art. 423 cod. pen., è applicabile tale norma, e non l’art. 424 cod. pen., perché con riferimento a quest’ultima fattispecie l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente (Sez. 1, n. 429294 del 17/05/2019, Rv. 276402 – 01; Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258942 – 01; Sez. 1, n. 25781 del 07/05/2003, Rv. 227377 – 01).

Secondo l’interpretazione costante della norma incriminatrice di cui all’art. 423 cod. pen., ai fini dell’integrazione del delitto di incendio, sia doloso che colposo, occorre distinguere tra il concetto di fuoco e quello di incendio, poiché si determina l’incendio soltanto quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone (Sez. 4, n. 46402 del 14/12/2021, Rv. 282701 – 01; Sez. 1, n. 14263 – del 23/02/2017, Rv. 269842 – 01); ciò, con l’ulteriore precisazione che il pericolo per la pubblica incolumità può essere costituito non solo dalle fiamme, ma anche dalle loro dirette conseguenze (calore, fumo, mancanza di ossigeno, eventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate) che si pongono in rapporto di causa ad effetto con l’incendio, senza soluzione di continuità.

E’ stato anche affermato che integra il delitto tentato di incendio, e non quello di danneggiamento seguito da incendio, la condotta di chi agisce al fine di danneggiare quando a tale specifica finalità si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni di un fuoco di non lievi proporzioni, ove l’azione non si compia o l’evento non si verifichi, in quanto anche nel tentativo occorre accertare se l’incendio rientra, come evento, nella proiezione della volontà dell’agente” (Sez. 3, n. 30265 del 19/04/2021, Tagliamento, Rv. 281720 – 01).

E’ poi utile evidenziare come il giudizio sulla ricorrenza del pericolo di incendio vada formulato sulla base di una prognosi postuma, “ex ante”, rapportato al momento in cui l’autore ha posto in essere la propria azione, e non già tenendo conto di come il fatto si è concluso; il giudizio prognostico, inoltre, deve essere a base parziale, ovvero fondato sulla valutazione delle circostanze concrete esistenti al momento dell’azione, senza che possano rilevare fattori eccezionali o sopravvenuti; e quindi la probabilità che il fuoco evolva in incendio vero e proprio deve essere desunta dalla situazione di fatto e, in particolare, dalle dimensioni del fuoco stesso in relazione al suo oggetto (Sez. 6, n. 35769 del 22/04/2010, Rv. 248585-01), senza che assumano alcuna rilevanza eventuali fattori imprevedibili o sopravvenuti (tra cui il tempestivo intervento di spegnimento: Sez. 5, n. 37196 del 28/03/2017, Rv. 270914- 01).