Avvocati spaesati dalla confusione giurisprudenziale creata dalla Suprema Corte (di Riccardo Radi)

Gli avvocati sono smarriti di fronte ai contrasti interpretativi che sempre più spesso si manifestano nell’attuale giurisprudenza di legittimità – proliferati a seguito della transizione verso il processo penale digitale – e che sono alla base di un deficit sempre più grave di prevedibilità dell’interpretazione.

Emergono infine alcuni orientamenti che, in nome di un astratto formalismo, non esitano a sacrificare principi, tra questi il favor impugnationis, che meriterebbero una migliore e più attenta considerazione.

Ieri abbiamo segnalato (a questo link per la consultazione) la sentenza della Cassazione sezione 5 numero 4606/2024 la quale ha ritenuto che: “la disposizione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (e quella speculare di cui al comma 1-quater che inerisce all’ipotesi dell’imputato assente in primo grado), che richiede che, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio unitamente all’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio, trovi applicazione anche nel caso, come quello in esame, in cui l’appellante sia detenuto in carcere per altra causa

Lo stesso giorno è stata pubblicata la sentenza della Cassazione sezione 4 numero 4342/2024 che stabilisce il principio esattamente opposto: “Proprio in considerazione dell’interpretazione complessiva del quadro normativo sopra riassunto e del predetto principio enunciato da parte delle Sezioni Unite, deve ritenersi che l’elezione di domicilio prevista dall’art.581, comma iter cod. proc. pen., non sia requisito necessario a pena di inammissibilità neanche nel caso in cui il soggetto risulti – come nel caso di specie – detenuto in relazione ad altro giudizio.

Deve infatti ritenersi che anche in tale caso non sia previsto l’obbligo di elezione di domicilio all’atto della presentazione dell’impugnazione, atteso che – dal suddetto quadro normativo in tema di notifiche all’imputato detenuto – si evince come lo stesso si applichi in diretta conseguenza del suo stato di restrizione, a propria volta da considerare in relazione al momento di presentazione dell’impugnazione; d’altra parte, deve rilevarsi che – ai sensi dell’art.161, comma 3, cod. proc. pen. – l’imputato detenuto deve, all’atto della scarcerazione, obbligatoriamente operare la dichiarazione o l’elezione di domicilio, elemento che consente l’agevole individuazione del recapito per le successive notifiche (così, in parte motiva, la citata Se2.6, n.47174 del 07/11/2023, Chirico)”.

In questo quadro che è una sorta di bailamme picaresco gli avvocati devono lavorare e tutelare i diritti dei cittadini.

La situazione appare paradossale ma non sembra interessare più di tanto.

Noi ci limitiamo ad osservare che i difensori sono costretti ad operare in una condizione di incertezza nella quale anche scelte legittimate da puntuali orientamenti interpretativi corrono il rischio di essere sconfessate da visioni differenti.

Crediamo che un simile stato di cose meriterebbe una riflessione corale cui dovrebbero seguire adeguati e robusti correttivi ma non abbiamo grande fiducia che questo avvenga.