Contrordine: anche per l’imputato detenuto per altro necessita l’elezione di domicilio ex art. 581 comma 1-ter cpp (di Riccardo Radi)

Ogni giorno ci imbattiamo in sentenze che contraddicono quanto appena statuito da altra o medesima sezione, il tema è l’elezione di domicilio per imputato assente ma detenuto per altro.

La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 4606 del 1° febbraio 2024 ha rimescolato le carte ed ha stabilito che la disposizione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (e quella speculare di cui al comma 1-quater che inerisce all’ipotesi dell’imputato assente in primo grado), che richiede che, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio unitamente all’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio, trovi applicazione anche nel caso, come quello in esame, in cui l’appellante sia detenuto in carcere per altra causa.

Fatto

Con l’ordinanza impugnata la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse di A.A. avverso la sentenza del Tribunale.

I giudici d’appello hanno evidenziato che l’impugnazione non contiene la dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato in violazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., come introdotto dall’art. 33 lett. d) d.lgs. n. 150/2022, norma applicabile a tutte le impugnazioni proposte dopo l’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150/22, intervenuta, ex art. 99-bis d.l. 162/2022, convertito con modifiche dalla legge 199/2022, in data 30.12.2022.

Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo l’erronea applicazione della legge penale nonché la violazione del diritto di difesa e degli articoli 111 e 24 Cost. assumendo che l’art. 581, comma 1-ter, del codice di rito, non trova applicazione in relazione all’imputato detenuto, quale è il ricorrente, ristretto in carcere per altra causa, nei cui confronti, a norma dell’art. 156 cod. proc. pen., le notificazioni debbono essere eseguite nel luogo di detenzione. Inoltre, nell’ipotesi di scarcerazione, a mente dell’art. 161, comma 3, cod. proc. pen., l’imputato ha l’obbligo di effettuare la dichiarazione o elezione di domicilio sicché ad avviso della difesa la Corte di merito ha errato nel ritenere a carico dell’appellante l’obbligo di dichiarazione o elezione del domicilio sebbene detenuto.

Decisione

Prima di addentrarsi nell’esame della questione principale posta col ricorso in scrutinio, appare preliminare sgomberare il campo dall’altra obiezione pure mossa – in via del tutto generica – dal ricorrente riguardo al fatto che la declaratoria di inammissibilità dell’appello sia stata pronunciata de plano.

Trattasi, invero, di eccezione manifestamente infondata.

Si ritiene, infatti, che non ricorrono ragioni per discostarsi dal condivisibile e consolidato orientamento, secondo cui è legittima la declaratoria di inammissibilità dell’appello, pronunciata “de plano”, senza l’instaurazione del contraddittorio nelle forme previste per il procedimento camerale dall’art. 127 cod. proc. pen. (che ha da ultimo trovato conferma nella sentenza Sez. 5, n. 46831 del 22.9.2023, non mass., pronunciata proprio con riferimento ad un caso analogo relativo all’inammissibilità dell’appello per difetto del requisito di cui al comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p.).

È solo il caso di ribadire che la norma di cui all’art. 127 cod. proc. pen., che prevede il modulo procedimentale in contraddittorio, non è richiamata dalla norma generale in tema di inammissibilità dell’impugnazione, che all’art. 591, comma 2, cod. proc. pen. si limita a disporre che il giudice adotti la pronuncia anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo (cfr. Sez. 6, n. 52002 del 10/10/2018, Rv. 274811 – 01; Sez. 5, n. 7448 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259031 – 01; mass. conf. N. 48752 del 2011 Rv. 251565 – 01, N. 16035 del 2011 Rv. 250280 – 01).

Sicché legittima è la pronuncia de plano in relazione alle cause di inammissibilità fissate in generale dall’art. 591 cod. proc. pen., che al comma secondo prevede che «Il giudice dell’impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l’inammissibilità e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato»; nel caso in esame trova applicazione la specifica causa di inammissibilità prevista dalla stessa norma al comma 1, lett. c), per cui l’impugnazione è inammissibile «quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 585 e 586».

Nel caso in esame, infatti, il rinvio che rileva è quello al rispetto della «forma dell’impugnazione», come prevista all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., che sanziona l’omesso deposito della elezione o dichiarazione di domicilio, in quanto «Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

Passando quindi all’esame della questione principale, la cassazione ritiene che la disposizione introdotta dal d.lgs. n. 150/2022 di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (e quella speculare di cui al comma 1-quater che inerisce all’ipotesi dell’imputato assente in primo grado), che richiede che, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio unitamente all’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio, trovi applicazione anche nel caso, come quello in esame, in cui l’appellante sia detenuto in carcere per altra causa.

Quanto alla specifica funzione e allo specifico rilievo che il legislatore ha inteso attribuire ai suddetti atti, prevedendoli a pena di inammissibilità dell’impugnazione medesima, vanno senz’altro richiamate le plurime pronunce della cassazione che si sono già condivisibilmente espresse in merito alla non irragionevolezza delle disposizioni in questione, in relazione alla loro ratio ispiratrice.

Correttamente in proposito è stata richiamata «l’esigenza generale, che ha inspirato la riforma del processo in absentia (ossia la certezza della conoscenza del processo a suo carico da parte dell’imputato)», prevedendo a tal fine il legislatore «un onere collaborativo, riguardante sia il processo celebrato in assenza sia quello in cui l’imputato abbia avuto conoscenza del giudizio, onere finalizzato alla regolare celebrazione della fase del processo di secondo grado. E ciò [anche] ai fini di assicurarne la ragionevole durata ed impedire una eventuale dichiarazione di improcedibilità (cf. per tutte, Sez. 5 n. 46831/2023 del 22.9.2023 n.m.; Sez. 2, n. 38442 del 13/09/2023, Rv. 285029).

In tale contesto occorre, tuttavia, evidenziare il dato che, nel novello comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen., vengono in rilievo due profili finalisticamente collegati, ossia quello dell’esecuzione della notificazione e quello dell’adempimento formale previsto dalle disposizioni in argomento, che non fanno eccezioni nel richiedere che la dichiarazione o l’elezione di domicilio debba accompagnare la proposizione dell’impugnazione, nel caso di specie, dell’appello.

L’atto richiesto, funzionale alla notificazione del decreto di citazione a giudizio, costituisce un atto formale che si connota proprio in funzione della notifica del decreto, adempimento esecutivo questo che può intervenire – non di rado anche a distanza di tempo – in un momento successivo rispetto alla formalizzazione dell’impugnazione.

Proprio lo scollamento che ben può determinarsi tra il deposito dell’atto di impugnazione e il momento esecutivo della notificazione, nonché gli effetti che tale scollamento possono determinare nel vanificare la portata e lo spirito della disposizione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., in uno al tenore della norma – che non fa eccezione alcuna nel contemplare il deposito della dichiarazione o elezione di domicilio con l’atto di impugnazione – danno nel loro insieme conto dell’impostazione circa l’applicazione della disciplina introdotta da tale norma, anche nel caso in cui l’appellante sia detenuto in carcere per altra causa.

All’uopo appare necessario premettere che la funzione essenziale dell’adempimento richiesto è quella di consentire l’effettiva conoscenza del processo e che proprio in relazione a tale funzione, nel caso in cui l’imputato sia detenuto al momento della proposizione del gravame, tale adempimento risulta recessivo rispetto alla regola di carattere generale, sancita dall’art. 156, richiamata dall’art. 164 cod. proc. pen., in virtù della quale la notifica deve essere effettuata nel luogo di detenzione a mani proprie, nonostante la dichiarazione o elezione di domicilio.

Le Sezioni unite penali, nel delimitare l’applicazione della suddetta regola, con la sentenza n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869, in riferimento alla disciplina antecedente all’entrata in vigore della cd. riforma Cartabia, hanno affermato il principio secondo cui le notificazioni all’imputato detenuto vanno sempre eseguite, mediante consegna di copia alla persona, nel luogo di detenzione, anche in presenza di dichiarazione od elezione di domicilio, dovendo tale disciplina trovare applicazione anche nei confronti dell’imputato detenuto in luogo diverso da un istituto penitenziario e, qualora lo stato di detenzione risulti dagli atti, anche nei confronti del detenuto “per altra causa”.

Tale principio ha trovato ancor più chiaro riconoscimento con le modifiche introdotte dall’art. 156 del codice di rito, come modificato dall’art. 10, comma 1, lett. h) n. 1, d. Igs., n. 150/2022, che, nella nuova formulazione di cui al primo comma, prevede che le notificazioni all’imputato detenuto, anche successive alla prima, sono “sempre” eseguite nel luogo di detenzione.

Non vi é dubbio in ordine al fatto che l’avverbio “sempre” utilizzato dalla norma per scolpire la irretrattabilità della regola, non trovi deroga neppure quando si tratti della notificazione della citazione in appello per la quale opera la disposizione di cui all’art. 581, comma Iter o comma 1-quater cod. proc. pen., come del resto risulta chiaro dalla salvezza di quanto previsto dall’art. 156 cod. proc. pen. operata dall’art. 164.

Ciò ha portato a ritenere che nel caso dell’imputato detenuto non è richiesto il deposito dell’elezione o della dichiarazione di domicilio di cui all’art. 581 comma ter cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 38442 del 13/09/2023, Rv. 285029 – 01).

Ad avviso della Suprema Corte, tuttavia, occorre operare un distinguo tra il caso in cui in cui l’imputato sia detenuto per il fatto-reato oggetto del decreto di citazione a giudizio da notificare per il giudizio di impugnazione, rispetto al caso in cui l’imputato sia detenuto per altra causa.

Come già accennato in premessa, la non perfetta coincidenza tra il momento esecutivo della notificazione rispetto a quello della presentazione dell’atto di impugnazione può comportare che l’imputato non sia più detenuto all’atto della notificazione del decreto di citazione per l’appello e tale evenienza rimarrebbe priva di quella copertura in termini di facilitazione della notificazione e di certezza della conoscenza dell’atto notificato da parte dell’imputato che le disposizioni di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, hanno inteso assicurare, richiedendo di depositare la dichiarazione o elezione di domicilio anche nel caso in cui dovesse già esservene una in atti.

Ciò che rileva – e si è inteso in tal modo non irragionevolmente garantire – è che il momento della notificazione di un atto cruciale per la difesa dell’imputato, quale è appunto, la citazione nel giudizio conseguente all’impugnazione si esplichi il più possibile in termini celeri e certi, e tale esigenza non viene certamente meno nel caso in cui l’imputato, detenuto all’atto della presentazione dell’impugnazione, non lo sia più all’atto della notificazione della citazione (laddove, nel caso di imputato detenuto, l’esigenza di celerità e certezza risulterebbe già assicurata dallo stato 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale detentivo che riconduce a un luogo determinato ove la notificazione può avvenire con assoluta certezza e speditezza).

Se è vero, quindi, che è in funzione della notificazione nei confronti di imputato non detenuto che sono state dettate le regole di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1- quater, è altrettanto vero che non esistono ragioni ostative a che tali disposizioni – appunto finalizzate alla notifica del decreto di citazione all’esito dell’impugnazione – si applichino sempre e comunque nella prospettiva che al momento della notifica l’imputato, detenuto per altro, non sia più detenuto, sussistendo anche in tal caso le ragioni applicative delle regole in argomento, ricavabili dalla portata dell’art. 161, comma 3, cod. proc. pen. In particolare, la lettura complessiva delle norme del codice di rito attinenti alla fattispecie in esame, come ridisegnate dalla cd. riforma legge Cartabia non consente di ritenere che, nel caso di imputato detenuto per altro, le previsioni di cui all’art. 581, commi 1-ter cod. proc. pen. trovino deroga o risultino comunque inapplicabili.

Dirimente in proposito risulta essere il fatto che il rimedio previsto dall’art.161, comma 3, cod. proc. pen. – che salvaguarderebbe proprio l’ipotesi della sopravvenuta scarcerazione dell’imputato rispetto alla proposizione dell’atto di appello con la previsione che l’imputato detenuto quando è scarcerato deve fare la dichiarazione o elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell’istituto ove era ristretto – ha validità unicamente con riferimento al procedimento in relazione al quale è intervenuta la scarcerazione medesima (cfr. per tutte, Sez. 6, sentenza n. 49498 del 15/10/2009, Rv. 245650 – 01 che ha affermato, in conformità al chiaro tenore della disposizione normativa di cui all’art. 161 comma 3, rimasta nei suoi tratti essenziali identica a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 150/2022 che “L’elezione o dichiarazione di domicilio sono valide ed efficaci unicamente nell’ambito del procedimento nel quale sono state effettuate, mentre non spiegano alcun effetto nell’ambito di altri procedimenti, sia pure geneticamente collegati a quello originario.

Ne consegue che l’elezione di domicilio fatta dal detenuto al momento della sua scarcerazione, ai sensi dell’art. 161, comma 3, cod. proc. pen., è limitata al procedimento nel quale è resa e non estende i suoi effetti ad altri procedimenti, salvo che dall’atto non risulti una diversa ed inequivoca dichiarazione dell’interessato“).

Il tenore chiaro del terzo comma dell’art. 161 cod. proc. pen. non lascia spazio a dubbi al riguardo, facendo esso espressamente riferimento al fatto che la scarcerazione non coincida con una pronuncia definitiva di proscioglimento e che il verbale contenente la dichiarazione venga immediatamente trasmesso all’autorità giudiziaria procedente, che costituiscono tutti elementi univocamente indicativi del fatto che quegli atti dichiarativi hanno efficacia e valenza solo con riferimento al procedimento in relazione al quale è intervenuta la scarcerazione.

Ed il caso di specie rientra proprio nell’ipotesi della inefficacia della dichiarazione o elezione di domicilio effettuata dal detenuto all’atto della scarcerazione, essendo l’imputato detenuto per altra causa.

Ne consegue, pertanto, che – al di là del dato letterale dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., che non prevede deroghe espresse al fatto che le disposizioni in esso contenute, non si applichino o siano per così dire superflue, nel caso di imputato detenuto, ma solo “deroghe di sistema”, posto che in questo caso la notificazione deve essere fatta, comunque, presso il luogo di detenzione dell’imputato, ovvero, se scarcerato, presso il luogo dichiarato od eletto all’atto della scarcerazione – tali deroghe di sistema all’evidenza non operano nel caso dell’imputato detenuto per altra causa, non potendo applicarsi la norma di raccordo dell’art. 161, comma 3, cod. proc. pen., secondo cui la notifica andrà effettuata presso il luogo indicato all’atto della scarcerazione.

Neppure potrebbe condurre a diversa conclusione, da un lato, la previsione di cui all’art. 164 del codice di rito, che, nel disciplinare l’efficacia della determinazione del domicilio dichiarato o eletto richiama, tra l’altro, la citazione in appello, mediante il riferimento all’art. 601 del codice di rito, facendo salva l’ipotesi dell’imputato detenuto di cui al primo comma dell’art. 156, e, dall’altro, la disposizione di cui all’art. 157-ter cod. proc. pen. che disciplina il caso delle notificazioni degli avvisi o citazioni a giudizio, anche di appello, nei confronti dell’imputato non detenuto, rimandando al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 161, comma 1, cod. proc. pen., salvo poi a specificare, al terzo comma, che «in caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è sempre eseguita presso il domicilio dichiarato o eletto, ai sensi dell’articolo 581, commi 1-ter e 1- quater», e ciò sempre che si tratti ovviamente di imputato non detenuto, atteso il chiaro tenore letterale della rubrica che fa riferimento alle notifiche degli atti introduttivi del giudizio all’imputato, appunto, non detenuto. La disciplina di cui all’art. 164 c.p.p. attiene al diverso profilo della validità della determinazione del domicilio dichiarato o eletto per quanto concerne – anche – il caso della citazione nel giudizio di appello, mentre quella di cui all’art. 157-ter attiene, a sua volta, al diverso profilo del momento esecutivo della notificazione all’imputato non detenuto.

L’applicabilità, pertanto, al caso di specie – di detenuto per altra causa – delle disposizioni di cui all’art. 581 comma 1-ter cod. proc. pen. – contemplanti l’inammissibilità dell’impugnazione in caso di mancato deposito della dichiarazione o elezione di domicilio (ritenuta nella fattispecie del tutto carente dalla Corte di appello quanto ad indicazione del luogo) – non trova alcun significativo ostacolo.

Il diverso principio affermato dalla Seconda Sezione della Corte, secondo cui, in tema di impugnazioni, nel caso in cui l’imputato sia detenuto al momento della proposizione del gravame, non opera, nei suoi confronti, la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, posto che tale adempimento risulterebbe privo di effetto in ragione della vigenza dell’obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell’imputato detenuto e comporterebbe la violazione del diritto all’accesso effettivo alla giustizia sancito dall’art. 6 CEDU (in motivazione si è tra l’altro evidenziato che per il detenuto sopperisce comunque la dichiarazione o elezione effettuata all’atto della scarcerazione), attiene al diverso caso dell’imputato detenuto per il medesimo fatto reato oggetto dell’impugnazione.

Tale valutazione non può valere, per le ragioni indicate, per la fattispecie in esame di imputato detenuto per altra causa che comporta l’applicazione del diverso principio di diritto, secondo il quale «la nuova disposizione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. (introdotta dall’art. 33, comma 1, lett. d), d. Igs. 10/10/2022, n. 150, ed in vigore, in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 89 del medesimo decreto, per le impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del citato decreto, intervenuta in data 30.12.2022 ex art. 99-bis d. l. 162/2022, convertito con modifiche dalla legge 199/2022) – che richiede, a pena d’inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto d’impugnazione, della dichiarazione od elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio – opera anche nel caso in cui l’imputato impugnante sia detenuto per altra causa » (principio, questo da valere anche in relazione alla speculare ipotesi di cui al comma 1-quater dell’art. 581). Quindi, avvocati munitevi sempre della nuova elezione di domicilio anche in caso di imputato-assistito detenuto per altro, del “domani non c’è certezza” ma anche dell’oggi.