Retrodatazione delle misure cautelari per contestazioni associative mafiose con formula aperta: il sopravvenuto stato detentivo non esclude la permanenza del vincolo associativo (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 1889/2023, udienza del 20 dicembre 2023, ha deciso un ricorso che aveva ad oggetto la richiesta difensiva di retrodatazione del termine iniziale di una misura cautelare.

Sezioni unite Librato

Sin dalla pronuncia delle Sezioni unite Librato (Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910) era stato affermato che deve «(…) condividersi l’affermazione della giurisprudenza prevalente che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, c.p.p. “presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza” (..).

È solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, c.p.p., che prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza».

Giurisprudenza di legittimità successiva

La successiva giurisprudenza di legittimità, nel solco della citata pronuncia, ha ribadito che in tema di contestazioni a catena, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa contestato in forma “aperta” (ma il principio deve ritenersi valido anche per l’associazione di cui all’art. 74 cit.), il provvedimento coercitivo che limita la libertà personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale deve, tuttavia, essere desunta da concreti elementi dimostrativi (Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, Rv. 281283 – 01; Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Rv. 279222 – 01; Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, Rv. 278840 – 01; Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, Rv. 269121; Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Rv. 261272; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Rv. 253237; Sez.1, n. 20882 del 21/04/2010, Rv. 247576; Sez. 1, n. 27785 del 12/06/2008, Rv. 240873).

Secondo tale consolidato orientamento, elaborato soprattutto in tema di associazione di stampo mafioso ed al quale il tribunale del riesame mostra di aderire, il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (fra le molte, così, Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, Rv. 269121). Secondo tale consolidato principio il sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Rv. 261272). Sotto questo profilo solo intervenute di recente le Sezioni unite, n. 48109 del 19/07/2018, Giorgi, con cui la Corte di cassazione ha chiarito come, a fronte di una contestazione unica formulata per una pluralità elevata di destinatari della misura cautelare, la determinazione dell’epoca di commissione del reato non possa non tenere conto della posizione di ciascun singolo destinatario della misura, atteso che, ad esempio, la stessa quantità di luoghi di consumazione del reato- per come possono essere individuati nella imputazione provvisoria – può sottintendere una pluralità di coordinate spazio -temporali in cui il reato si è perfezionato; in tali casi, affermano le Sezioni unite, “ben può il giudice o comunque l’indagato offrire, una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato”.