La pirateria arriva in Cassazione: l’articolo 1135 cod. nav. include il reato di estorsione (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 51442/2023 si è occupata della configurabilità dell’articolo 1135 del Codice della Navigazione in tema di Pirateria ed ha stabilito che in tema di atti di «pirateria» commessi al di fuori delle acque territoriali italiane (e in particolare nella c.d. «zona Contigua»), la definizione di cui all’articolo 1135 cod. nav., comprende le condotte di chi commette “atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera”.

La definizione di pirateria («piracy») si desume dall’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10/12/1982, ratificata in Italia con I. 02/12/1994, n. 689, il cui testo originale definisce la condotta come «any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation» (termine, quest’ultimo, erroneamente tradotto in italiano con «rapina»), ossia «qualsiasi atto di violenza o sequestro, o qualsiasi atto di depredazione», termine comprensivo di qualsiasi sottrazione a base violenta.

Fatto

Con ordinanza il giudice per le indagini preliminari dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice italiano, non convalidando il fermo disposto dal pubblico ministero nei confronti dei quattro imputati indicati in premessa, indiziati del reato di cui all’articolo 1135 del cod. nav. (delitto di «pirateria»), riqualificando il fatto contestato in quello di cui all’articolo 629 cod. pen., avvenuto al di fuori delle acque territoriali italiane.

Ritiene in particolare il GIP che il concetto di pirateria richiamato nella Convenzione di Montego Bay del 1982 è simile a quello di cui all’articolo 1135 cod. nav. ed è di tipo «predatorio»; esso, secondo il giudice denegante, non si presterebbe a ricomprendere la condotta fattuale espressamente contestata agli odierni indagati, ossia l’avere offerto aiuto in cambio di consegna di denaro e telefoni cellulari, condotta che ha spiegato di dover riqualificare in termini estorsivi e non di rapina, violenza o sequestro, con conseguente difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Avverso tale ordinanza ricorre il Procuratore della Repubblica.

Il ricorrente censura, in particolare, violazione di legge e segnatamente degli articoli 1135 cod. nav., 628-629 cod. pen., 101-105 della Convenzione di Montego Bay del 1982, in relazione alla qualificazione giuridica del fatto data dal Giudice per le indagini preliminari.

Evidenzia in particolare come la condotta di pirateria deve ricomprendere sia il delitto di estorsione che quello di rapina.

Il ricorrente deduce altresì violazione dell’articolo 15 cod. pen., in quanto la condotta di pirateria si pone in termini di specialità sia con riferimento al delitto di rapina che a quello di estorsione, ciò da cui conseguirebbe la giurisdizione del giudice italiano ai sensi della Convenzione di Montego Bay.

Decisione

La Suprema Corte premette che la norma include anche il delitto di estorsione, come si ricava dal combinato disposto dell’articolo 1135 cod. nav. con il successivo 1137, a norma del quale «il comandante o l’ufficiale di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli articoli 628, 629 del codice penale, è punito a norma dell’articolo 1135 de/presente codice». – La norma di cui all’articolo 1135 cod. nav. si pone in termini di specialità rispetto alle disposizioni contenute nel codice penale, dianzi richiamate.

A ciò consegue l’applicazione, alle condotte di pirateria commesse in acque internazionali, del principio di «giurisdizione universale» di cui all’articolo 105 della citata Convenzione di Montego Bay, applicabile ai sensi dell’art. 7, n. 5), cod. pen., che richiama «ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana.

L’articolo 1135 cod. nav., rubricato «Pirateria», sanziona con la pena della reclusione da dieci a venti anni «il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera». Nonostante la rubrica dell’articolo, la norma non contiene una precisa definizione delle condotte di «pirateria», contenuta invece nell’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10/12/1982, ratificata in Italia con I. 02/12/1994, n. 689.

La norma, nel testo italiano della Convenzione, definisce la condotta incriminata come «ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina».

Il testo originale della Convenzione, in lingua inglese, nella definizione di pirateria («piracy») non menziona il termine «robbery», ossia «rapina», bensì parla di «any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation», ossia «qualsiasi atto di violenza o sequestro, o qualsiasi atto di depredazione». Il termine esatto, per descrivere la condotta (accanto alla violenza e al sequestro di persona) è, quindi, non quello di «rapina», utilizzato nella traduzione italiana della Convenzione, bensì quello di «depredazione» (termine inglese/americano, quello di «depredation», che indica – fonte Cobuild/Collins – ogni «act of preying upon or plundering», ossia qualsiasi atto di predoneria o saccheggio), che, puntualmente, è dato rinvenire nell’articolo 1135 cod. nav.

Tale disposizione, come correttamente evidenziato dal ricorrente, va letta congiuntamente al successivo articolo 1137 cod. nav., a mente del quale «il comandante o l’ufficiale di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli articoli 628, 629 del codice penale, è punito a norma dell’articolo 1135 del presente codice», previsione che ricalca quella prevista dal «Code of Practice for the Investigation of Crimes of Piracy and Armed Robbery against Ships of the International Maritime Organisation (IMO)» (Assembly Resolution A.1025), il quale sanziona gli atti di pirateria compiuti nelle acque interne (ovvero nelle acque territoriali), anziché in mare aperto, definendo i primi quali «armed robbery against ships (territorial waters)», e, i secondi, come «acts of piracy (intemational waters)».

Dal combinato disposto delle due norme, lette congiuntamente alle definizioni fornite in proposito dagli strumenti internazionali, appare evidente che il termine «depredazione» ricomprenda, secondo la legislazione italiana, tutte le ipotesi di spossessamento violento di beni altrui, indipendentemente dalla qualificazione della condotta in termini di rapina ovvero di estorsione.

Ai presenti fini, pertanto, stante la latitudine del concetto di «depredazione», a nulla rileva la tradizionale distinzione operata dalla Corte (v., ex multis, Sez. 2, n. 14880 del 19/01/2012, n.m.), secondo cui la rapina si differenzia dall’estorsione in virtù del fatto che nell’estorsione il soggetto passivo, benché coartato, partecipa alla condotta criminosa ponendo in essere l’atto di disposizione patrimoniale che rappresenta l’ingiusto profitto, mentre nella rapina la vittima è soggetto meramente passivo della violenza esercitata dal rapinatore sulla sua persona, e quindi la consumazione del reato non richiede la cooperazione della persona offesa (differenza che porta, tradizionalmente, ad affermare che nella rapina vi è una vis absoluta e nell’estorsione una vis relativa), anche se, in proposito, evidenzia la cassazione che le condizioni in cui è maturato il fatto, in concreto, già inducessero a ritenere sussistente un atto di «violenza» ricompreso nella prima parte della definizione di «pirateria», posta la evidente mancanza di scelta in capo alle persone offese, minacciate di essere lasciate alla loro sorte alla deriva.

Parimenti fondata è la censura secondo cui la condotta di cui all’articolo 1135 cod. nav. Si pone in termini di specialità rispetto ai delitti di rapina ed estorsione.

Il delitto di «pirateria», infatti, oltre ad essere un reato «proprio» del comandante o dell’ufficiale di nave nazionale o straniera (nonché, ai sensi del secondo comma, ma con pene via via ridotte, degli altri componenti dell’equipaggio e degli estranei, comunque a bordo di nave), contiene l’ulteriore elemento specializzante costituito dall’essere, la condotta, commessa «in danno di una nave nazionale o straniera o del carico».

In applicazione del principio di specialità, pertanto, la norma di cui all’articolo 1135 cod. nav. deve trovare applicazione in luogo degli articoli 628 e 629 cod. pen., risolvendo un caso di concorso apparente di norme (v. Sez. U., n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 – 01, secondo cui “nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore”.

Secondo la cassazione non può, conclusivamente, dubitarsi, in presenza di una condotta sussumibile nell’ambito dell’articolo 1135 cod. pen., proprio in applicazione del principio di specialità testé richiamato, della sussistenza della giurisdizione italiana.

Ed infatti, l’art. 7, n. 5), cod. pen., richiama «ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana», tra cui va sicuramente ricompreso l’articolo 105 della citata Convenzione di Montego Bay, a mente del quale «nell’alto mare o in qualunque altro luogo fuori della giurisdizione di qualunque Stato, ogni Stato può sequestrare una nave o aeromobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuti sotto il controllo dei pirati; può arrestare le persone a bordo e requisirne i beni.

Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il potere di decidere la pena da infliggere nonché le misure da adottare nei confronti delle navi, aeromobili o beni, nel rispetto dei diritti dei terzi in buonafede», così disciplinando una ipotesi di «giurisdizione universale».

Il principio di punibilità incondizionata ex art. 7, n. 5, cod. pen., è del resto stato in passato già affermato da questa Corte proprio in casi di pirateria ai danni di nave italiana in acque internazionali (Sez. 2, n. 26825 del 4/02/2013, Rv. 256646; Sez. 5, n. 15977 del 27/02/2015, Rv. 263707; Sez. 5, n. 36753 del 8/05/2018, n.m.).

Sussistevano quindi i presupposti affinché il GIP, dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, convalidasse il fermo disposto dal pubblico ministero nei confronti di C.C. A.A. B.B., non ostando il limite di pena e sussistendo, indubitabilmente, il presupposto del pericolo di fuga di cui all’articolo 384 cod. proc. pen., in relazione alla impossibilità di identificare gli indiziati (identificati con certezza solo tramite il Codice Identificativo Univoco).

In conclusione, la cassazione esprime i seguenti principi di diritto: – in tema di atti di «pirateria» commessi al di fuori delle acque territoriali italiane (e in particolare nella c.d. «zona contigua»), la definizione di cui all’articolo 1135 cod. nav., comprende le condotte di chi commette «atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera».

La definizione di pirateria («piracy») si desume dall’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10/12/1982, ratificata in Italia con I. 02/12/1994, n. 689, il cui testo originale definisce la condotta come «any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation» (termine, quest’ultimo, erroneamente tradotto in italiano con «rapina»), ossia «qualsiasi atto di violenza o sequestro, o qualsiasi atto di depredazione», termine comprensivo di qualsiasi sottrazione a base violenta.

La norma include anche il delitto di estorsione, come si ricava dal combinato disposto dell’articolo 1135 cod. nav. con il successivo 1137, a norma del quale “il comandante o l’ufficiale di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli articoli 628, 629 del codice penale, è punito a norma dell’articolo 1135 del presente codice”. 

La norma di cui all’articolo 1135 cod. nav. si pone in termini di specialità rispetto alle disposizioni contenute nel codice penale, dianzi richiamate.

A ciò consegue l’applicazione, alle condotte di pirateria commesse in acque internazionali, del principio di «giurisdizione universale» di cui all’articolo 105 della citata Convenzione di Montego Bay, applicabile ai sensi dell’art. 7, n. 5), cod. pen., che richiama “ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana”.