Firme digitali smarrite tra formati ed estensioni e inammissibilità che fioccano: gli effetti della giungla digitale (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 48545/2023, udienza del 25 ottobre 2023, affronta e risolve, con esito negativo per il ricorrente, l’ennesimo caso di infortunio professionale legato alla firma digitale di un atto di impugnazione.

Ricorso per cassazione

Il difensore di fiducia e procuratore speciale di DP, ricorre per cassazione contro l’ordinanza emessa dal Tribunale di … l’11 aprile 2023 (confermata con ulteriore ordinanza del 19 aprile 2023), con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse del proprio assistito. L’appello dichiarato inammissibile (relativo alla sentenza pronunciata dal Tribunale di … in data 17 novembre 2022 con la quale DP è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309) è stato depositato a mezzo PEC presso la cancelleria del Tribunale di … alle 20:54 del 29 marzo 2023.

L’inammissibilità è stata dichiarata dal giudice che ha emesso la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen. sostenendo che non erano state osservate le disposizioni previste dall’art. 87-bis, comma 7, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 trattandosi di atto di appello «privo della necessaria sottoscrizione digitale».

L’ordinanza dell’11 aprile 2023 è stata confermata in data 19 aprile 2023 respingendo l’istanza di revoca proposta dal difensore. In questo secondo provvedimento il giudice ha rilevato: che il messaggio di posta elettronica inviato dal difensore all’indirizzo PEC del Tribunale di …, contiene un file denominato «smime.p7s», vale a dire «un messaggio e-mail che include una firma digitale»; che, in questo formato, «la firma risulta separata dal file contenente il documento originale»; che l’atto di appello contiene «solo il certificato e l’impronta, non anche il documento originale, che, dunque, non risulta sottoscritto digitalmente, ma solo manualmente»; che l’atto di impugnazione avrebbe dovuto essere trasmesso nell’estensione «smime.p7m», la quale «a differenza del formato “p7s” contiene anche il file originale, firmato digitalmente»; che, ai sensi dell’art. 87-bis, comma 7, lett. a) d.lgs. n. 150/2022, la sottoscrizione digitale del difensore è requisito di ammissibilità dell’atto di impugnazione.

Il ricorrente deduce violazione dell’art. 87 d.lgs. n.150/2022 e contraddittorietà della motivazione. Rileva che il citato art. 87 prevede l’inammissibilità dell’impugnazione solo nel caso in cui nell’atto manchi la sottoscrizione digitale e questa situazione non sussiste nel caso di specie.

Il difensore osserva che, nell’atto del 19 aprile 2023, il Tribunale ha riconosciuto che l’atto era firmato digitalmente con estensione «p7s» e ha sostenuto che avrebbe dovuto essere invece trasmesso con l’estensione «smime.p7m» che, «a differenza del formato “p7s”, contiene anche il file originale, firmato digitalmente» ha collegato, dunque, la sanzione della inammissibilità, non alla mancanza della firma digitale, ma alle caratteristiche del file che la contiene e ha così introdotto una causa di inammissibilità non prevista dalla legge.

A sostegno di tale affermazione il ricorrente cita la sentenza Sez. 2, n. 32627 del 15/06/2022, Rv. 283844, la quale, con riferimento al deposito telematico introdotto dall’art. 24, comma 4 e comma 6-sexies, lett. a),della legge n. 176 del 2020 di conversione del d.l. n. 137 del 2020, ha ritenuto ammissibile un atto di impugnazione depositato a messo PEC cui era allegato un documento in formato pdf nativo digitale, ottenuto dalla trasformazione di un documento testuale di Word e firmato digitalmente con firma PAdES.

Questa sentenza – rileva il difensore – sostiene che «la qualificazione, da parte del sistema informatico in dotazione all’ufficio giudiziario, della firma digitale apposta dal difensore come non valida, in ragione del mancato utilizzo di uno specifico “software”» non ne determina l’inammissibilità perché «la verifica della validità della sottoscrizione deve prescindere dalle caratteristiche del “software” impiegato per generarla e, parallelamente, per condurre la stessa operazione di verifica».

Il difensore ricorda inoltre che, come la Cassazione ha già affermato, non può essere causa di inammissibilità il deposito telematico dell’atto di gravame in formato non originario digitale, ma generato mediante scansione dell’immagine del documento cartaceo creato con programma di videoscrittura, purché effettivamente sottoscritto con firma digitale del difensore (nel ricorso è citata la sentenza Sez. 3, n. 5744 del 19/01/2023, non massimata).

In punto di fatto il difensore rileva che il file inoltrato in allegato alla mail del 29 marzo (con la quale fu trasmesso l’atto di appello) «include una firma digitale» come dimostra la presenza nella decriptazione del file dell’estensione «smime.p7s». Sostiene, inoltre, che il documento è stato redatto in formato pdf sottoscritto con firma PAdES e non con firma CAdES e, per questo, non reca l’estensione «p7m».

Sottolinea che la provenienza dell’atto è indubbia e non sono dubbi né l’orario esatto della sottoscrizione né l’invio avvenuto tramite posta certificata “legalmail”.

Sostiene, in definitiva, che non v’è alcuna incertezza sull’identità del sottoscrittore e sulla provenienza dell’atto e pertanto non può avere rilievo che la firma digitale compaia in un atto separato e non nel file contenente il documento originale, tanto più che, come il provvedimento impugnato riconosce, la copia analogica dell’atto di appello reca la firma autografa del difensore dell’imputato appellante.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è infondato.

…Riassunzione degli eventi

Dall’esame degli atti del procedimento – necessario e possibile in ragione del vizio dedotto – risulta:

– che l’appello dichiarato inammissibile è stato inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata …  e, per conoscenza, all’indirizzo …;

– che la verifica dell’esistenza della firma digitale, eseguita tramite il servizio di firma digitale ArubaPec, certificò che nessuna firma era presente nel documento;

– che l’atto proveniva dall’indirizzo di posta elettronica certificata [posta-certificata@legalmail.it ];

– che l’atto di appello, inserito nel fascicolo dopo la stampa, reca la firma autografa del difensore, e consta di dieci pagine;

– che all’atto sono allegati referti di analisi su campioni di matrice cheratinica.

…Cornice normativa

Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall’art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022 che, a tutt’oggi, consente il deposito con valore legale di atti documenti e istanze «mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all’art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011 n. 44», purché effettuato presso gli uffici di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

L’art. 87-bis d.lgs. 150/2022 prevede:

– al comma 3, che, quando il deposito ha ad oggetto un’impugnazione (come avvenuto nel caso di specie), l’atto «in forma di documento informatico» debba essere «sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati» e debba contenere «la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all’originale»;

– al comma 4, che l’atto di impugnazione deve essere trasmesso tramite posta elettronica certificata dall’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quelli dell’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 1, «con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate»;

– al comma 7, che, fermo restando quanto previsto dall’art. 591 cod. proc. pen., nel caso di proposizione dell’atto a mezzo PEC l’impugnazione è inammissibile, tra l’altro (e per quanto qui rileva), «quando l’atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore».

In attuazione dell’art. 34, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia n. 44 del 21 febbraio 2011 («Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione…»), il Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia ha emesso due successivi provvedimenti in data 16 aprile 2014 e 28 dicembre 2015 il cui testo coordinato è stato pubblicato il 28 dicembre 2015. Questo testo stabilisce all’art. 19-bis che, quando un documento informatico proveniente da un difensore è sottoscritto con firma digitale, «si applica quanto previsto all’art. 12, comma 2». L’art. 12, comma 2, stabilisce quanto segue: «La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdESBES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo “firme multiple indipendenti” o parallele, e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta). L’ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un’alterazione dell’ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un’unica estensione p7m. Il meccanismo qui descritto è valido sia per l’apposizione di una firma singola che per l’apposizione di firme multiple».

In data 9 novembre 2020 è stato pubblicato un ulteriore provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia contenente: l’individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’art. 24, comma 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio. Questo provvedimento ha previsto, all’art. 3, comma 1: «L’atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari indicati nell’art. 2, rispetta i seguenti requisiti: è in formato PDF; è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata».

…L’omessa sottoscrizione digitale dell’atto di impugnazione lo rende inammissibile

Tanto premesso, si deve osservare: che, per espressa previsione di legge, la mancata sottoscrizione digitale dell’atto di impugnazione è causa di inammissibilità della stessa; che, nel caso di specie, la sottoscrizione non risulta apposta in formato CAdES atteso che il file generato non presenta l’estensione «p7m»; che, sulla base di quanto attestato dal servizio di firma digitale, la firma non risulta essere stata apposta neppure in formato PAdES.

Il difensore sostiene nel ricorso di aver apposto la firma digitale in formato PAdES, ma si tratta di mera allegazione. Ed invero, in presenza di una attestazione di cancelleria dalla quale risulta che la firma è mancante, la circostanza che alla mail fosse allegato un file con estensione «smirrie.p7s» non è idonea a dimostrare che l’atto di impugnazione fosse firmato digitalmente.

Come risulta dalla documentazione prodotta dal difensore, infatti, l’esistenza di tale estensione prova solo che nel messaggio e-mail era inclusa una firma digitale e l’atto di appello conteneva allegati che dovevano a loro volta essere trasmessi in copia informatica per immagine sottoscritta digitalmente dal difensore.

A ciò deve aggiungersi che, in data 20 aprile 2023, il difensore avanzò un’ulteriore istanza di revoca della dichiarazione di inammissibilità sostenendo di aver dato incarico ad un tecnico di analizzare il file e di aver appreso che da tale analisi era emerso un errore del sistema per cui «vi era stata una firma che non si è concretizzata nel momento successivo alla creazione del file firmato digitalmente». In questo documento il difensore riconosce che la firma digitale è mancante e sostiene che questo sarebbe dipeso da un errore tecnico: una tesi che nell’atto di ricorso non è stata neppure esposta e, peraltro, non risulta essere stata tecnicamente documentata.

Per quanto esposto, nel caso in esame, i principi affermati dalla sentenza Sez. 2, n. 32627 del 15/06/2022, Rv. 283844, citata dal ricorrente, non trovano applicazione. Nel caso esaminato da quella sentenza, infatti, il sistema di verifica aveva solo segnalato l’inattendibilità dell’autorità che aveva rilasciato il certificato, mentre nel caso oggetto del presente ricorso il sistema di verifica ha rilevato la mancanza della sottoscrizione digitale e la documentazione in atti non consente di ipotizzare che ci sia stato un errore in quel sistema.

Neppure rileva il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «nella vigenza della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, non è causa di inammissibilità dell’impugnazione, ex art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il deposito telematico dell’atto di gravame in formato non originario digitale, ma generato mediante scansione della immagine del documento cartaceo creato con programma di videoscrittura, ove effettivamente sottoscritto con firma digitale del difensore» (Sez. 4, n. 22708 del 11/05/2023, Rv. 284657).

Nel caso in esame, infatti, non è in discussione che l’atto di impugnazione sia stato depositato in formato digitale, e la ragione della inammissibilità risiede nel fatto che, quell’atto, non risulti essere stato sottoscritto digitalmente dal difensore al quale, dunque, non può essere attribuito, anche se è stato trasmesso da un indirizzo e-mail a lui riferibile. Ed invero, la tassativa e precisa individuazione dei soggetti legittimati ad esercitare il diritto di impugnazione rende indispensabile la sottoscrizione digitale perché impone di verificare non solo la provenienza, ma anche la paternità dell’atto.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.