Maltrattamenti in famiglia e misure di prevenzione: attenzione a non abusarne (di Riccardo Radi)

Un caso di “ingiusta prevenzione” che non sarà il primo e nemmeno l’ultimo in una legislazione che anticipa la “tutela penale” in maniera sommaria.

Sottoposto in via d’urgenza all’obbligo di soggiorno per anni due, su segnalazione della Questura, a distanza di 3 anni dai presunti fatti viene assolto perché il fatto non sussiste dal reato di maltrattamenti.

Nella motivazione della sentenza emessa dal tribunale di Rieti il 20 novembre 2023 si legge: “… ciò posto, ritiene il tribunale che i fatti sopra descritti non integrano gli elementi costitutivi del contestato delitto di maltrattamenti in famiglia”.

Se mancano gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti, presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione, risulta evidente che l’anticipazione della “tutela” della vittima richieda particolare scrupolo.

Il prevenuto poi assolto è stato per due anni con limitazioni della propria libertà consistite, tra l’altro, nell’obbligo di soggiorno nel proprio comune, e di non “rincasare la sera più tardi delle re 21,30 e di non uscire la mattina prima delle ore 06,30”.

L’esempio è la dimostrazione di quando la tutela delle vittime della violenza di genere diventa uno strumento che crea ingiustizia se non maneggiato con cura e attenzione.

L’argomento è tremendamente importante e maledettamente attuale, perché è improcrastinabile affrontare la tutela delle vittime in tempi veloci onde evitare rischi e conseguenze irreparabili ma attenzione alle strumentalizzazioni o all’uso poco attento dei tanti strumenti messi in campo per tutelare le vittime della violenza di genere.

Da ultima la nuova legge recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica” (di conversione del ddl Roccella) si compone di diciannove articoli, volti, sia a rafforzare la protezione delle vittime di violenza attraverso misure di prevenzione, potenziamento delle misure cautelari e anticipazione della soglia della tutela penale, sia ad assicurare la certezza dei tempi dei procedimenti aventi ad oggetto reati di violenza di genere o domestica.

L’articolo 2 “Potenziamento delle misure di prevenzione“, nell’apportare alcune modifiche alle leggi antimafia, estende l’applicabilità delle misure di prevenzione personali, attualmente applicabili ai soggetti indiziati dei delitti di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, anche a soggetti indiziati di alcuni gravi reati che ricorrono nell’ambito dei fenomeni della violenza di genere e della violenza domestica, intervenendo anche sulla misura della sorveglianza speciale.

Ricordiamo che l’art. 9, comma 4, della l. n. 69/19 era già intervenuto sull’elenco di cui all’art. 4, comma 1, lett. i ter) del Decreto Legislativo n. 159/11 (c.d. Codice Antimafia), inserendo tra i potenziali destinatari delle misure di prevenzione anche gli indiziati del reato di cui all’art. 572 c.p (maltrattamenti contro familiari e conviventi).

In particolare, veniva estesa anche all’indiziato del delitto di maltrattamenti in famiglia l’applicabilità della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Chi risponde quando il reato presupposto (maltrattamenti) non sussiste?

Nessuno, perché l’aspetto sconcertante è che l’uso poco attento o distorto non prevede alcuna conseguenza ed anzi il pensiero sotteso è …. “non lamentarti ti ha detto bene”.

Rimane il punto che si è stati privati fortemente della propria libertà con numerose limitazioni e nessun indennizzo o ristoro è previsto in questi casi di “ingiusta prevenzione”.

L’aspetto che dovrebbe essere compreso da tutti gli operatori è di prestare cautela e porsi in maniera scevra da preconcetti perché non sempre si ha a che fare con il “mostro violento”.

Da ultimo ricordiamo che la cassazione sezione 6 numero 46386 del 17 novembre 2023 che ha ribadito l’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello di merito rappresenta il presupposto perché possano essere legittimamente oggetto di valutazione, appunto autonoma, ai fini della adozione della misura di prevenzione personale e/o patrimoniale, persino gli elementi acquisiti nel corso di un processo che si sia concluso con sentenza di assoluzione allorché i fatti, pur ritenuti insufficienti a fondare una condanna penale, siano tuttavia in grado di giustificare un apprezzamento in termini di pericolosità.

La Suprema Corte ha evidenziato che il provvedimento impugnato, ha operato in modo proprio la valutazione di appartenenza di V. alla categoria di pericolosità sociale di cui all’art. 4 lett. b) d. lgs. n. 159 del 2011 traendone correttamente gli indici rivelatori proprio dai provvedimenti giudiziari sopra indicati, in conformità alla pacifica giurisprudenza circa l’autonomia del giudizio di prevenzione rispetto al processo penale dovuto alle loro profonde differenze, funzionali e strutturali: il processo penale accerta un fatto costituente reato, mentre il procedimento di prevenzione valuta un profilo inerente alla pericolosità di una persona desunta da condotte che non necessariamente costituiscono illecito penale.

Detto principio è fissato dall’art. 29 d.lgs. n. 159 del 2011 e determina l’effetto dell’esclusione di ogni pregiudizialità dell’accertamento penale.

Il giudice della prevenzione deve provvedere a un’autonoma valutazione degli elementi probatori che può pacificamente trarre da procedimenti penali in corso, esprimendo il proprio giudizio e spiegando le ragioni per le quali tali elementi conducono ad un accertamento di pericolosità sociale del proposto.

Anche di recente la cassazione ha affermato il principio secondo il quale “poiché in tema di misure di prevenzione, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, il giudice può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità del proposto, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità” (Sez. 2, n.4191 11/01/2022, Rv. 282655).

E ciò in quanto le misure di prevenzione hanno finalità preventiva e non punitiva, sicché il giudizio di pericolosità può essere fondato su elementi di fatto non necessariamente coincidenti con quelli accertati con sentenza di condanna, ma emergenti da procedimenti penali pendenti per reati significativi nel cui ambito siano stati espressi giudizi non escludenti la responsabilità del proposto. L’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello di merito rappresenta il presupposto perché possano essere legittimamente oggetto di valutazione, appunto autonoma, ai fini della adozione della misura di prevenzione personale e/o patrimoniale, persino gli elementi acquisiti nel corso di un processo che si sia concluso con sentenza di assoluzione allorché i fatti, pur ritenuti insufficienti a fondare una condanna penale, siano tuttavia in grado di giustificare un apprezzamento in termini di pericolosità (Sez. 6, n. 14479 del 14/03/2023, non massimata; Sez. 6, n. 10063 del 11/01/2023, non massimata; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Rv. 281862; Sez. 2, n. 23813 del 17/07/2020, Rv. 279805).