Peculato contestato a consiglieri regionali per l’uso dei fondi assegnati ai gruppi consiliari: la Cassazione costretta a ricordare le più elementari regole del riparto probatorio (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 49322/2023, udienza del 9 novembre 2023, ha annullato senza rinvio la condanna di una consigliera regionale, capo di un gruppo consiliare, cui era stato contestato il delitto di peculato per l’uso illecito dei fondi destinati al funzionamento del gruppo stesso.

Riassunzione della sentenza impugnata

Posto che alla ricorrente, all’epoca dei fatti capogruppo consiliare per … della Regione … è ascritto di aver effettuato numerosi e ripetuti esborsi, anche di piccola entità, per un importo complessivo tuttavia non trascurabile, la Corte d’appello, nel ritenerne la responsabilità per il delitto di peculato, ha premesso che la delimitazione strutturale del potere di spesa correlato alle contribuzioni imponeva che la spesa stessa fosse soggetta a controllo e che l’impiego si concretizzasse conformemente alle finalità istituzionali.

Di conseguenza, ha negato rilievo alla circostanza che la legge regionale del … vigente ai tempi dei fatti (legge n. 20 del 1991 cit.) facesse genericamente riferimento al «funzionamento del gruppo» (art. 3) e alla possibilità di impiegare le somma «senza vincolo di destinazione» (art. 4), ritenendo comunque necessaria la conservazione dei documenti a supporto degli esborsi sostenuti, poiché – affermano i giudici di secondo grado – deve ritenersi immanente al sistema in generale un intrinseco ed ineliminabile dovere di giustificazione della spesa secondo le precipue finalità istituzionali.

D’altro canto, prosegue la sentenza impugnata, la sentenza Corte cost. n. 1130 del 1998 ha chiarito che le spese istituzionali dei gruppi consiliari sono quelle relative all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, alla elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all’acquisizione di informazioni sull’attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla società, alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attività istituzionali del Consiglio regionale.

Ciò premesso, il giudice di secondo grado ha ritenuto «ontologicamente incompatibile» con la finalità istituzionale l’acquisto di prodotti da supermercato prevalentemente effettuato in un esercizio commerciale situato nelle vicinanze della sede del Consiglio regionale o in altri supermercati ubicati in luoghi diversi presso i quali si sono registrati, tra l’altro, piccoli esborsi effettuati in più occasioni nell’arco dello stesso giorno, incluso il sabato, anche per articoli per la casa, e per manifesti funebri in occasione di lutti riferibile a parenti di persone esponenti politici regionali di area.

Ha reputato insostenibile la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di succedanei di buoni pasto riconosciuti ai collaboratori, dal momento che questi erano comunque retribuiti con busta paga.

Discorso analogo ha svolto in relazione alle spese presso bar e pasticcerie, nonché alle ripetute ricariche telefoniche in favore di soggetti afferenti a uffici regionali diversi dal gruppo consiliare e di congiunti degli stessi, con riferimento alle utenze di segretaria dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, e di suo marito.

Altra tipologia di spesa considerata non adeguatamente giustificata ed esorbitante il perimetro dell’attività consiliare è quella concernente le prestazioni di lavoro occasionale non formalizzate. Sebbene si trattasse di spese puntualmente giustificate e astrattamente compatibili con la funzionalità del gruppo, in motivazione si è precisato che le ricevute delle somme corrisposte a tre persone a titolo di prestazione occasionale riguardavano un periodo in cui due di esse avevano un contratto stipulato con il gruppo per attività regolarmente retribuita a mezzo di busta paga, mentre il pagamento (5.000 e rotti euro) in favore di recava una causale “contorta” che non consente di comprendere né l’oggetto né i confini del finanziamento.

Infine, le spese di ristorazione estese a più persone non sarebbero state inquadrabili nella generale categoria delle spese di rappresentanza, in quanto non regolarmente giustificate e documentate con l’esposizione, caso per caso, dell’interesse istituzionale perseguito (a tal proposito, viene citata sent. Corte dei Conti, sez. 2, n. 64 del 11/05/2006).

Tra i pagamenti non riscontrati, la Corte di appello ha citato: quelli compiuti presso una trattoria di mare di T. (12 pasti per un importo complessivo di 700 euro nel giorno festivo di domenica); quelli presso il bar centrale di C., reputati di per sé eloquenti per frequenza sistematicità (per un importo di 132 euro); quelli presso un’osteria di I., in due occasioni, per un totale di 378 euro.

I giudici di secondo grado hanno riferito, d’altronde, che, a seguito dell’escussione dei testimoni, è emerso che le ragioni delle cene pagate dall’imputata erano prevalentemente riconducibili a motivazioni politiche, trattandosi cioè di incontri organizzati per conto del partito, e ne hanno desunto che non si ravvisassero iniziative di gruppo funzionali al rilievo dell’attività del consiglio: nessun contesto pubblico in cui valorizzare la proiezione del gruppo in funzione dell’azione della visibilità del consiglio; nessuna iniziativa istituzionale di divulgazione di programmi e attività; nessun evento ufficiale idoneo ad attirare l’attenzione di organi qualificati o dei cittadini amministrati su temi di interesse generale. In definitiva, nessuna proiezione di rilievo esterno dell’attività del gruppo.

Diversamente hanno concluso quanto alle ricariche telefoniche (con l’eccezione di quelle a favore di … e di… alle trasferte all’interno e all’esterno dei confini regionali, essendo, per tali spese, mancato l’accertamento della non inerenza di tali spese al funzionamento del gruppo, che, per contro, avrebbe dovuto essere vagliato in concreto.

La decisione della Corte di cassazione

…Contrasto della sentenza impugnata con la giurisprudenza recente della Cassazione in tema di peculato

Tanto precisato in ordine al percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello e premesso che la ricorrente, in quanto capogruppo consiliare regionale era pubblico ufficiale, dotata di potere di spesa – profili invero non contestati dalla difesa -, la qualificazione dei fatti come peculato operata dal giudice di secondo grado si pone in contrasto con il recente corso della giurisprudenza della Cassazione, che il collegio intende ribadire (v., tra le altre, Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Rv. 274940, che ha ravvisato il peculato nell’utilizzo dei contributi destinati al gruppo consiliare per finalità esclusivamente personali dell’imputato e sicuramente non riconducibili, neppure indirettamente, all’attività politica ed istituzionale e, di recente; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Rv. 284577).

…Mancata dimostrazione dell’incompatibilità tra le spese rimborsate e le esigenze di funzionamento dei gruppi consiliari regionali

In particolare, si osserva quanto segue.

Un assunto su cui la Corte di appello fonda la responsabilità della ricorrente è l’incompatibilità delle spese realizzate dall’imputata con le finalità istituzionali dei fondi assegnati al gruppo.

In proposito, va precisato che giudici di secondo grado escludono espressamente che le spese fossero state compiute per finalità personali.

Tuttavia, come già riferito, ritengono trattarsi di esborsi «ontologicamente incompatibili con la finalità istituzionale espressamente indicata dalla legge regionale» ed adombrano – in alcuni passaggi affermano – che tali spese fossero invece finalizzate a scopi politici e, in specie, a finalità di propaganda elettorale, dal momento che, di lì a poco, l’imputata sarebbe stata eletta parlamentare.

Concentrando l’attenzione, per il momento, sulla prima tipologia di spese, in particolare, nella sentenza impugnata sono citati: gli esborsi per l’acquisto di prodotti da supermercato (biscotti, affettati crackers, bibite, tovaglie, detersivi), per buona parte emessi dallo stesso esercizio commerciale situato nelle immediate vicinanze della sede del Consiglio regionale ma anche da altri supermercati, nonché per l’acquisto di articoli per la casa; le spese per «manifesti funebri in occasione di lutti riferibili a parenti di persone o esponenti politici regionali di area»; le spese minute effettuate presso self-service, bar o pasticcerie situati nelle immediate vicinanze della sede del consiglio regionale, le spese per ricariche telefoniche a favore della Segretaria presso l’ufficio di presidenza (…) del Consiglio regionale e a favore del marito di quest’ultima (…) i quali non avevano legami con il suddetto gruppo consiliare.

Invero, tuttavia, come rilevato dalla ricorrente, gli artt. 3 e 4, nel testo allora vigente, della legge regionale n. 20/1991 cit., richiamati anche in sentenza, si limitavano a prevedere un mero obbligo di rendicontazione (art. 4, nn. 3 e 4) la cui violazione, come si dirà, è suscettibile, al più, di rilevare in sede erariale.

La legge citata nulla diceva quanto alla destinazione delle somme assegnate per il funzionamento dei gruppi consiliari, limitandosi l’art. 1 a disporre che l’assegnazione dei mezzi finanziari fosse «funzionale al funzionamento» dei gruppi in oggetto e, prevedendo, quindi, una disciplina dalla trama normativa lasca, che lasciava ampi spazi di discrezionalità al capogruppo.

In un siffatto contesto legislativo, la rilevata (in sentenza) «ontologica incompatibilità» delle spese effettuate rispetto alle finalità istituzionali appare tutt’altro che nitida, e diventa ancor meno chiara se si confrontano le spese sostenute dalla ricorrente – che questa ha eccepito di aver sostenuto per assicurare ai collaboratori frugali vitti in ufficio, come succedaneo dei buoni pasto o per acquisti destinati ai locali in cui si svolgeva l’attività del gruppo consiliare – con quelle esemplificativamente elencate dalla recente, già citata, Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit. (relative all’acquisto di sigarette, caramelle, biglietti della lotteria, gratta e vinci ecc.).

Probabilmente, d’altronde, di tale «incompatibilità» – che dovrebbe essere, per così dire, “auto-evidente”, ma che tale non risulta – nel caso di specie, non era del tutto persuasa nemmeno la stessa Corte di appello se, a sostegno della configurabilità del delitto di peculato, anche per tali spese adduce (invero sulla base di una non recentissima giurisprudenza di legittimità) argomenti ulteriori, quali: 1) la mancata adeguata giustificazione contabile delle spese (in virtù dell’esistenza di un obbligo «immanente» di controllo contabile); 2) la mancata allegazione della non esondazione dal perimetro istituzionale dell’attività consiliare; 3) il fatto che l’imputata e molte delle persone nel cui interesse questa le ha sostenute avessero comunque regolare retribuzione (argomento non compiutamente sviluppato ma speso talvolta en passant).

Tuttavia, una volta negata la «ontologica incompatibilità» delle spese rispetto alle finalità istituzionali (peraltro, come si specificherà subito di seguito, alcuni acquisti per cui gli esborsi sono stati effettuati non sono nemmeno identificati), anche in ragione dei già richiamati vaghi contenuti della normativa regionale di contesto, tali argomenti finiscono con il risultare destituiti di fondamento.

…Irrilevanza penale delle spese “ancipiti”

Cominciando dall’ultimo – e cioè dalla considerazione che l’imputata e le persone nel cui interesse si assume che le spese fossero state compiute erano destinatarie di autonoma retribuzione -, in una situazione di vuoto probatorio quanto alla estraneità delle spese rispetto al perimetro del mandato consiliare, l’affermazione della Corte di appello non si concilia con una disciplina regionale – peraltro, all’epoca, come ricordato, assai poco dettagliata – che consentiva comunque lo stanziamento di fondi per il funzionamento del gruppo, in aggiunta a quelli destinati al personale (l’art. 1 legge regionale n. 20/1991 cit. parlava, infatti, di «assegnazione dei mezzi finanziari e del personale necessario»).

Di conseguenza, l’utilizzazione dei fondi per compiere spese “ancipiti”, che cioè non esulano in modo inequivoco dalla finalità istituzionale “organizzativa” dell’attività consiliare, integra, in sé considerata, una prassi riprovevole, molto poco elegante, vuoi anche illecita sul piano erariale e civilistico, ma non per questo assurge automaticamente a rilievo penale, non essendo univocamente sintomatica della realizzazione di una condotta appropriativa.

…Spese la cui inerenza alla finalità istituzionale non è stata chiarita: non spetta alla difesa dimostrarne l’esistenza ma all’accusa provarne l’inesistenza

Quanto, poi, alla mancata giustificazione della finalità istituzionale della spesa da parte dell’imputata – altro argomento speso dalla sentenza impugnata -, va premesso che, come anche emerge dal capo di imputazione, molte spese minute (presso supermercati, bar, negozi, servizi di ristorazione) nemmeno sono state mai identificate (risultano compiute per l’acquisto di beni «non identificati» o «non indicati» o indicati con la dicitura «varie» ecc.).

Ebbene, in particolare quanto a tali esborsi, ma anche in rapporto all’acquisto di beni specificatamente indicati e tuttavia – si ripete – dalla funzionalizzazione ambigua e talvolta oscura, il ragionamento della Corte di appello integra una vera e propria inversione dell’onere probatorio, poiché finisce con lo scaricare sulla difesa il compito, peraltro nemmeno sempre sostenibile, di dimostrare la destinazione istituzionale della spesa.

La sentenza impugnata, a parte il richiamo all’obbligo di rendicontazione contabile (sul quale, di seguito), non adduce infatti elementi a sostegno della valutazione di non inerenza istituzionale delle spese rimborsate: neppure sul piano della prova logico-indiziaria, che sarebbe stata invece raggiunta ove, per esempio, fossero state portate a rimborso spese che l’imputata non poteva aver sostenuto perché, in quel momento, si trovava altrove, oppure spese portate a doppio rimborso ovvero ancora spese di importo evidentemente sproporzionato rispetto ad una possibile finalizzazione lecita (come in Sez. 6, n. 20916 del 19/04/2023, non mass.).

A questo punto, tuttavia, si impone una precisazione, poiché, in alcuni punti, la motivazione della pronuncia di secondo grado accenna, invero, ad esborsi di cui avrebbe potuto forse essere dimostrata la incompatibilità con le esigenze di funzionamento del gruppo consiliare.

Un punto è quello in cui la sentenza allude a spese sostenute “prima” della costituzione dei gruppi consiliari e da cui, pertanto, esulava, con ogni probabilità, la necessaria finalizzazione istituzionale.

Si tratta, però, di un passaggio veloce, quasi incidentale nell’economia della motivazione e, soprattutto, così generico (nella motivazione nemmeno precisandosi quando i gruppi furono costituiti) da non consentire spazi per un annullamento con rinvio.

Ancora, la prova dell’inerenza all’attività politica/di propaganda elettorale, piuttosto che al mandato consiliare, avrebbe potuto essere forse raggiunta in relazione a talune spese (diverse da quelle minute e coinvolgenti un numero di coperti superiore a due o tre) per ristorazione in bar, ristoranti, osterie.

Si afferma, infatti, nella sentenza che, in dibattimento, alcuni testimoni avevano riferito che l’imputata, in mancanza di locali ad hoc, era solita riunirsi in tali luoghi con altri esponenti politici del suo partito per parlare di problematiche varie.

Anche qui, tuttavia, i giudici di merito non sono entrati nel dettaglio di quali tali esborsi fossero, e nemmeno hanno riportato gli apporti dichiarativi da cui desumere, in modo inequivoco, che gli incontri in oggetto fossero destinati a riunioni di partito o all’organizzazione della propaganda elettorale.

Considerazioni analoghe valgono, infine, quanto alle ricariche telefoniche a favore di … (segretaria dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale) e di … (marito di lei), nonché in relazione alle spese per i manifesti funebri sostenute – precisa la sentenza – «in occasione di lutti riferibili a parenti di persone o esponenti politici regionali di area» e, ancora, al compenso erogato per l’attività giornalistica di … che la Corte di appello adombra fosse volta a sostenere la ricorrente in campagna elettorale.

Come per le spese di cui al punto precedente, la Corte di appello si limita a svolgere un ragionamento poco più che congetturale, senza motivare compiutamente e, quindi, senza riuscire a fugare i dubbi che, nei fatti, insinua la sottile distinzione tra attività “amministrativa” vera e propria e attività politica dei gruppi consiliari.

In tal senso, non va, infatti, trascurato che Corte cost. 187 del 1990 ha sì esemplificato l’attività dei gruppi consiliari, rispetto alla cui realizzazione alcune spese rivestono all’evidenza valore strumentale, ma ha pure riconosciuto che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all’attività dell’assemblea, assicurando l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche programmatiche: realizzando, in una parola, – precisa la Corte costituzionale – quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica. E che Corte cost. n. 1130 del 1998 (citata nel provvedimento impugnato) ha, quindi, precisato che «per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non è arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo affinché ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all’espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale».

…Natura giuridica duplice dei gruppi consiliari regionali

Parimenti, deve ricordarsi come la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. U, n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757; Sez. U. n. 3335 del 19/02/2004, Rv. 570307) abbia riconosciuto al gruppo consiliare regionale una duplice natura giuridica: privatistica, quanto all’attività direttamente connessa alla matrice politica dalla quale traggono origine; pubblicistica, in rapporto all’attività che attrae il gruppo nell’orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare.

Si conferma, pertanto, anche sotto questo aspetto, il carattere anfibio, o comunque non univocamente definibile, dell’attività svolta dal gruppo consiliare: certamente disambiguabile con riferimento a concrete situazioni di fatto, ma che, nel caso di specie, nemmeno avrebbe potuto, comunque, trovare chiarificazione a seguito di approfondimenti in sede di eventuale rinvio: l’annullamento con rinvio della sentenza essendo precluso dalla prescrizione dei reati, nel frattempo intervenuta.

…Omessa giustificazione contabile delle spese: inammissibile identificazione tra responsabilità penale e responsabilità contabile

Resta, infine, da accennare all’argomento – ricorrente nella sentenza impugnata e spesso accostato a quello della mancata allegazione della non esondazione dal perimetro istituzionale – relativo all’omessa giustificazione contabile, da parte di … delle spese effettuate (in uno con la mancata conservazione dei “giustificativi”): obbligo ritenuto «immanente» – la Corte di appello richiama sul punto un indirizzo interpretativo della Cassazione – nell’attività consiliare e che comunque trovava nel caso di specie fondamento nella normativa regionale allora vigente.

Oltre ad integrare la già rilevata inversione dell’onere probatorio, tale criterio – nella situazione di delineata irrisolta incertezza probatoria – conduce ad un’inammissibile identificazione tra responsabilità penale e responsabilità contabile.

D’altronde, ribadito che la legge regionale molisana allora vigente, pur non disponendo specifici “vincoli di destinazione” delle somme, comunque prevedeva un generico obbligo di rendicontazione (e precisato anche, sebbene incidentalmente, che l’imputata ha restituito all’erario l’intero importo della contestazione), la più recente giurisprudenza di legittimità distingue ormai nettamente i due ambiti di responsabilità penale e contabile (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, Rv. 276712; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit.), negando che dalla prima possa essere fatta discendere sic et simpliciter la seconda ed ulteriormente precisando come al giudice penale sia precluso ogni sindacato sui profili, prettamente discrezionali, della necessità ed adeguatezza della spesa sostenuta.

In altre parole, l’omessa ottemperanza all’obbligo di rendicontazione, che può dar luogo a responsabilità contabile, non necessariamente implica responsabilità penale, della quale rappresenta, al limite, soltanto una spia.

Non può assurgere, cioè, a prova della “appropriazione”: concetto legato ad un’utilizzazione del denaro o dei beni per fini strettamente personali o comunque chiaramente inconciliabili con quelli istituzionali.

…Considerazioni conclusive

In conclusione, con riferimento al caso in oggetto, deve essere ribadito che non è configurabile il delitto di peculato in caso di inadeguatezza e incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza, che non permettono di riferire gli esborsi a finalità istituzionali dell’ente, gravando sull’accusa l’onere della prova dell’appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalità privatistiche (Sez. 6, n. 21166 del 09/04/2019, Rv. 27607) o comunque non strettamente afferenti all’attività consiliare (Sez. 6, n. 11341 del17/11/2022, dep. 2023, cit.), non potendo farsi derivare l’illiceità della spesa dalla mancanza di adeguata giustificazione contabile delle spese ed occorrendo, per contro, la prova dell’appropriazione, e quindi dell’offensività della condotta, quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, Rv. 276712; Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, cit.).

…Esito

Essendo i restanti motivi di ricorso assorbiti, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

Note di commento

Ci sarebbero state tutte le condizioni – secondo la “sensibilità” prevalente in questa stagione sociale e giudiziaria – perché la decisione qui commentata fosse di segno opposto a quello effettivamente prescelto: slogan di facile presa come la mala politica, le spese pazze, l’impunità dei colletti bianchi ed altri similari; capisaldi interpretativi come, ad esempio, la “doppia conforme” che, come è noto a chiunque pratichi la Cassazione, è un monolite durissimo da scalfire; trend legislativi assai in voga come quello della cosiddetta tutela multilivello che, a fronte di condotte considerate massimamente riprovevoli in quanto lesive di beni giuridici di rilievo primario, esige la proliferazione delle sanzioni da affiancare a quella penale.

Sia chiaro: slogan e parole d’ordine dovrebbero essere tenuti fuori dalle aule di giustizia, le visioni giurisprudenziali e gli sbarramenti che ad esse conseguono non sono scritture sacre vincolanti, la tutela multilivello non può mai giustificare l’assunzione da parte del giudice penale di compiti e finalità che non gli spettano e l’indebita confusione tra responsabilità penale, civile, amministrativa e contabile. Eppure ognuna di condizioni, che corrispondono ad altrettante tentazioni, è sempre latente nella giustizia penale e sono numerosi e documentabili gli episodi che lo confermano.

Piace sottolineare che in questo caso il collegio di legittimità, peraltro affidandosi ad una relatrice – Ombretta Di Giovine – proveniente dall’accademia e nominata consigliere della Suprema Corte per meriti insigni ai sensi della L. n. 303/1998, non ha ceduto ad alcuna di quelle tentazioni e, pur non minimizzando la carenza di etica e di eleganza istituzionale della ricorrente, si è attenuta col massimo rigore al principio cardine del processo penale: se l’accusa pubblica non dimostra la fondatezza delle sue asserzioni in modo solido, senza ricorrere a comode presunzioni e senza profittare di indebite facilitazioni probatorie, gli imputati devono essere assolti.

L’affermazione di questa semplice ma essenziale verità è stata il frutto di una sequenza argomentativa lucida ed impeccabile per la quale si rimanda per intero ai paragrafi precedenti.

Ancora qualche notazione prima di finire.

Sentenze come quella commentata ricordano ciò che spesso si dimentica: il ruolo della Suprema Corte, lungi dall’esaurirsi nell’assicurazione dell’uniformità del diritto nazionale, ha il suo significato più alto e nobile nella produzione e nello stimolo di un formante giurisprudenziale sempre e soltanto costituzionalmente orientato.

È prezioso e da incrementare l’apporto che giuristi formatisi secondo i percorsi propri dell’accademia sono in grado di dare allorché sia necessario mettere a nudo e dismettere riflessi autoreferenziali dell’ambito giudiziario in senso stretto.