La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 33810 depositata l’1 agosto 2023 ha stabilito che l’impedimento a comparire dell’imputato, che riguarda non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per esercitare il diritto di difesa, può essere integrato anche dagli effetti dell’assunzione di una terapia debilitante, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall’imputato e a lui non ascrivibile.
La Suprema Corte richiama il principio di diritto enunciato dalla medesima sezione con la sentenza numero 12056 del 20 gennaio 2021, Rv 281022 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il rigetto della istanza di rinvio, in assenza di rappresentazione di uno stato di alterazione, conseguente a radioterapia, tale da impedire la partecipazione dell’imputato all’udienza.
In questo caso, il ricorrente deduce nullità del giudizio di primo grado – e degli atti successivi – celebrato all’udienza del 24 febbraio 2017, nonostante l’imputato avesse documentato di essere sottoposto a trattamento radioterapico di una neoplasia, con programmazione delle sedute dal 16 al 22 marzo 2017, in un generalizzato quadro patologico certificato, mentre il Tribunale ha disatteso la richiesta di rinvio reputando non essere stata dimostrata l’assolutezza dell’impedimento, invece evincibile dalla documentazione prodotta, da cui discende – in correlazione alle diverse patologie pure attestate – evidenti difficoltà di deambulazione, con conseguente lesione del diritto di difesa. Siffatta prospettazione non è conducente. Da un lato, invero, del tutto ragionevolmente i giudici del merito hanno ritenuto l’istanza non tempestiva, in quanto la documentazione medica prodotta all’udienza del 24 febbraio 2017 risultava datata il 16 febbraio 2017 e sarebbe, pertanto, potuta essere depositata prima dell’udienza, nella quale era stato citato il curatore; dall’altro, la decisione è incensurabile in quanto dalla produzione difensiva, mentre risulta effettivamente che l’imputato si sia sottoposto a visita ed alla prima seduta di radioterapia il 16 febbraio 2017, non è dato, invece, ritenere che il medesimo abbia, effettivamente, assunto l’ulteriore somministrazione, programmata per il 20 febbraio, né che dall’assunzione terapeutica fossero derivati effetti tali da incidere, con il carattere dell’assolutezza, sulla capacità dell’imputato di presenziare all’udienza.
Ne deriva l’incensurabilità della decisione sul punto, nella parte in cui la Corte territoriale ha reputato come la seduta di terapia, calendarizzata per il 16 febbraio precedente, non configurasse ex se, seppur correlata a pregresse patologie, i requisiti di assolutezza e gravità che legittimano il rinvio, in assenza anche solo della rappresentazione di uno stato di alterazione, conseguente alla somministrazione farmacologica, tale da impedire la partecipazione all’udienza.
Nei termini predetti, l’avversata sentenza ha fatto corretta applicazione del principio per cui, in tema di legittimo impedimento dell’imputato, è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisita la certificazione medica prodotta dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità per l’imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018 – dep. 2019, Rv. 275285 in fattispecie in cui la cassazione ha ritenuto esente da censure l’ordinanza che aveva rigettato l’istanza di rinvio avanzata per impossibilità di deambulazione).
In particolare, non risultano irragionevolmente applicate massime di comune esperienza in quanto, in assenza di evidenze di segno contrario, il decorso di otto giorni dall’assunzione di radioterapia non evidenzia immediatamente l’assoluto impedimento a comparire in udienza ed a parteciparvi attivamente, laddove l’imputato non documenti l’insorgenza di particolari effetti collaterali, correlati al personale quadro clinico complessivo e tali da escludere la possibilità di intervenire all’udienza.
Va, pertanto, ribadito il principio per cui l’impedimento a comparire dell’imputato, che concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa, può essere integrato anche dagli effetti dell’assunzione di una terapia debilitante, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dal medesimo imputato ed allo stesso non ascrivibile, se documentata.
