Vicenda e motivi di ricorso
Il GIP ha applicato ai ricorrenti una pena concordata per il reato di riciclaggio.
I loro difensori ricorrono per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto ex art. 448, ultimo comma, c.p.p. e 606, primo comma, lett. b), c.p.p. per la mancata riqualificazione nella fattispecie di cui all’art. 640-ter cod. pen.
Affermano che la condotta ascritta agli imputati è consistita nell’aver messo a disposizione il proprio corrente per ivi far confluire il denaro proveniente dalle truffe perpetrate con il sistema del c.d. man in the middle.
Ritengono che tale condotta integri un elemento costitutivo della frode informatica, in quanto consente di perseguire l’ingiusto profitto.
Decisione della Corte di cassazione
I ricorsi sono stati decisi da Cass. pen., Sez. 2^, sentenza n. 29346, udienza dell’8 marzo 2023.
L’esito è stato di manifesta infondatezza e quindi di inammissibilità.
Qui di seguito il percorso argomentativo che lo ha giustificato.
Al fine di risolvere la questione della qualificazione giuridica occorre guardare al fatto, così come descritto nell’imputazione e cristallizzatosi nel giudizio, con particolare riguardo alle modalità della condotta, non contestate dai ricorrenti.
Ebbene, dalle imputazioni emerge che l’autore della frode informatica aveva già conseguito il profitto, con la percezione fraudolenta delle somme di denaro corrisposte dalle vittime di quel reato.
Vale rimarcare come la percezione delle somme per effetto della frode segna il momento perfezionativo del reato, con il conseguimento dell’ingiusto profitto.
Tale dato vale a risaltare come le somme di denaro venivano trasferite sui conti correnti degli odierni ricorrenti, quando il reato presupposto si era ormai perfezionato, in via autonoma e senza il contributo dei titolari dei conti correnti costituenti i recipienti delle somme di denaro provento di delitto. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, dunque, gli autori dei delitti presupposti avevano autonomamente conseguito il profitto del loro reato, così che la successiva operazione di immissione del denaro sui conti correnti degli imputati è una condotta oggettivamente ulteriore e successiva, idonea a configurare il reato di riciclaggio, mancando il concorso alla realizzazione del reato presupposto, così come impone, in generale, la clausola di riserva prevista dall’art. 648-bis cod. pen. La loro condotta si colloca, invece, in un momento successivo, quando sorge l’esigenza di “ripulire” il denaro proveniente dal delitto di frode informatica, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa del medesimo; con una condotta, dunque, esattamente inquadrabile in una delle tipiche ipotesi previste dall’art. 648-bis cod. pen.
Va, dunque, affermato che integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, da altri precedentemente ricavato quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari.
Da ciò la manifesta infondatezza dei ricorsi.
