Riparazione per ingiusta detenzione: gli elementi valutabili (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 25358/2023, udienza del 24 maggio 2023, offre la sua versione del decalogo cui è soggetto il giudice della riparazione.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato causa o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se essa sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Rv. 25908201). La valutazione del giudice della riparazione, pertanto, si svolge su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione, egli ha piena ed ampia libertà di considerare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro ed altri). L’unico limite incidente su tale valutazione è rappresentato dall’accertamento effettuato dal giudice della cognizione. Invero, per consolidato orientamento della Corte di legittimità, il giudice della riparazione non può mai ritenere provati fatti che tali non siano stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo abbia valutato come dimostrate (così, Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Rv. 270039; conforme Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 262957).

Condotte rilevanti ai fini della esclusione della riparazione sono quelle di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto-incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Si è inoltre affermato che nei reati contestati in concorso vengono particolarmente in rilievo atteggiamenti che si prestano, sul piano logico, ad essere percepiti come manifestazioni di contiguità con l’attività criminale altrui (Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010 Rv. 249237 ; Sez. 4 n. 4159/2009; Sez. 4, n. 29550 del 05/06/2019, Rv. 277475 : “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue con soggetti condannati nel medesimo procedimento possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, anche nel caso in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate“).

Giova a riguardo sottolineare che costituisce colpa grave, idonea a impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’utilizzo, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale era stata disposta la custodia cautelare. Si è giunti a tali conclusioni, ad esempio, in un caso in cui l’interessato aveva documentato che le frasi in codice utilizzate in conversazioni telefoniche erano riferibili al commercio di monili e aveva giustificato l’utilizzo del linguaggio criptico con la natura fiscalmente irregolare della sua attività (Sez. 4, n. 48029 del 18/9/2009, Rv. 245794); ed anche in un caso, non dissimile da quello in esame, in cui dalle conversazioni intercettate era emerso l’apparente coinvolgimento del ricorrente in una trattativa volta a fissare il prezzo di acquisto di sostanza stupefacente, circostanza della quale, nel corso delle indagini, egli non aveva voluto fornire una logica spiegazione al fine di eliminare il valore indiziante degli elementi acquisiti (Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, Rv. 268954).