Reato continuato: da riconoscere solo se dimostrato un programma delittuoso generale (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 25183/2023, camera di consiglio del 28 aprile 2023, ha ribadito il principio per il quale il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1^, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Rv. 267596).

L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5^, n. 1766 del 06/07/2015 – dep. 2016, Rv. 266413).

L’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quello cronologicamente anteriori (Sez. unite, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).

Ciò premesso, il ricorso deduce anzitutto che, al contrario di quanto sostenuto nella ordinanza impugnata, i reati oggetto della istanza non sarebbero stati dettati da differenti motivi a delinquere, perché anche l’episodio di resistenza e lesioni si inserirebbe in un tentativo di rapina non portato a termine, talché entrambi i fatti sarebbero espressione della finalità di commissione di reati predatori.

Si tratta di argomento non idoneo a disarticolare il percorso logico della ordinanza impugnata, perché, come correttamente notato dal giudice dell’esecuzione, i reati di resistenza e lesioni sono frutto della situazione estemporanea avvenuta in occasione dell’intervento di polizia giudiziaria e sono difficilmente programmabili in anticipo, sia pure “nelle linee essenziali” (cfr. Sez. unite Gargiulo sopra citata).

Il ricorso deduce ancora che il giudice dell’esecuzione non avrebbe valutato correttamente la limitata distanza temporale tra i due episodi criminosi, ma una distanza di undici mesi tra due diversi fatti di reato non è una distanza così esigua da introdurre vizi di logicità nel ragionamento della ordinanza impugnata, talché l’argomento speso in ricorso, lungi dall’individuare un vizio di illogicità della motivazione, si risolve in una richiesta di rivalutazione della decisione del giudice del merito.

Il ricorso sostiene ancora che non sarebbe stato valutato adeguatamente l’eventuale elemento unificatore costituito dalla patologia psichiatrica di cui soffre il condannato.

Anche questo argomento, però, non è fondato, perché il giudice dell’esecuzione ha valutato l’esistenza dei disturbi psichici del condannato, evidenziando, però, l’assenza, nel caso specifico, di elementi idonei a suffragare l’assunto difensivo circa l’incidenza di tali disturbi sulla determinazione a commettere i singoli reati e sulla individuazione di un filo conduttore tra essi.

In definitiva, il ricorso è infondato.