L’avvocato il cui studio legale sia ubicato in locali contigui a quelli utilizzati da un organismo di mediazione commette illecito disciplinare (di Vincenzo Giglio)

Con la sentenza n. 252/2022 depositata il Consiglio nazionale forense ha confermato la decisione di un Consiglio distrettuale di disciplina che ha applicato ad un iscritto all’Albo degli avvocati la sanzione della sospensione per due mesi dall’esercizio della professione per “essersi reso responsabile della violazione dell’art. 55 bis del precedente codice deontologico (art. 62 codice attuale), in particolare il IV comma che fa divieto all’avvocato di consentire che l’organismo abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione. In [OMISSIS] in data prossima e successiva al …“.

Questi di seguito sono i punti salienti della decisione.

Il disvalore ascritto alla coincidenza ovvero contiguità tra sede dell’organismo di mediazione e sede dello studio legale deriva dalla necessità di evitare anche la mera apparenza di una commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell’imparzialità dell’avvocato-mediatore.

Ora, sebbene la circostanza sia emersa, nel caso di specie, in relazione ad un preciso procedimento mediatorio, va allo stesso tempo sottolineato come il valore protetto dalla norma abbia rilievo generale e indipendente rispetto allo svolgimento di singoli procedimenti e debba dunque essere tutelato a prescindere dalla circostanza che la commistione di interessi emerga in relazione a un procedimento individuato.

Giova premettere la pacifica ricostruzione dei fatti e soprattutto dei luoghi così come riconosciuta dalla decisione impugnata e così descrivibile:

– il comune ingresso di studio ed organismo, pur con differente campanello;

– il comune pianerottolo ed un vano/anticamera condiviso;

– la diversità delle porte di accesso e poi, a seguire, dei locali propri dello studio e dell’organismo di mediazione.

Tutte le lamentele del ricorrente, pur differenziando in differenti profili, non criticano tale ricostruzione dei luoghi quanto piuttosto la loro valutazione e la loro rilevanza con riferimento alla norma del Codice Deontologico secondo la quale è fatto divieto all’avvocato di consentire che un organismo di mediazione abbia sede presso il suo studio e viceversa: in altre parole se l’accertata separazione dei locali, la loro continuità ma non coincidenza, valga ad escludere la violazione della disposizione del codice deontologico pertinente, oppure no.

Orbene, l’esame di tale punto da parte della decisione impugnata è stato particolarmente approfondito e motivato e merita seguito: quel che i principi deontologici son posti a difesa e baluardo non è soltanto la presenza dei valori etici nell’esercizio della professione forense, ma altresì la sua apparenza agli occhi dei terzi perché è dalla apparente mancanza apparenza che può derivare una generale immagine negativa anche dell’istituto della mediazione.

La decisione, correttamente richiama la circolare illustrativa di codesto Consiglio (la n. 24/2011) sul canone IV dell’allora articolo 55 nella quale viene espressamente valutata la necessità o meno di una effettiva coincidenza spaziale e logistica tra studio e organismo, escludendo tale rigida necessità poiché anche soltanto la contiguità può costituire un fattore, agli occhi dei terzi, di una ipotetica commistione di interessi sufficiente a far dubitare dell’imparzialità ed indipendenza dell’avvocato-mediatore.

Il divieto di coincidenza/contiguità non opera soltanto nei confronti dei soggetti in mediazione, ma anche e soprattutto a tutela dell’immagine dell’Avvocatura e, come già detto, anche dell’istituto della mediazione ed è posto proprio affinché i cittadini possano ad essa affidarsi in totale fiducia e trasparenza. “La sovrapposizione tra studio legale e l’organismo di mediazione”, scrive la decisione impugnata, “finirebbe per integrare una indubbia situazione di potenziale accaparramento e/o sviamento di clientela: l’avvocato ospitante od ospitato si troverebbe a godere di una rendita di posizione volta ad acquisire come potenziali clienti coloro che volessero sperimentare la mediazione o coloro che avessero frequentato l’organismo con esito negativo sul piano della conciliazione”.