Il patto di meretricio è nullo per contrarietà al buon costume: effetti per le “parti” (di Riccardo Radi)

La prostituta e il cliente non hanno tutela giuridica in caso di inadempienza dell’altra parte alla prestazione stabilita nel “contratto” di meretricio.

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 8371 depositata il 24 febbraio 2023 ha esaminato la questione della configurabilità dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni invece che di tentata estorsione nel caso di una prostituta che usi violenza nei confronti del cliente che non paghi il prezzo pattuito per la prestazione.

La Suprema Corte premette che il contratto di meretricio è un contratto nullo, ai sensi dell’art. 1343 cod. civ., in quanto contrario al buon costume.

In via generale, dalla nullità del contratto discende il diritto delle parti ad ottenere la restituzione di quanto è stato dato alla controparte.

L’art. 2035 cod. civ. esclude, tuttavia, la possibilità di ripetere la propria prestazione nel caso in cui il contratto, anche in relazione a chi ha effettuato la prestazione, sia immorale, come nel caso di specie, in cui è stato concluso un contratto di meretricio.

In questa ipotesi, ciascuna delle parti può trattenere quanto le è stato dato in esecuzione del contratto.

Di conseguenza la prostituta, laddove il cliente non paghi il prezzo pattuito per la prestazione sessuale, non può rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere il pagamento del compenso pattuito con conseguente non configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come prospettato dalla difesa stante l’ingiustizia del profitto che il ricorrente ha tentato di ottenere con violenza (Sez. 5, n. 13997 del 22/02/2021, non massimata).

Nella sentenza suindicata, la Suprema Corte ricorda il precedente al contrario quando è il cliente che invochi la tutela giuridica per la prestazione sessuale non ricevuta dopo averla pagata. Anche in questo caso i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto di meretricio è nullo per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1343 cod. civ. (Sez. 1, n. 45514 del 13/11/2007, Rv. 238135 – 01), preclude al cliente la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per richiedere la restituzione della somma versata per la prestazione sessuale non ricevuta e di conseguenza non è invocabile l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni invece del furto con strappo della borsetta della prostituta stante l’ingiustizia del profitto che il ricorrente ha tentato di ottenere con violenza.

Pertanto, l’impossibilità per il cliente di rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere la restituzione della banconota da euro 50,00 e la possibilità per la persona offesa di trattenere quanto a lei dato escludono che il fatto possa essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato è necessario che sussista la possibilità in astratto per l’agente di adire il giudice per ottenere quello che si è illegittimamente preteso in concreto mediante l’uso della violenza (Sez. 5, n. 22140 del 17/04/2019, Rv. 276249).

Per la configurabilità della ragion fattasi la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, caratterizzando il reato solo la sostituzione, da parte dell’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 6, n. 9436 del 01/07/1997, Rv. 209406).

In conclusione, tra cliente e prostituta vige la regola non codificata del “Te devi fidà