La polemica
Il 16 dicembre 2025 il presidente del tribunale di Milano e la presidente della sezione GIP dello stesso ufficio hanno emesso congiuntamente un comunicato stampa (allegato alla fine del post) allo scopo di illustrare l’organizzazione di quella sezione e la cultura della terzietà che la caratterizza.
Lo hanno fatto dichiaratamente in risposta all’attenzione che definiscono “speciale e suggestiva” riservata all’ufficio GIP da parte delle testate del Foglio e del Dubbio e con la volontà “in presenza di ripetute inesattezze e gravi strumentalizzazioni” di “fare chiarezza anche per riaffermare la cultura della terzietà dei giudici attraverso i meccanismi organizzativi adottati dal Tribunale di Milano”.
Il casus belli è ovviamente costituito dall’accusa esplicita formulata da quelle testate e poi divenuta virale sul web di avere riportato in auge, in riferimento al filone investigativo sulla gestione dell’ufficio urbanistico del Comune di Milano, la prassi, sperimentata e consolidata nella stagione di Mani pulite, di formare un fascicolo contenitore entro il quale stipare tutte le richieste della Procura meneghina attinenti a quel filone col risultato di assegnarle indistintamente allo stesso giudice persona fisica.
L’accusa
Ermes Antonucci, giornalista del Foglio e principale artefice e sostenitore di questa accusa, la esplicita così sul suo profilo X, con un post del 12 dicembre 2025 (leggibile a questo link):
“La procura di Milano ha trovato il suo nuovo Italo Ghitti. Lo ricordate? Era il gip che ai tempi di Mani pulite – grazie a un trucco ideato con il pool di Di Pietro & co. – riceveva tutte le richieste di arresto dei pm, accogliendole sostanzialmente tutte. Alla faccia del principio di rotazione del gip e quindi del giudice naturale. Oggi sembra avvenire lo stesso. Ieri un altro cantiere è stato sequestrato a Milano su richiesta dei pm per presunti abusi edilizi. A firmare il sequestro è stato il gip Mattia Fiorentini. Fa parte di un ufficio composto da 30 giudici ma quasi tutte le richieste di sequestro e di applicazione di misure cautelari dell’inchiesta sull’urbanistica finiscono sul suo tavolo, e vengono accolte. E’ stato Fiorentini il 7 maggio 2024 a disporre il primo sequestro di un cantiere (“Giardino Segreto Isola”). Il 7 novembre 2024 sempre il gip Fiorentini ha accolto la richiesta di sequestro del complesso immobiliare “Scalo House”. Il 5 marzo di quest’anno ha detto sì all’arresto di Giovanni Oggioni, ex dirigente del comune di Milano. Poi il 31 luglio il grande colpo di scena: Fiorentini, su richiesta dei pm, dispone 6 arresti (uno in carcere, 5 ai domiciliari). Subito definimmo “surreale” la sua ordinanza, che risultava piena di deduzioni fantasiose, valutazioni di stampo quasi sociologico e persino profezie, il tutto basato su una sorta di principio di presunzione di colpevolezza degli indagati. Ebbene, non a caso, nelle settimane successive tutte e 6 le misure cautelari sono state annullate dal Riesame. Ora la notizia dell’ennesimo sequestro, disposto sempre dal gip Fiorentini. A questo punto la domanda sorge spontanea: come è possibile che (quasi) tutte le richieste di sequestro e di applicazione di misure cautelari avanzate dai pm finiscono sul tavolo di Fiorentini? Siamo di fronte a un nuovo caso Ghitti? Per il ministro Nordio e il Csm è tutto normale?
P.S. A questo mistero se ne aggiunge un altro: il progetto di Via Anfiteatro al centro del sequestro di ieri è stato dichiarato lecito dal Tar della Lombardia nel 2021 e poi dal Consiglio di stato nel 2022. Per i magistrati milanesi anche i giudici amministrativi fanno parte del “sistema” che si cela dietro gli abusi edilizi?”.
Non c’è bisogno di sottolineare quanto sia grave quest’accusa.
La sua sostanza, al di là delle domande retoriche di Antonucci, è che ben due uffici giudiziari milanesi, la Procura presso il Tribunale e la sezione GIP del Tribunale che costituisce la naturale destinataria delle sue richieste nella fase delle indagini preliminari, abbiano operato di concerto e in violazione delle regole tabellari che disciplinano la ripartizione degli affari tra i giudici di quella sezione allo scopo di costituire un unico referente per quelle richieste.
Già solo quest’accordo, ove esistente, sarebbe gravissimo poiché implicherebbe che l’ufficio giudiziario cui il codice di rito assegna il compito di primo controllore dell’operato dei PM avrebbe invece assunto un ruolo cooperativo.
Se poi questo snaturamento si fosse spinto fino al punto di applicare uno standard valutativo compiacente e quindi acritico del controllore verso il controllato, non sarebbe esagerato parlare di vero e proprio abbandono della terzietà.
La difesa
A fronte di questa accusa, la difesa esplicitata nel comunicato stampa è forte è assertiva.
I due Autori rivendicano il rispetto assoluto del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, attuato attraverso il programma informatico Aspen che “garantisce sempre criteri predeterminati e oggettivi nell’individuazione del Giudice” (in allegato alla fine del post il documento tabellare vigente nel tribunale di Milano che ne fa menzione).
Specificano che “Una volta individuato e assegnato il procedimento al Giudice, le richieste successive alla prima provenienti dalla Procura della Repubblica nell’ambito dello stesso procedimento saranno di sua competenza per salvaguardare la conoscenza complessiva degli atti ed evitare che il giudice “non gradito” sia estromesso attraverso meccanismi di separazioni o riunioni di procedimenti”.
Aggiungono che “Inoltre nelle nuove tabelle che, se approvate, saranno in vigore da gennaio 2026, è stato anche previsto un rimedio specifico che tuteli dal rischio del cd fascicolo contenitore: dopo un certo periodo di tempo in presenza di una nuova richiesta proveniente dalla Procura, la stessa può essere riassegnata ad altro giudice. Su tale meccanismo vigila la Presidenza”.
Attestano “l’attenta osservanza della disposizione di cui all’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario, norma che prevede che siano tenute riunioni mensili dell’ufficio su temi normativi, giurisprudenziali e organizzativi”.
Danno infine atto che “In presenza […] di un fenomeno complesso come quello urbanistico […] la Sezione, nelle prossime riunioni […] affronterà i nodi tecnici che la materia in astratto presente, per pervenire, laddove possibile, a linee interpretative univoche sulle questioni di diritto”.
Le ulteriori critiche e un loro inatteso sostenitore
Questa replica non ha affatto placato la discussione e le critiche che anzi ne hanno tratto nuovo alimento, appuntandosi specialmente sull’intento di definire indirizzi uniformi che sono visti come un ostacolo alla libertà interpretativa che dovrebbe essere garantita ad ogni giudice.
Tra le posizioni critiche è degna di nota quella assunta dall’ex magistrato Antonio Di Pietro, protagonista di primo piano del filone investigativo di Mani Pulite e, per sua stessa ammissione, tra gli ideatori del fascicolo contenitore.
Nell’opinione attuale del Dr. Di Pietro, peraltro schieratosi a fianco del Comitato per il Sì al referendum popolare costituito dalla Fondazione Einaudi, quel che andava bene trenta e passa anni addietro per la Procura di Milano non va più bene oggi per la Sezione GIP della stessa città, dovendo ogni suo componente essere lasciato libero di decidere in completa autonomia sulle richieste affidategli.
Note di commento
La cosa migliore che si possa fare in una stagione in cui il pensiero è visto con sospetto e le sfumature tra bianco e nero sono considerate nient’altro che frivolezze da mentecatti è non cedere alla tentazione di farne parte.
È quello che si prova a fare.
Non ha senso dare addosso alla dirigenza di una sezione di tribunale cui spettano funzioni di grande complessità e delicatezza perché concorre assieme al presidente ad adottare le regole organizzative che servono a distribuire il lavoro tra i giudici e perché promuove e cura gli scambi informativi sulle esperienze professionali di quei giudici.
È esattamente questo il compito di un presidente di sezione il quale, ai sensi dell’art. 47-quater dell’Ordinamento giudiziario, “oltre a svolgere il lavoro giudiziario, dirige la sezione cui è assegnato e, in particolare, sorveglia l’andamento dei servizi di cancelleria ed ausiliari, distribuisce il lavoro tra i giudici e vigila sulla loro attività, curando anche lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione. Collabora, altresì, con il presidente del tribunale nell’attività di direzione dell’ufficio”.
Data questa cornice, la presidente della Sezione GIP del tribunale di Milano attesta l’uso, a supporto del suo compito di distribuire il lavoro, dell’applicativo Aspen che è stato configurato per assicurare criteri predeterminati e oggettivi e non c’è ragione di dubitare di questa attestazione, anche perché nessuno dei critici ha fornito anche solo un indizio della violazione di quei criteri.
La stessa presidente informa di avere l’intenzione di programmare riunioni sezionali volte ad approfondire le visioni interpretative che hanno informato le decisioni dei magistrati dell’ufficio in materia urbanistica e, ove possibile, a definirle in modo univoco.
Ancora una volta sta facendo quello che le spetta di fare, essendo ovvio che gli scambi informativi, senz’altro utili di per se stessi, lo diventano ancora di più se producono un comune sentire: è questa infatti la strada per assicurare la prevedibilità delle decisioni giurisdizionali che, come noto, è un principio di elevato valore perché consente ai consociati di regolare le loro condotte sulla base di una compiuta consapevolezza del modo in cui sono intesi i precetti normativi dai loro interpreti professionali.
Nessuno scandalo e nessun abuso, dunque.
Fatta questa prima e doverosa operazione di chiarezza, alcuni problemi restano comunque irrisolti.
Per identificarli, serve fare qualche passo indietro nel tempo fino ad arrivare a marzo del 2024.
Fece un certo scalpore ed ebbe una notevole diffusione allora una lettera aperta inviata dalla Camera Penale di Milano “Gian Domenico Pisapia” al Procuratore della Repubblica di quella città (allegata alla fine del post).
Fu una denuncia civile e molto ben argomentata di prassi che i penalisti associati milanesi consideravano inappropriate e non più oltre tollerabili (a questo link per un nostro approfondimento coevo alla diffusione della lettera).
Uno spazio specifico fu riservato alla questione dei fascicoli contenitore.
Fu declinata così:
“Una situazione, a nostro avviso patologica e riscontrata in diverse occasioni, è rappresentata dalla creazione di fascicoli “contenitore”, in cui vengono convogliate nel tempo notizie di reato diverse a carico di una pluralità di soggetti e in cui sono operate iscrizioni anche a distanza di anni dall’iscrizione originaria, che di fatto comportano lo svolgimento d’indagini prolungate nel tempo (ben oltre i termini di durata massimi), spesso per reati tra loro privi di reale connessione, talvolta con l’uso di mezzi di ricerca della prova che sarebbero consentiti solo per alcuni dei reati iscritti.
Questi fascicoli, aperti alla ricerca di notizie di reato ad ampio raggio, comportano la titolarità, in capo a un singolo sostituto (o comunque a un pool di sostituti co-assegnatari), d’indagini ad ampio raggio, con deleghe a un’unica Polizia Giudiziaria e, sulla scorta delle regole tabellari, con un medesimo GIP (con la problematica, tutt’altro che secondaria, relativa alla corretta individuazione del giudice naturale).
Senza entrare in specifiche vicende processuali, riteniamo che questa prassi sia il frutto di forzature che rischiano di attribuire una sorta di competenza funzionale extra ordinem al singolo Magistrato (o a quel pool), con tutti i pericoli che ne possono derivare in ordine alla concentrazione di “potere” nonché alla perdita di obiettività, che pure deve caratterizzare l’attività della “parte pubblica” (come noto tenuta a ricercare anche gli elementi a favore dell’indagato).
Strettamente collegato al tema dei fascicoli contenitore vi è quello degli “stralci” che, anzi, può rappresentare un altro strumento attraverso cui garantire la concentrazione di un “filone” d’indagine in capo al medesimo sostituto.
Ebbene, sul tema dei fascicoli contenitore e degli stralci Le chiederemmo un confronto, per valutare quali garanzie, in termini di assegnazioni e distribuzione dei fascicoli, siano in concreto previste per evitare prassi distorte che rischiano di creare “eterni indagabili” e, ci consentirà la metafora, “riserve di caccia”.
A quanto pare, già due anni fa il problema dei contenitori era diffuso e allarmante.
La lettera era rivolta al Procuratore – lo si è già detto – ma era aperta e appare assai verosimile che l’intero ambito giudiziario milanese ne sia venuto a conoscenza.
A questo punto una domanda che si crede legittima: perché i capi del Tribunale e della Sezione GIP hanno lasciato passare questi due anni senza che nulla succedesse sul versante giurisdizionale per prevenire il problema e senza neanche diffondere, come è stato fatto adesso, un comunicato stampa che dimostrasse la constatazione di un possibile punto di crisi e la volontà di discuterne e risolverlo?
Torniamo ai giorni nostri.
Nel comunicato stampa del 16 dicembre si attesta letteralmente che “nelle nuove tabelle che, se approvate, saranno in vigore da gennaio 2026, è stato anche previsto un rimedio specifico che tuteli dal rischio del cd fascicolo contenitore: dopo un certo periodo di tempo in presenza di una nuova richiesta proveniente dalla Procura, la stessa può essere riassegnata ad altro giudice. Su tale meccanismo vigila la Presidenza”.
Bene così, si prende finalmente atto del problema e si prevede un rimedio specifico ma si pongono altre domande.
Cosa significa in concreto l’espressione “dopo un certo periodo di tempo”? Un mese, un semestre, un anno, un quinquennio, quanto? Dopo tutto, l’unità temporale adoperata non è un fattore insignificante.
E ancora, per quale ragione la riassegnazione, al maturare del tempo previsto, è potestativa e non obbligatoria? Di quali parametri si servirà chi ha il potere di riassegnare per stabilire se servirsene oppure no, quali segnali di allarme dovrà o potrà tenere in considerazione?
Infine, si costituisce un potere/dovere di vigilanza della Presidenza sull’intero meccanismo. Attraverso quali strumenti sarà possibile esercitare la vigilanza?
Ecco, queste sono le domande di cui piacerebbe conoscere la risposta, una curiosità che quasi certamente rimarrà insoddisfatta.
