L’Alta Corte Disciplinare in re melius perpensa: il vizio dell’onestà intellettuale (Francesco Lupia)

L’onestà intellettuale è un gran brutto vizio. Ed io l’ho sempre coltivato con piacere.

Giusto due giorni fa ho pubblicato su Terzultima Fermata un breve articolo (a questo link per la consultazione), in cui ritenevo che l’ultimo comma dell’art.105 potesse essere interpretato nel senso di consentire al Legislatore ordinario di creare collegi con una composizione che con rispecchiasse quella di cui al comma 3, cioè il principio di prevalenza della componente togata su quella laica.

La disposizione in effetti è sibillina. E quando una disposizione è oscura alla luce del solo criterio letterale, non resta che ricorrere al criterio sistematico ed a quello teleologico (c.d. volontà storica). Poiché il primo di per sè non è particolarmente solido, partirò dal secondo.

Nel mio breve scritto avevo affermato in primo luogo che l’Alta Corte Disciplinare non potesse essere qualificata come organo di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura vuoi per la sua natura giuridica di giudice speciale, vuoi perché nella relazione di accompagnamento al DDL costituzionale A.S. 1353-B approvato dalle Camere una simile funzione non le è assegnata.

Da ciò ne avevo dedotto la non applicabilità alla composizione dei suoi collegi del principio del necessario rispetto delle proporzioni del “plenum” che la Consulta ha invece coniato per i rapporti tra CSM e sezione disciplinare (sul punto si veda la sentenza n. 12 del 1971 della Corte costituzionale, che descrive tale principio come un corollario della specifica natura giuridica e funzione del CSM di organo di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura).

In effetti. ove ci si limiti  alla mera lettura della “Dossier” elaborato dal servizio studi della Camera e del Senato che ha accompagnato la discussione del DDL in ambedue le Camere (denominato “Revisione costituzionale in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura”, ultima versione 30.1.2025), non è possibile rinvenire alcuna traccia della volontà del Legislatore Costituzionale di assegnare all’Alta Corte di Giustizia funzioni di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura.

E però lo stesso “Dossier” fa spesso rinvio alla Relazione di accompagnamento del DDL formulata dal Governo.

Riporto alcuni passaggi che, fugando ogni dubbio sulla questione in esame, sono sufficienti ad invalidare la mia tesi “L’articolo 105 viene modificato, inoltre, al fine di collocare in questa sede le norme sull’Alta Corte disciplinare. La scelta è conseguente al fatto che già in questo contesto era definita la competenza del Consiglio superiore della magistratura nella materia disciplinare, che ora viene attribuita all’Alta Corte. La materia disciplinare presenta, rispetto alle funzioni attinenti all’amministrazione della giustizia, un rilievo fondamentale: da un lato, ha lo scopo di garantire nel massimo grado la qualità professionale e deontologica di chi esercita funzioni caratterizzate da un’estrema delicatezza; dall’altro, deve essere organizzata in modo tale da evitare di compromettere l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati, prevenendo ogni possibile rischio di condizionamenti esercitabili attraverso l’uso strumentale del controllo disciplinare […] È evidente che il nuovo assetto delle competenze nella materia disciplinare deve risultare coerente anche con il principio, confermato dalla presente riforma, secondo il quale «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (articolo 104), che resta quindi un valore portante. Proprio in ragione di questa consapevolezza, nella redazione del disegno di legge costituzionale si è prestata particolare cura nel delineare una composizione dell’Alta Corte idonea a garantire all’organo l’indispensabile autonomia e indipendenza da altri poteri e la prevalenza della componente «togata». La ripartizione dell’organo assicura la maggioranza dei componenti di provenienza togata […] Il modello di selezione sia dei componenti «togati» sia dei «laici» di provenienza parlamentare è identico a quello introdotto per la composizione dei Consigli superiori della magistratura. Per i primi, la previsione muove dalla considerazione che anche la funzione disciplinare, in quanto espressione massima dell’autogoverno, debba essere patrimonio di ogni magistrato e che l’esercizio della relativa giurisdizione debba avere carattere diffuso”.

In sintesi, la volontà del Legislatore costituzionale inferibile dalla Relazione di accompagnamento del DDL formulata dal Governo è certamente quella di:1) intendere l’Alta Corte come organo di garanzia della Magistratura;2) intendere la funzione disciplinare come espressione della prerogativa del c.d. “autogoverno”.

Il criterio sistematico conforta tale soluzione, essendo l’Alta Corte inserita dal DDL nello stesso articolo della Costituzione che disciplina i due CSM.

Possiamo dunque affermare con certezza (spero definitiva) che i principi scanditi nella sentenza n. 12 del 1971 della Corte costituzionale debbano trovare applicazione anche per i collegi dell’Alta Corte i quali, pertanto, dovranno essere disciplinati dalla legge ordinaria necessariamente tenendo ferme le proporzioni togati-laici stabilite dal terzo comma del nuovo art.105 Cost.

Resta a questo punto il dilemma legato a quale significato assegnare all’ultimo comma di detto articolo nella parte in cui rimanda alla legge ordinaria il compito di assicurare “che i magistrati giudicanti requirenti siano rappresentati nel collegio”.

Come ho già scritto nel precedente articolo, se si fosse voluto che ogni collegio rispettasse la composizione del comma tre, la formulazione avrebbe dovuto essere la seguente “che i magistrati giudicanti e requirenti siano rappresentati nel collegio”.

Il punto non è trattato nemmeno dalla relazione governativa.

Tuttavia, sgomberato il campo dal dubbio che in tal modo si vogliano alterare le proporzioni laici-togati di cui al terzo comma, non resta a mio avviso che una soluzione interpretativa: quando il capo di accusa riguarda un magistrato inquirente, la legge ordinaria dovrà prevedere che il collegio (salve le proporzioni del comma 3) sia composto solo da magistrati inquirenti e membri laici. E viceversa.

Questa tesi, oltre ad essere l’unica percorribile per assegnare un significato alla congiunzione disgiuntiva “o”, ha altresì il pregio di porsi in rapporto di continuità con la scelta di creare due distinti CSM.

A questo punto a mio avviso l’unica criticità di questo nuovo organo di rilievo costituzionale è rappresentata dall’impossibilità di impugnare le sue sentenze davanti alla Suprema Corte per motivi di legittimità.

Sul punto la disposizione del DDL è molto chiara. Per giunta un emendamento inteso a consentire l’impugnazione delle decisioni innanzi al G.A. o alla Cassazione è stato formulato durante la discussione alla Camera dagli Onorevoli Bonafè, Gianassi, Serracchiani, Cuperlo, Mauri, Fornaro, Di Biase, Lacarra, Scarpa (Seduta di Mercoledì 15 gennaio 2025, allegato A).

Purtroppo, è stato bocciato, a conferma della volontà di escludere altre impugnazioni al di fuori di quella espressamente prevista innanzi all’Alta Corte in diversa composizione.

Si tratta di una deroga all’art.111, comma 7, Cost che, secondo talune voci della dottrina costituzionale, rappresenterebbe uno dei principi impliciti ricavabili dall’art.139 Cost. Per l’effetto il nuovo art.105 dovrebbe essere dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo per violazione del combinato disposto degli artt.138 e 139 Cost (di questo avviso mi pare, il Prof. Giuliano Scarselli, Note sul progetto di riforma volto ad inserire in Costituzione un’Alta Corte quale organo di impugnazione delle decisioni del CSM, in Judicium).

Tuttavia, non mi risultano arresti della Consulta che avvallino una tale affermazione, che è contrastata per giunta da altri orientamenti dottrinari.

Inoltre, la Costituzione contempla già dei Giudici per i quali il ricorso in Cassazione per motivi di legittimità è escluso, se non per ragioni di giurisdizione.

Mi pare dunque difficile sostenere che il settimo comma dell’art.117, comma 7, Cost rappresenti un principio implicito nell’art.139 Cost.

Per chi, come me, è favorevole al sorteggio e solo moderatamente perplesso sulla separazione delle carriere, resta dunque in concreto solo questo punctum dolens all’interno della riforma.

Fino a prova contraria, ovviamente.

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