
I numeri di solito non mentono anche se, come ha detto qualcuno, se torturati abbastanza finiscono per ammettere qualsiasi cosa.
Questa volta parliamo dei numeri delle sezioni penali della Corte di cassazione, più precisamente di quelli tratti dall’annuario statistico penale per l’anno 2024 (allegato alla fine del post) dai quali si ricavano informazioni parecchio interessanti.
Diminuiscono i procedimenti sopravvenuti: nell’anno di riferimento sono stati 43.109, con un calo dell’8,6% rispetto al 2023.
Diminuiscono contestualmente i procedimenti definiti: 47.659, con un calo del 5,3% rispetto al 2023.
Le definizioni superano comunque le sopravvenienze il che consente di migliorare sia l’indice di ricambio (il rapporto tra queste due voci), che aumenta dal 107 al 111% (111 definizioni per ogni 100 sopravvenienze), sia la pendenza che diminuisce di circa un terzo da 15.038 ricorsi pendenti alla fine del 2023 a 10.488 procedimenti pendenti alla fine del 2024.
Migliora anche il disposition time, da intendersi come il tempo medio prevedibile di definizione dei procedimenti confrontando lo stock di pendenze alla fine dell’anno con il flusso dei procedimenti definiti nell’anno: era di 131 giorni nel 2022 e di 109 nel 2023, è stato di 81 giorni nel 2024.
Non finiscono qui le buone notizie.
Due anonime righe poste alla fine della tabella 2.3 ci informano che a partire dall’1° gennaio 2020 la Corte di cassazione ha emesso due sole pronunce di annullamento senza rinvio per essere l’azione penale divenuta improcedibile ai sensi dell’art. 344-bis, cod. proc. pen., che ha introdotto nell’ambito della riforma Cartabia l’inedita “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione“.
La tabella 8.1 ci informa a sua volta che nel 2024 sono stati definiti con prescrizione del reato soltanto 823 procedimenti, pari all’1,7% del totale dei procedimenti definiti nell’anno.
Il dato delle prescrizioni, in termini sia assoluti che percentuali, è storicamente basso nelle statistiche della Suprema Corte ma rallegra sapere che i numeri del 2024 sono stati i più bassi dell’ultimo decennio.
La Cassazione smentisce quindi i tanti profeti di sventura (tra i quali, curiosamente, alcuni autorevoli magistrati che, facendone parte, hanno sicuramente contribuito ad azzerare il rischio) che si erano strappati capelli e vesti al momento dell’introduzione del citato art. 344-bis, prevedendo che avrebbe lasciato soltanto macerie.
Sono gli stessi profeti che non avevano trovato nulla da ridire al tempo dell’indimenticabile Legge Spazzacorrotti la quale, congelando senza limiti il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, esponeva gli imputati al rischio di un ergastolo processuale.
Comunque sia, un fatto è certo: la Suprema Corte non smarrisce per strada i procedimenti, se ne prende cura come farebbe un buon pastore con le sue pecorelle, la sera si assicura che siano rientrate tutte nell’ovile e, se ne manca qualcuna, esce e non torna a casa senza prima averla ritrovata e messa in salvo.
Premessi questi dati, che indubbiamente raccontano una storia di efficienza, serve tentare di capire come sia stato possibile un successo così eclatante e lo si farà selezionando le informazioni che sembrano di maggiore importanza a questi fini.
La tipologia di udienza
I procedimenti definiti in camera di consiglio nel 2024 sono stati 36.777, pari al 77,1% del totale.
I procedimenti definiti in udienza nello stesso anno sono stati 10.857, pari al 22,9% del totale.
Basta consultare la tabella 5.1 per notare che la percentuale dei procedimenti fuori udienza è di gran lunga la più alta dal 2014 in avanti.
La tipologia del provvedimento emesso
Nel 2024 23.230 procedimenti, pari al 49% del totale, sono stati definiti con sentenza, mentre 24.184 procedimenti, pari al 51% del totale sono stati definiti con ordinanza.
La consultazione della tabella 5.2 farà notare che il 2024 è il primo anno in cui le ordinanze sono state più delle sentenze e che nel 2014 le sentenze rappresentavano il 59,7% del totale mentre le ordinanze erano il 40,3%.
La classificazione per esito
Nel 2024 il 10,6% dei ricorsi è stato definito con annullamento con rinvio, il 6,6% con annullamento con rinvio, il 68,4% con dichiarazione di inammissibilità, il 12,8% con rigetto e il restante 1,4% per altre cause (tabella 5.4).
La classificazione per esito e tipologia del ricorrente
Nel 2024, se è il PM a ricorrere, ottiene l’annullamento con rinvio nel 35% dei casi, l’annullamento senza rinvio nel 24,52%, l’inammissibilità nel 25,1%, il rigetto nel 10,4% e altro tipo di pronunce nel 4,9%.
Se invece ricorrono le parti private, ottengono l’annullamento con rinvio nel 9,4% dei casi, l’annullamento senza rinvio nel 6,5%, l’inammissibilità nel 72,8%, il rigetto nel 9,9% e altro tipo di pronunce nel 2,1%.
La tabella 5.7 che contiene i dati appena esposti riporta anche le percentuali dei ricorsi fatti sia dal PM che dalle parti private. La promiscuità del dato lo priva di utilità ai fini dell’analisi che si sta compiendo.
Note di commento
L’elaborazione statistica oggetto di questo scritto contiene molte più analisi spettrali di quante siano state riportate qui e vale quindi la pena leggerla integralmente.
Le notizie riportate sono comunque sufficienti per i limitati fini perseguiti in questa sede e legittimano alcune affermazioni certe.
Le sezioni penali della Corte di cassazione lavorano con efficienza: definiscono più procedimenti di quanti ne sopravvengano, lo fanno sempre più rapidamente e sono riuscite in tal modo a diminuire costantemente l’arretrato fino a ridurlo ad una quantità che, agli attuali ritmi di produttività, potrebbe essere azzerata in un paio d’anni (addirittura pochi mesi se, in ipotesi, non ci fosse alcuna sopravvenienza).
Le prescrizioni e le improcedibilità sono assolute rarità (particolarmente le ultime).
Tutto questo avviene in concomitanza con alcune condizioni assai consolidate: si fanno sempre meno udienze e sempre più camere di consiglio; sempre meno sentenze e sempre più ordinanze; si dichiarano sempre più inammissibilità (circa 7 ricorsi su 10) cui si aggiunge il 12,8% di rigetti sicché 8 ricorsi su 10 si concludono con esito negativo per il ricorrente.
Quanto appena detto vale però soltanto se a ricorrere sono le parti private e quindi, principalmente, i difensori degli imputati.
Non vale più quando è il PM a ricorrere perché in tal caso le percentuali si ribaltano e le probabilità di esito vittorioso (annullamento con o senza rinvio) salgono a circa il 60% dei casi mentre quelle di esito negativo (inammissibilità o rigetto) scendono a circa il 35%.
Da questo punto in avanti, finiscono le certezze e iniziano le ipotesi ma le si presenta ritenendole plausibili.
L’efficienza della Corte di cassazione sembra diretto effetto di quelle condizioni consolidate di cui si è detto.
Il sopravvento delle camere di consiglio a discapito delle udienze crea attorno ai collegi di legittimità un’aura di solitudine indisturbata, diminuisce le occasioni di confronto e agevola percorsi decisionali solipsistici e autoreferenziali.
Le ordinanze implicano un minore impegno di riflessione e scrittura.
Le inammissibilità sono il modo più efficiente per creare e consolidare il diaframma che il giudice di legittimità ritiene indispensabile porre tra sé e il fatto, ben al di là di quanto necessario a legislazione vigente e in aperto conflitto con il ruolo di difensore ultimo delle libertà e dei diritti umani che spetta alla Suprema Corte la quale – è bene non dimenticarlo – è giudice non solo della nomofilachia ma anche della legittimità del caso concreto.
Senza poi tralasciare che il proliferare dell’inammissibilità è largamente agevolato da cause di tal genere letteralmente create dalla giurisprudenza di legittimità che ne scova di nuove senza sosta: basti qui pensare a teorie tanto discutibili quanto esiziali quali il pregiudizio effettivo, la prova di resistenza, l’autosufficienza del ricorso e altre della stessa risma. Si ricorda, come fatto emblematico, che si è arrivati a dichiarare inammissibile un ricorso sol perché le argomentazioni del difensore erano fondate su un indirizzo minoritario e pare – ma si teme di potere essere smentiti – che più in basso di così non si possa scendere.
E senza neanche dimenticare, perché potrebbe avere un suo peso anche questo dettaglio, che l’inammissibilità, impedendo la costituzione del rapporto giuridico processuale, consente di privare di effetto la prescrizione maturata tra appello e giudizio per cassazione e lo stesso fa per l’improcedibilità ex art. 344-bis citato: uno stimolo di non poco conto che – si potrebbe ipotizzare – è una delle cause della rarità di tali condizioni in sede di legittimità.
In questa condizione di insieme, spicca in senso contrario l’alta percentuale di accoglimento dei ricorsi del PM.
Come decifrarla, che significato attribuirle?
È nella consapevolezza comune l’esistenza di un corposo indirizzo giurisprudenziale – ma si dovrebbe piuttosto definirlo ideologico – che assegna al PM il ruolo di parte privilegiata nel procedimento in quanto titolare di funzioni pubbliche e che attribuisce ai suoi atti una fede altrettanto privilegiata per la stessa ragione.
È azzardato ipotizzare che, in assenza di evidenze empiriche che dimostrino la migliore qualità e la più elevata persuasività dei ricorsi della parte pubblica, l’accoglienza riservata agli stessi dipenda strettamente da una predisposizione più benevola e più attenta dei giudici di legittimità alle sue ragioni?
Ed è azzardato immaginare, data la tendenza più che consolidata della Corte di cassazione alla conservazione degli atti e la ritrosia altrettanto conclamata ad annullarne gli effetti, che i ricorsi dei PM sono accolti più spesso di quelli della difesa perché l’accusa pubblica, monopolista delle indagini, produce solitariamente la materia prima che condiziona tutto il procedimento ben oltre la fase istruttoria?
È tempo di concludere.
L’inammissibilità è un esito legittimo dei ricorsi per cassazione ma è anche un’arma.
Se si utilizza la formula, tanto vaga quanto cara agli abitanti del Palazzaccio, dell’id quod plerumque accidit, è evidente che l’inammissibilità è ciò che normalmente avviene quando un imputato si azzarda a ricorrere per cassazione.
E quindi l’ultima domanda: è normale che questo sia normale?

Gentile
è stato anormale ed illegale che la massa degli avvocati abbia avuto abilitazione facile alla Professione a mezzo esami farsa, pratica forense assente, attestazioni false di compiuta pratica, colloqui di fine pratica risibili, far pratica sulla pelle dei clienti, divenire cassazionisti a mezzo certificati di difesa in 12 cause annue davanti al Giudice di Pace o associandosi in delega con altro collega. Risultato: oceani di ricorso in Cassazione rigettati
MEA CULPA egregio, MEA CULPA. Specie del C.N.F. che di fronte a ciò, compresa la dettatura da parte della Commissione di esame per l’abilitazione in quel di Catanzaro, indimenticabile fattaccio ivi protrattosi per 50 anni, ha sempre taciuto.
Un accorta regia ha abbassato a zero il livello medio della Avvocatura, sia nella preparazione tecnica che nel reddito. Non parliamo poi di deontologia che si può applicare solo a …….tasca piena.
Ricordi l’art 19 della L.P. nel combinato disposto dell’art.12 e si legga gli Atti Parlamentari inerenti r.d.l.1578/33 seduta novembre 1925 e apprenderà che il Parlamento aveva deciso la parità tecnica delle tre professioni amministratici della legge: avvocati, magistrati, notai.
Oggi assistiamo sgomenti alla prossima prova di abilitazione a mezzo di un solo scritto ed un solo orale. Quindi il giovane abilitato andrà a difendere di fronte ad un giovane uditore che di materie ne avrà studiate 11, se non ricordo male, e che tratterà poi molte cause in un mese.
Tragga Lei ovvie conseguenze
Cordialmente
avv. Manrico M. Colazza
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