Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 18136/2025, udienza del 27 marzo 2025, depositata il 14 maggio 2025, ha escluso, in piena condivisione con le argomentazioni espresse nella pronuncia Giorgi delle Sezioni unite penali (SU, sentenza n. 23756/2024, udienza del 29 febbraio 2024, depositata il 14 giugno 2024), che “l’inserimento di un captatore informatico sul server di una piattaforma di un sistema informatico o telematico costituisca mezzo ‘atipico’ di indagine o di prova, come tale non consentito dall’ordinamento italiano perché incidente sui diritti fondamentali della persona”.
In proposito, non assume valenza dirimente il fatto che, nel codice di rito, in materia di intercettazioni, si faccia menzione della sola ipotesi dell’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Il captatore informatico, infatti, non è un autonomo mezzo di ricerca della prova, e tanto meno un mezzo di prova, bensì uno strumento tecnico attraverso il quale esperire il mezzo di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni. Sicché non è indispensabile che il legislatore preveda dove lo stesso possa essere ‘inserito’.
Una conferma di questa conclusione può essere desunta dall’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, anche delle Sezioni unite, la quale, già prima che venisse previsto dalla legge l’utilizzo del captatore informatico come strumento per effettuare attività di intercettazione, ne aveva ritenuto legittimo l’impiego a tali fini, precisandone anche l’ammissibilità, nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, con riguardo a captazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora (così, per tutte, SU, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905 – 01).
Gli orientamenti delle Sezioni unite consentono di cogliere il punto nodale della questione sollevata.
Ritiene il collegio che una inutilizzabilità deducibile anche nel giudizio abbreviato, in quanto “patologica”, avrebbe forse potuto essere fondatamente ipotizzata qualora il captatore informatico fosse stato espunto dal nostro ordinamento, perché ad es. ritenuto un mezzo eccessivamente invasivo della sfera della persona, con ogni conseguenza in tema di violazione dei diritti fondamentali.
Nulla di tutto ciò è invece sostenibile con riferimento al captatore informatico, che non solo non è stato espunto dall’ordinamento, ma è stato anzi esplicitamente disciplinato nell’ambito delle disposizioni dedicate dal codice di rito all’attività captativa, sia pure nella diversa prospettiva della possibilità del suo inserimento in dispositivi portatili (cfr. art. 266, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen.).
