Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 290/2025, udienza del 13 dicembre 2024, ha dipanato plurime questioni attorno alla fattispecie di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis, cod. pen., già art. 12-quinquies, DL n. 306/1992), e tra queste la configurabilità del reato allorché taluno, cui sia stato sequestrato un bene, ottenga di continuare a gestirlo attraverso l’interposizione fittizia di un affittuario.
Il collegio di legittimità ha ritenuto, conformemente a Sez. 2, n. 19123 del 11/01/2013, che commette il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992 il soggetto, cui sia stato in precedenza confiscato il bene, che si adoperi a gestirlo, attraverso l’interposizione fittizia di un affittuario.
Successivamente, Sez. 2, n. 52616 del 30/09/2014, ha affermato il principio secondo cui, in tema di trasferimento fraudolento di valori, l‘espressione «attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità» ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene, rispetto al quale permane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione, per conto – o nell’interesse – del quale l’attribuzione è operata.
Ne consegue che anche l’affitto di un ramo di azienda può integrare un caso di attribuzione fittizia, diretta a creare una realtà giuridica apparente nell’interesse del reale dominus. Nella fattispecie allora all’esame della Corte, similmente a quella in esame, l’affitto del ramo di azienda era stato oggetto di un contratto che era stato stipulato da una società che era stata costituita appositamente, intestandone le quote a dei prestanome. Il principio è stato poi ribadito da Sez. 6, n. 32732 del 28/06/2016, con la quale è stato affermato che integra il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992 la condotta del titolare di un’azienda sottoposta a sequestro preventivo che, dopo l’apposizione del vincolo cautelare, ne mantenga la disponibilità tramite un soggetto fittiziamente interposto, il quale stipuli un contratto di affitto di ramo di azienda con l’amministrazione giudiziaria preposta alla gestione del bene. Con tale pronuncia, è stato anche precisato che: a) il reato sussiste anche quando l’atto dispositivo sia formalmente posto in essere da un soggetto diverso dal titolare del bene; b) la finalità elusiva che è prevista dalla norma si può configurare non solo rispetto a futuri, paventati, interventi giudiziari ma anche (come è avvenuto nella fattispecie che viene qui in rilievo) rispetto a interventi già eseguiti e attuali, che l’agente miri a neutralizzare.
Dato che viene qui in rilievo il reato di tentativo di trasferimento fraudolento di valori, si deve anche rammentare il principio dell’idoneità degli atti compiuti dall’imputato, secondo cui, in tema di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento a un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità di attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 16/02/2018; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015).
Il collegio ha ulteriormente chiarito che il delitto di trasferimento fraudolento di valori non ha natura di reato plurisoggettivo improprio, ma rappresenta una fattispecie a forma libera in cui l’interposto, ove si renda fittiziamente titolare di beni o di utilità al fine di eludere misure ablatorie o di agevolare la commissione dei reati di riciclaggio e di rimpiego di beni di provenienza illecita, risponde a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen., sicché l’eventuale assoluzione del predetto in un separato giudizio non produce necessariamente effetti sulla posizione dell’interponente (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022).
Quanto al dolo specifico – costituito dal fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali – esso non è escluso dall’esistenza di finalità concorrenti, non necessariamente ed esclusivamente collegate alla necessità di “liberarsi” dei beni in vista di una loro possibile ablazione (Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, con la quale, in applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione che aveva escluso la configurabilità del dolo specifico, con riferimento al trasferimento della titolarità di quote di una società, finalizzato anche a consentire alla società medesima di partecipare a gare d’appalto, senza essere colpita da misura interdittiva antimafia. In punto di compatibilità tra il dolo specifico e la presenza di finalità concorrenti, anche: Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015).
Infine, ai fini dell’integrazione del reato di cui si discute, commesso mantenendo la disponibilità di un’azienda sottoposta a sequestro tramite un soggetto fittiziamente interposto il quale stipuli un contratto di affitto della stessa azienda con l’amministrazione giudiziaria che la gestisce, non è necessario che tale azienda stesse generando profitti, atteso che, con l’indicata condotta, il vincolo cautelare viene evidentemente eluso a prescindere dal fatto che l’azienda stesse producendo dei profitti o delle perdite.
