Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 18811/2023, udienza del 10 marzo 2023, si è pronunciata in un caso in cui i risultati di una prova scientifica (perizia antropometrica) confliggevano con le percezioni visive di una teste.
Decisione impugnata
Con sentenza deliberata il 22/11/2021, la Corte di appello ha confermato la sentenza del 03/12/2018 con la quale il Tribunale aveva dichiarato CM responsabile dei reati di furto pluriaggravato di un motociclo ai danni di MS (capo a) e di ricettazione di un veicolo provento di furto ai danni di MGI (capo b) e, con le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e la continuazione, lo aveva condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 400 di multa.
Ricorso per cassazione
Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione CM, attraverso il suo difensore, denunciando inosservanza della legge penale e vizi di motivazione.
La sentenza impugnata non ha congruamente risposto al motivo di appello relativo alla sussistenza del reato sub a) alla luce della prova scientifica rappresentata dalla perizia antropocentrica espletata in primo grado, che aveva ritenuto impossibile comparare le immagini dell’autore del delitto con l’imputato a causa della mutata conformazione dei luoghi ripresi dal sistema di videosorveglianza e alla bassa risoluzione e qualità dei filmati, che non permettevano l’estrazione di informazioni utili per una corretta esecuzione di un esame comparativo.
I giudici di merito hanno invece valorizzato le dichiarazioni del Sovrintendente Capo LAS, che ha riferito di aver riconosciuto, senza ombra di dubbio, l’imputato perché le immagini erano chiarissime, ma tale affermazione contrasta con le risultanze di cui alla perizia.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso deve essere accolto.
Con riferimento al reato di cui al capo a), la Corte distrettuale dà atto, sulla scorta della motivazione della sentenza di primo grado, dell’esito della perizia antropometrica (secondo cui era impossibile, in base alla mutata conformazione dei luoghi ripresi dal sistema di video sorveglianza del Commissariato P. e alla bassa risoluzione e qualità delle immagini estratte dai filmati, che non permettevano l’estrazione delle informazioni utili per una corretta esecuzione dell’esame comparativo rispetto all’imputato) e delle dichiarazioni del Sovrintendente Capo LAS, che aveva riferito di aver riconosciuto senza ombra di dubbio l’imputato perché le immagini dei filmati erano chiarissime.
La sentenza impugnata valorizza tali dichiarazioni, rilevando, per un verso, la piena attendibilità del teste di polizia e, per altro verso, che il dato scientifico non può essere “estremizzato” ai limiti dell’irragionevolezza, dovendosi tener conto della maggiore capacità percettiva sensoriale dell’essere umano nella visualizzazione e nell’identificazione delle immagini (soprattutto se riferita a un soggetto conosciuto e allo stato originale dei luoghi), che, secondo il giudice di appello, consente di attribuire piena attendibilità al riconoscimento della persona anche in presenza di un esito negativo della perizia antropometrica.
Nei termini in estrema sintesi indicati, la motivazione della sentenza impugnata non è immune dai vizi denunciati.
In premessa, però, mette conto ribadire quanto sottolineato dalle Sezioni unite penali, ossia che «presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio: la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise).
In questa prospettiva, la regola dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” «impone di pronunciare condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione, nella fattispecie concreta, non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 31456 del 21/05/2008; conf. Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015).
In forza della regola c.d. BARD, la motivazione della decisione di condanna deve dar conto dell’attitudine confermativa attribuibile agli elementi a sostegno dell’ipotesi accusatoria, anche attraverso la dimostrazione dell’incapacità della tesi alternativa di inficiarne la forza logica, pur solo esprimendo un ragionevole dubbio sulla prima; profilo, questo della regola dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, ben messo a fuoco dalla giurisprudenza di legittimità lì dove precisa che detta regola «impone al giudice un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del “dubbio” e comporta che la verifica dell’ipotesi accusatoria da parte del giudicante deve essere effettuata in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (l’autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)» (Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009).
Corollario evidente dei princìpi di diritto richiamati è la necessaria completezza dell’esame del giudice di tutti i dati conoscitivi acquisiti al processo, assecondando quell’istanza di «massimizzazione dell’informazione», intesa non certo quale informe accumulo di dati probatori, ma quale veicolo per la più stringente «continua integrazione delle opposte ipotesi ricostruttive» (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Thyssenkrupp): come si vedrà, è proprio questa completezza dell’esame del compendio probatorio il profilo della motivazione della sentenza impugnata che presta il fianco a rilievi critici.
In linea con i princìpi di diritto richiamati è l’affermazione delle Sezioni unite quando hanno avuto modo di rimarcare che l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza probatoria e, quindi il plausibile e ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all’evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto, neutralizzano l’ipotesi accusatoria, con il conseguente esito assolutorio stabilito dall’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002): in questa prospettiva, la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”, impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010).
Ciò premesso, le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata a sostegno del giudizio di maggior “affidabilità” rivestito dall’individuazione fotografica del Sovrintendente di polizia rispetto alle risultanze della perizia antropometrica presentano un connotato di assertività, correlato al mancato approfondimento di profili rilevanti.
Quanto alla perizia antropometrica, la Corte distrettuale si è sottratta al suo apprezzamento sulla base dei canoni di valutazione della prova scientifica delineati dalla giurisprudenza di questa Corte, soprattutto sulla scorta dei cc.dd. canoni Daubert(dalla sentenza nordamericana Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals, Inc. 509 U.S. 579, 113 S. Ct. 2786), canoni che, nell’elaborazione proposta da Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, chiamano in causa, tra l’altro, l’ampiezza, la rigorosità, l’oggettività della ricerca, nonché il grado di consenso che la tesi (nel caso di specie, il tipo di perizia espletata) raccoglie nella comunità scientifica.
I criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità segnano il percorso che il giudice di merito deve seguire nella valutazione della prova scientifica, attraverso le coordinate di riferimento che «dovranno essere quelle afferenti al principio del contraddittorio ed al controllo del giudice sul processo di formazione della prova, che deve essere rispettoso di preordinate garanzie, alla cui osservanza deve essere, rigorosamente, parametrato il giudizio di affidabilità dei relativi esiti» (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox).
Nella valutazione della perizia antropometrica, la sentenza impugnata ne sancisce una minor attendibilità rispetto alla testimonianza dell’esponente della Polizia di Stato sulla base di valutazioni astrattizzanti e non puntualmente correlate al metodo valutativo sinteticamente richiamato.
D’altra parte, la sentenza impugnata, nella prospettiva della valorizzazione della ricognizione operata dal Sovrintendente LAS, sottolinea che l’imputato e lo stato originario dei luoghi erano dalla stessa conosciuti. Al riguardo, tuttavia, va rilevato che la divaricazione valutativa tra il teste di polizia e il perito, prima ancora di chiamare in causa l’individuazione dell’imputato, si incentra sulla qualità dei filmati e delle immagini, chiarissimi secondo LAS, mentre del tutto inidonei a consentire l’identificazione, secondo il perito, a causa della bassa risoluzione e qualità delle immagini.
In ordine a tale divaricazione la sentenza impugnata non giustifica, con la necessaria specificità, la maggior affidabilità del teste di polizia rispetto a quella dell’esperto confluita nella perizia antropometrica, laddove la qualità delle immagini corrisponde a un dato, per così dire, prodromico rispetto all’identificazione dell’imputato.
Anche sotto questo profilo, dunque, la motivazione non è esente dai vizi denunciati.
Pertanto, limitatamente al capo a), la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello, che, nel quadro dei princìpi di diritto richiamati, conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi (Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998), potendo procedere a un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012) e procedendo altresì alla verifica della sussistenza della condizione di procedibilità della querela.
