La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 40872/2024 ha esaminato la questione della condotta di false attestazioni al fine di ottenere la riduzione del contributo unificato e della configurabilità del reato di cui all’articolo 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) o dell’articolo 316 ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni pubbliche).
Fatto
D.L. era stata chiamata a rispondere del delitto di cui all’art. 483 cod. pen., in relazione agli artt. 75 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, in quanto, al fine di ottenere la riduzione del contributo unificato previsto per le controversie di lavoro in un giudizio che aveva promosso dinanzi al Tribunale, nella dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata, aveva indicato un reddito per l’anno di imposta 2016 inferiore all’importo di euro 34.585,23, mentre il reddito complessivo della stessa era stato successivamente accertato nel superiore importo di euro 44.885,00.
Avverso la sentenza di secondo grado l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, nell’unico motivo proposto, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 316-ter e 483 cod. pen.
Decisione
La Suprema Corte premette che, come chiarito in motivazione da Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962 – 01, un fatto astrattamente riconducibile al delitto di cui all’art. 483 cod. pen. è assorbito in quello di cui all’art. 316-ter del medesimo codice quando la dichiarazione falsa è finalizzata ad ottenere un’indebita erogazione pubblica.
Ciò in quanto «solo la falsa dichiarazione rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p. ovvero l’uso di un atto falso costituiscono modalità tipiche di consumazione del delitto di cui all’art. 316 ter c.p., mentre è solo eventuale che l’utilizzatore degli atti o documenti falsi sia anche autore della falsificazione. Deve perciò ritenersi che solo i delitti di cui all’art. 483 c.p. e all’art. 489 c.p. rimangono assorbiti ai c.p. o ai sensi dell’art. 84 c.p. nel delitto previsto dall’art. 316 ter c.p., che concorre invece con gli altri delitti di falso eventualmente commessi al fine di ottenere le indebite erogazioni».
D’altra parte, nella successiva sentenza “Pizzuto”, le stesse Sezioni Unite, così risolvendo il precedente contrasto che si era formato nella giurisprudenza di legittimità, hanno chiarito che integra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per l’esenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere che determini al provvedimento di esenzione sulla base della corretta rappresentazione dell’esistenza dell’attestazione stessa.
Tale pronuncia, in particolare, ha precisato che si realizza un’erogazione in danno dello Stato, anche in assenza di un’elargizione, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico che viene posto a carico della comunità (Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, Pizzuto, Rv. 249104 – 01).
Nel solco delle indicazioni delle Sezioni unite si è, ad esempio ritenuto, nella giurisprudenza successiva, che integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316-ter cod. pen., la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto somme a titolo di indennità per maternità, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto, in forma di risparmio di spesa, le corrispondenti erogazioni (Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020).
Di conseguenza deve affermarsi, per eadem ratio, il principio per il quale si configura il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all’art. 316-ter cod. pen. e non quello di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ex art. 483 cod. pen., anche quando la falsa attestazione sulle condizioni reddituali è volta ad ottenere l’esenzione dal pagamento del contributo unificato, poiché detta esenzione consente, parimenti, al soggetto dichiarante di beneficiare, in conseguenza della propria condotta, di un indebito vantaggio economico in danno della collettività. Il che è coerente con il più generale assunto per il quale l’art. 316-ter cod. pen. tutela la libera formazione della volontà della Pubblica Amministrazione o dell’Unione europea in ordine all’erogazione di risorse pubbliche e, quindi, l’integrità e l’efficiente collocazione delle risorse patrimoniali a favore soltanto dei soggetti che ne abbiano diritto (Sez. 2, n. 4284 del 20/12/2011, dep. 2012).
Senonché nella fattispecie concreta, come ha dedotto la ricorrente, tale vantaggio economico è pari all’importo di euro 43,00, inferiore alla soglia di punibilità del delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen., in forza di quanto previsto dal secondo comma della stessa norma.
Anche in questa ipotesi, nonostante il fatto dia luogo solo ad una violazione amministrativa il reato di falso previsto dall’art. 483 cod. pen. resta assorbito in quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (Sez. 2, n. 17300 del 24/01/2013; Sez. 5, n. 35105 del 14/05/2010).
