Il funzionario di una stazione appaltante che fornisce al concorrente di una procedura di gara un ausilio giuridico per risolvere una problematica emersa nel corso del suo espletamento pone in essere una violazione dell’art. 353 cod. pen. (turbata libertà degli incanti).
Lo afferma la Corte suprema di cassazione con la sentenza della sesta sezione del 2 agosto 2024 (ud. 13 giugno 2024), n. 31765, rigettando il ricorso di un imprenditore cui è stata contestata, unitamente al delitto di corruzione, la turbativa mediante collusione, di un affidamento pubblico.
Costui risulterebbe esser stato avvantaggiato dall’aver ricevuto dal responsabile del procedimento selettivo un consulto su come ovviare alla decisione di uno dei componenti di un raggruppamento temporaneo di recederne, senza incorrere nel divieto di modificazione soggettiva (ratione temporis vigente) del medesimo. “Aiuto” accompagnato dalla disponibilità del funzionario o dirigente a valutare preventivamente i contenuti dell’istanza che, a tal fine, l’impresa avrebbe presentato alla committenza pubblica.
La vicenda processuale si snoda nei termini che seguono.
La persona sottoposta ad indagini, amministratore della compagine mandataria della riunione di operatori economici, viene attinta da misura cautelare custodiale per la ritenuta sussistenza, oltre che di esigenze cautelari, di gravi indizi di colpevolezza per entrambe le anzidette ipotesi di illecito. In particolare, per la fattispecie di cd. turbativa d’asta, sono state valorizzate dal GIP e condivise dalla corte – vale evidenziarlo per dovere ricostruttivo – anche ulteriori condotte ritenute espressive del reato che effettivamente paiono più plausibilmente integrarlo: dall’acquisizione e visione di documenti riservati, allo svolgimento di colloqui ed intese con i responsabili della procedura al di fuori dalle sedi istituzionali, fino alla conoscenza preventiva dei contenuti dei capitolati speciali onde poter meglio “calibrare” l’offerta tecnica.
Confermata dal tribunale del riesame l’ordinanza cautelare, l’indagato ricorre per cassazione deducendo, tra l’altro, l’inesistente disvalore penale di una simile interlocuzione (consulenza + preliminare valutazione della domanda), ritenendola espressiva al più dell’ordinario flusso dialettico tra privato e p.a.
La Corte di piazza Cavour rigetta integralmente il gravame (che “lambisce in alcuni tratti l’inammissibilità”), richiamando – ai fini che qui interessano – l’orientamento secondo cui integra la nozione di “collusione” l’iniziativa del preposto alla gara di fornire ad uno dei partecipanti suggerimenti e consigli, resi sulla base della propria competenza professionale ed eventualmente avvalendosi di notizie riservate, in modo da consentire al concorrente di individuare il miglior contenuto dell’offerta per aggiudicarsi la gara.
Un senso di disorientamento desta il percorso motivazionale dei giudici di legittimità, se raffrontato con la disciplina del comparto dei contratti pubblici, avendo riguardo ad un’indicazione operativa, quella fornita dal funzionario, anch’esso, tra gli altri, sottoposto ad indagini, ampiamente autorizzata dalle norme, dalla qualificata esegesi della giurisprudenza amministrativa e dalla prassi amministrativa più autorevole (ANAC).
In particolare, l’”imbeccata” sarebbe stata la seguente: posto il recesso della mandante del raggruppamento temporaneo, il mantenimento in vita dello stesso, senza dunque incorrere nel divieto di modificazione normativo, passa per una cessione del ramo di azienda, che – secondo il Consiglio di Stato – come la stessa Corte rileva – consente il subentro del cessionario al concorrente originario.
Questa, del tutto ordinaria e soprattutto consentita, dinamica contrattuale diviene così per i giudici di legittimità il malizioso escamotage per “aggirare” il divieto e così concretare il delitto di cui all’art. 353 cit.
A tale perplessità si aggiunge poi la considerazione che la soluzione prospettata pare tutt’altro che un’originale “alchimia” del responsabile dell’iter selettivo ma, molto più semplicemente, un modulo operativo che un qualunque buon civilista o amministrativa avrebbe potuto suggerire al proprio assistito.
Per meglio comprenderlo ci si permette una succinta digressione sulla materia della contrattualistica pubblica che, d’altronde, pure la stessa Corte di cassazione ha operato nella sua decisione.
Stante l’art. 48 del previgente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016 e successive modifiche e integrazioni), un raggruppamento temporaneo (come pure un consorzio ordinario: sul punto la pronuncia – parlando di “società consorziata in raggruppamento temporaneo di imprese” – sembra non cogliere la differenza) è vincolato alla composizione soggettiva dichiarata in sede di offerta.
Tale regola che, per incidens,il vigente codice di cui al d.lgs. n. 36/23, in conformità all’evoluzione della normativa euro unitaria, ha ampiamente eroso, patisce le tassative seguenti eccezioni, previste rispettivamente ai commi 17, 18 e 19 del medesimo art. 48: a) eventi esiziali (morte, interdizione legale per l’imprenditore individuale, liquidazione giudiziale o procedure concorsuali per quelli societario); b) perdita dei requisiti generali di onorabilità ex art. 80 o scoperta/sopraggiungere di interdizione antimafia; c) recesso “per esigenze organizzative”.
In tutti i casi, va comunque garantito il mantenimento in capo al raggruppamento temporaneo dei requisiti, generali e tecnico-economici, richiesti dalla lex specialis della gara.
La vicenda che ci occupa si iscrive proprio nel terzo caso: la riunione di imprese decide di perdere un componente (neppure la capogruppo, la sola mandante) e lo fa non allo scopo di “eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara” (unica condizione di ammissione prevista dal cit. co. 19), tanto da congetturarsi una cessione, da parte della mandante che recede, del ramo aziendale, il ramo che ha “in pancia” risorse umane e strumentali richieste ed occorrenti per l’appalto.
In tal modo, dunque, non si verifica neppure la diminuzione (comunque espressamente consentita) del sodalizio, ma un mero avvicendamento soggettivo in forza di quella successione a titolo particolare che il contratto di cessione concreta.
Per di più è la stessa Corte di cassazione a precisarne la validità (i) rievocando una sentenza (la n. 9/21) dell’adunanza plenaria del consiglio di Stato, che – per l’appunto – rammenta come l’unico mutamento soggettivo di una riunione di operatori potrebbe essere in riduzione e mai in aumento (o comunque con ingresso di nuovo e distinto soggetto rispetto a quello che ha preso parte alla gara) e (ii) menzionando un precedente dello stesso supremo consesso amministrativo a proposito degli effetti di una cessione di ramo di azienda.
Si aggiunge che, secondo l’Autorità Nazionale Anticorruzione (parere reso dalla funzione consultiva, n. 28/22), non configura cessione di contratto – vietata dall’art. 105 del codice del 2016 (norma tralatizia e sempre valevole anche oggi) – il “procedere a ristrutturazioni societarie entro i limiti definiti dall’art. 106, comma 1, lett. d) del Codice, con mantenimento in capo all’esecutore dei requisiti di partecipazione alla gara”. E nelle “ristrutturazioni societarie” (“termine in linea generale comprensivo di tutte le operazioni societarie ritenute più idonee per garantire la prosecuzione delle prestazioni contrattuali a regola d’arte, con il limite delle condizioni poste dalla norma, ossia il mantenimento in capo all’esecutore dei requisiti di partecipazione alla gara”) l’ANAC ricomprende espressamente (parere 4/22) anche la cessione del ramo d’azienda.
Insomma, colpisce che, pur correttamente citandosi tutte le coordinate di riferimento del tema giuridico in campo (la norma generale, i significativi orientamenti del C.d.S.), i giudici di legittimità approdino ad una valutazione di sicuro rilievo penale dell’operazione complessiva, additandola come senz’altro elusiva e tale da tradire invariabilmente la ratio della previsione incriminatrice (l’interesse pubblico alla libera concorrenza ed alla maggiorazione delle offerte).
Non si comprende però – sebbene sia affermato con enfasi nella pronuncia – come il suggerimento fornito avrebbe “consentito al concorrente di individuare il miglior contenuto dell’offerta per aggiudicarsi la gara”, ed ancor prima come e perché prospettare una (sana ed ineccepibile, come pure la corte ammette) applicazione del diritto possa mettere nei guai.
La vicenda rimanda al caso – trattato in questo blog da Riccardo Radi (“Avvocato e favoreggiamento: il diritto di difesa e l’attività e le informazioni lecite tra difensore e indagato”, 5 luglio 2023, a questo link) – del legale che avendo preso visione di atti processuali da cui emergevano gravi indizi di colpevolezza a carico dell’assistito, lo aveva informato del rischio di subire una misura cautelare, venendogli così ascritto il favoreggiamento; una “doppia conforme” di condanna fortunatamente rimossa dalla stessa Cassazione.
Applicare rettamente il diritto dovrebbe sempre porre al riparo dal … rovescio.
