L’elezione di domicilio, le nullità “moderne” e la deriva antigarantista della giurisprudenza di legittimità (Alessandro Casano)

La scoperta della verità, quale fine ultimo del processo penale, è accettabile solo a condizione che sia assicurato il rispetto delle forme, la ragionevolezza delle decisioni, si ripudia qualsiasi forma di abuso e, soprattutto, se le regole vengono applicate con buonsenso ed equità nei confronti di tutti i protagonisti del processo penale.

«La caccia val più della preda e cioè il modo in cui si agisce conta più del risultato. Si possono immaginare un processo dal quale, comunque le cose vadano, la civiltà riesce umiliata ed un altro nel quale la dignità dell’uomo è rispettata: il che rende tollerabili persino gli inevitabili errori». (F. CORDERO, Diatribe sul processo accusatorio).

Gli orientamenti giurisprudenziali avvicendatisi sul tema dell’elezione di domicilio e delle nullità offrono lo spunto per alcune riflessioni sul tema.

L’elezione di domicilio: tra ragionevolezza e formalismo

L’art. 581 comma 1-ter ha introdotto un onere di collaborazione in capo all’imputato che, attraverso l’elezione di domicilio, consente la rapida notifica del decreto di citazione a giudizio e contribuisce alla ragionevole durata del processo. Molto dibattuta, fin dall’entrata in vigore della norma, è stata la questione relativa alle modalità di deposito e di rilascio dell’elezione di domicilio.

Accanto all’indirizzo che ha ritenuto sufficiente che l’elezione di domicilio fosse presente agli atti del fascicolo (in tal senso, Cass. Pen. sez. 2 n. 20515/24) ne sono emersi altri ben più rigorosi e formali.

Secondo l’orientamento “intermedio” per adempiere all’onere è necessario, non solo che l’elezione di domicilio sia presente in atti, ma che la stessa sia stata espressamente richiamata nell’atto di impugnazione (in tal senso, Cass. Pen. sez. 2 n 16480/24).

L’orientamento “dominante/restrittivo” ritiene, invece, insufficiente il richiamo ad un’elezione presente nel fascicolo e richiede una nuova elezione depositata unitamente all’atto di appello (in tal senso, Cass Pen. sez.5 n. 17331/24).

Sotto la spinta di un’intransigenza crescente sono poi germinate ulteriori interpretazioni formalistiche che sono apparse oggettivamente lontane dalle intenzioni del legislatore e dal significato testuale della norma.

Così si è ritenuto indispensabile che l’elezione di domicilio fosse stata rilasciata dopo la sentenza di primo grado (in tal senso, Cass. Pen. sez.5 n 3118/2024); è stata esclusa la possibilità di depositare la sola elezione di domicilio dopo l’atto di appello anche se i termini per impugnare non erano ancora decorsi (in tal senso, Cass. pen. Sez.2 n.20318/24); è stato affermato che l’elezione di domicilio fosse indispensabile anche per l’imputato detenuto per altra causa (Cass. Pen. Sez.5 n.4606/2024); si è escluso che l’elezione di domicilio fosse surrogabile da una dichiarazione del difensore (in tal senso, Cass. Pen., Sez. 6, 21080/2024).

Va, per completezza, ricordato che con ordinanza del 20/6/2024 è stata rimessa alle Sezioni Unite una questione sull’elezione di domicilio presente agli atti ma non indicata, né allegata all’atto di impugnazione e che il “DdL Nordio” approvato in via definitiva il 10/7/2024 (e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) ha abrogato l’art. 581 comma 1-ter cpp.

La sanzione di inammissibilità e le sue conseguenze

La sanzione dell’inammissibilità prevista dall’art 581 comma 1-ter lasciava supporre (contrariamente a quanto è poi, in concreto, avvenuto) che la Corte di cassazione fornisse, della norma un’interpretazione estremamente cauta: e ciò perché la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione impedisce al giudice di valutarne la fondatezza, limita il diritto di difendersi, non consente al processo di giungere al suo epilogo naturale e ostacola la “ricerca della verità”.

Si pensi ad un giudice di appello che, dopo aver letto la sentenza di primo grado e l’atto di impugnazione si convinca che l’imputato sia stato ingiustamente condannato… e si ipotizzi che, quel giudice, dopo aver controllato il fascicolo si renda conto dell’irrituale deposito dell’elezione di domicilio… Ebbene, in tale situazione, la sentenza di condanna non potrebbe essere riformata, indipendentemente dalle conseguenze che ne deriverebbero. Non sembra azzardato affermare che, per la Cassazione, i requisiti formali dell’elezione di domicilio prevalgono sul diritto alla libertà, e poco importa se un innocente finirà in carcere e se il nostro sistema processuale non prevede alcun rimedio -neppure straordinario- per far fronte a tale irragionevole situazione

L’art. 581 comma 1-ter e le interpretazioni che si sono sviluppate attorno ad esso, danno la misura della tendenza della giurisprudenza a sacrificare, sull’altare del formalismo, i diritti dell’imputato.

L’elezione di domicilio, tuttavia, non è l’unico caso in cui il mancato rispetto delle forme finisce per travolgere le garanzie poste a tutela del diritto di difesa e le legittime aspettative di giustizia del cittadino accusato di un reato.

Analoghi esempi potrebbero farsi in tema di firma digitale (tra le tante, Cass. Pen. sez. 4 n. 14898/2024 secondo cui la firma digitale graficamente presente nell’atto di impugnazione ma non rilevata dal sistema di verifica ARUBA SIGN rende l’impugnazione inammissibile); di indirizzi pec (secondo Cass. Pen. sez. 2 n. 4791/2024 è inammissibile l’impugnazione inviata ad un indirizzo PEC diverso da quello certificato dal capo della DGSIA); di mandato ad impugnare (secondo Cass. Pen. sez.3 n. 2282/99 la nomina senza espressa attribuzione della facoltà di impugnare rende inammissibile l’impugnazione; secondo Cass. Pen. sez.3 n.15865/24, invece, la nomina contenuta nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato e allegata all’atto di impugnazione non costituisce valido mandato ad impugnare ex art. 581 comma 1-quater). 

In tutti i casi sopra indicati, il rispetto delle forme sembra costituire un ostacolo insormontabile ad interventi interpretativi che attenuino il rigore delle norme, e ciò a prescindere dal pregiudizio effettivo che ne sia derivato e indipendentemente dal fatto che sia stato, comunque, raggiunto lo scopo cui l’atto era funzionale.

Su tale ultimo punto basti osservare che è, comunque, inammissibile l’impugnazione anche se: a) l’irrituale elezione di domicilio non ha impedito la notifica del decreto di citazione; b) la firma digitale invalida non ha dato luogo a dubbi circa la sua provenienza dal difensore; c) l’atto di appello inviato ad un indirizzo PEC non certificato è regolarmente pervenuto alla competente cancelleria; d) il difensore risulta ritualmente nominato dall’imputato. 

Dall’esame degli orientamenti sopra richiamati, si può concludere che secondo una parte consistente della giurisprudenza di legittimità il rispetto delle forme è un valore assoluto, dinanzi al quale sono destinati a soccombere anche diritti di rango costituzionale quali il diritto di difesa e quello alla libertà personale.

Le nullità “moderne” 

Le “nullità moderne” sono una nuova categoria di nullità o, meglio, costituiscono l’evoluzione giurisprudenziale delle nullità tradizionali.

In barba al principio di tassatività di cui all’art. 177 cpp, la Corte di cassazione (probabilmente, per la prima volta con le S.U. Palumbo 119/2005) ha avvertito l’esigenza, nell’ottica di una visione pragmatica del processo penale, di limitare la portata delle nullità introducendo nell’ordinamento il canone interpretativo del cd. pregiudizio effettivo.

In pratica, secondo la Suprema Corte, le nullità tipizzate dal legislatore sono tali solo quando, sulla scorta di una valutazione discrezionale del giudice, hanno arrecato alla parte un pregiudizio effettivo (per un approfondimento su Terzultima Fermata, a questo link). 

Quel che qui preme rilevare è che tutta la giurisprudenza sviluppatasi attorno al pregiudizio effettivo è stata funzionale a recuperare la validità di atti non conformi al modello legale compiuti dal giudice o dal PM, nella «convinzione che lo scopo del raggiungimento della verità, proprio del processo penale, non debba essere ostacolato, ritardato e men che meno impedito da scopi secondari tra i quali è collocato il rispetto delle forme» (V. Giglio).

Pregiudizio effettivo ed elasticità delle forme per gli atti della difesa

Quando, invece, sono gli atti della difesa a non corrispondere al modello legale o, peggio, alle bislacche interpretazioni che del modello legale fornisce la giurisprudenza (su tutte, Cass. Pen. sez.4 n 28659/24) l’approccio è diverso.

In tal caso, infatti, il pregiudizio effettivo cessa di essere un canone interpretativo e il rigoroso rispetto delle forme, da inutile orpello si trasforma in strumento prezioso di derivazione legislativa in cui non c’è spazio per salvifiche interpretazioni giurisprudenziali e attraverso il quale si assicura la ragionevole durata del processo, in ossequio al principio di cui all’art. 111 Cost.

Così, se il difensore invia l’impugnazione ad un indirizzo pec diverso da quello certificato dal DGSIA l’impugnazione è inammissibile (Cass. Pen. sez. 2 n. 4791/2024); se, invece, la cancelleria notifica l’avviso di fissazione udienza preliminare ad un indirizzo pec diverso da quello ove l’imputato ha eletto domicilio (nel caso scrutinato alla pec del difensore di fiducia) non c’è alcuna nullità, ma si è in presenza di “una minima distonia di natura solo nominalistica” (Cass. Pen. Sez.5 n.1387/2022)

Conclusioni 

Si assiste nella giurisprudenza degli ultimi anni ad una certa insofferenza verso le norme di procedura penale che vengono considerate una sorta di ostacolo che separa lo Stato dalla punizione del colpevole.

Sembra tornare di estrema attualità l’idea di Manzini del processo come strumento di condanna: «dato il carattere di organo statale del pubblico ministero e l’assenza di ogni interesse personale nell’esercizio della sua funzione, è logico presumere che le imputazioni siano fondate […] ne deriva che il processo penale si presenta come un mezzo diretto a rendere possibile la punizione del colpevole» (MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano).

Col fine di raggiungere l’obiettivo “reale” del processo penale, il concetto di legalità processuale viene, in alcuni casi, esasperato ed elevato a valore assoluto, in altri, invece, viene relegato in posizione marginale in ossequio ad una visione antiformalistica degli atti.

La sensazione è che, richiamando le parole di Massimo Nobili, si vada affermando «una sorta di supremazia costituzionale del magistrato rispetto alle norme di procedura» e alla genesi di «un nuovo tipo di indipendenza della magistratura: l’indipendenza dalla legge processuale»(M. Nobili, Forme e valori duecento anni dopo).