Partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso: i principi affermati dalle Sezioni unite penali nella decisione Modafferi (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 23463/2024, udienza del 12 aprile 2024, ha ripercorso i principi affermati dalle Sezioni unite penali nella nota sentenza “Modaffari” (SU, sentenza n. 36958/2021, udienza del 27 maggio 2021, deposito dell’11 ottobre 2021).

Tale decisione ha passato in rassegna le diverse impostazioni ermeneutiche proposte dalla dottrina e, soprattutto, rilevabili nella giurisprudenza: a partire dalla teoria c.d. “organizzatoria” che, tuttavia, ad avviso del collegio riunito “…mostra tutti i suoi limiti nel momento in cui collega la fattispecie criminosa all’acquisizione della qualifica formale di associato, ritenendo sufficiente ai fini dell’integrazione del reato l’ingresso nel sodalizio e finendo per ritenere irrilevante l’attivazione o meno dei partecipe a favore della consorteria“.

Si è segnalato, tuttavia, che nemmeno la teoria c.d. “causale” può essere nella sua assolutezza condivisa: in particolare, le SS.UU. Modaffari hanno spiegato che “…la maggiore criticità involge necessariamente la riconosciuta teorica possibilità di sovrapposizione di due categorie dogmatiche (concorso esterno e partecipazione) del tutto autonome e con profonde caratterizzazioni differenziali” mentre “… la aprioristica svalutazione della condotta di messa a disposizione delle energie del singolo a favore del gruppo non tiene conto della possibile autonoma rilevanza probatoria del fatto in sé considerato alla stregua degli indicatori evidenziati dalla sentenza Mannino” ma, anche, “… con riferimento al rilievo operato dalla sentenza Pesce in relazione al riconosciuto effetto di attivazione in favore dell’associazione conseguente all’acquisizione della «qualità di uomo d’onore», al pari della dimostrata progressione nelle doti, introducendo una conoscenza appartenente al piano storico ed esperienziale, finisce per elevare a massima d’esperienza generalizzata una specifica realtà processuale“.

Ed è proprio con riguardo alla teoria “causale” che, alla luce dei rilievi e delle considerazioni sviluppate dalle SS.UU. “Modaffari”, occorre confrontarsi in quanto, come accennato, molti ricorsi tendono a sottolineare come le captazioni e gli elementi acquisiti al processo non siano stati in grado di dimostrare l’esistenza di condotte dei singoli imputati dotate di reale e concreta efficienza causale sulla vita e sulla attività del sodalizio.

Detto questo, e come acutamente osservato dalle SS.UU., occorre soffermare l’attenzione sulle peculiarità della condotta di partecipazione ad associazione di stampo mafioso evitando il rischio di confonderne i tratti distintivi rispetto a quella di concorso esterno e, in particolare, considerare che, come è noto, solo per quest’ultima il presupposto essenziale (come ribadito nelle sentenze Demitry e Mannino) ed imprescindibile è rappresentato dalla possibilità di ravvisare un reale ed effettivo apporto causale alla organizzazione che, peraltro, non necessariamente, come si era affermato dalle SS.UU. Demitry, deve intervenire in momenti di fibrillazione del sodalizio ma che, invece, come avrebbero chiarito le SS.UU., Mannino, ben può essere essenziale per la vita “ordinaria” della associazione.

Proprio le SS.UU. Mannino hanno spiegato che risponde di concorso esterno “…il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima” (cfr., per l’appunto, Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231671).

Tenendo ferme queste coordinate, allora, se la mera “affiliazione” non è di per sé sufficiente ad integrare il paradigma della “partecipazione” alla associazione, quel che occorre verificare è che l’agente abbia effettivamente tenuto comportamenti espressivi ed emblematici di militanza attiva; in tal senso, non è indispensabile che il partecipe si prodighi attivamente ed in termini causalmente efficienti sull’attività e lo sviluppo dell’associazione nei campi di operatività illecita, atteso che il proprium del reato risiede proprio – e, allo stesso tempo, essenzialmente – nella “compenetrazione” con il sodalizio che è l’oggetto delle condotte esteriori che lo manifestino.

In tal senso, le SS.UU. Modaffari hanno richiamato le conclusioni della sentenza Mannino secondo cui “…va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo” tenendo conto che “… la partecipazione non si esaurisce né in una mera manifestazione di volontà unilaterale né in una affermazione di status” ma che “… implica un’attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte; in quest’ottica, si è chiarito che “… l’opera di concretizzazione giurisprudenziale del significato della locuzione normativa fa parte di cui all’art. 416-bis, primo comma, cod. pen. non può pertanto lasciare spazio ad ipotesi di identificazione della condotta punibile che risultino del tutto svincolate dalla verifica di un contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria e ben potrà concretizzarsi solo in un momento successivo (allorquando l’affiliato darà concreto corso alla messa a disposizione) rispetto al formale ingresso nell’associazione” assumendo “… assoluta decisività ai fini della valutazione di appartenenza ad un gruppo criminale avente le caratteristiche sin qui illustrate, la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia apporto concreto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva“.

In definitiva, alla luce delle coordinate offerte dalla elaborazione delle SS.UU., il contributo del singolo “partecipe” deve essere riferito ad aspetti che attengano alla vita dell’associazione, ben potendo a tal fine rilevare anche condotte che si esauriscano all’interno del sodalizio ovvero nelle sue dinamiche organizzative non richiedendosi, necessariamente, un apporto causale che riguardi la sua concreta operatività e la sua proiezione esterna, ovvero, più in particolare, il compimento di reati-fine essendo sufficienti, ad integrare il delitto in esame, comportamenti emblematici del fatto che l’agente faccia “parte” del sodalizio operando al suo interno (o, anche, manifestandosi all’esterno come affiliato) e nella piena consapevolezza della natura della associazione e del legame fideistico e di reciproco riconoscimento che rappresenta, in effetti, il proprium della fattispecie.

Non a caso, sono state ancora una volta le SS.UU. Modaffari a chiarire che la condotta penalmente rilevante (di “messa a disposizione”) si debba esplicitare in atti “…di conservazione e di potenziale rafforzamento dell’associazione” che non necessariamente, tuttavia, devono tradursi in un “evento” oggettivamente rilevabile alla luce della sua connotazione di immaterialità, sicché “… ai fini della sua valutazione non potrà utilizzarsi il parametro della causalità e si dovrà invece ricorrere a quello della rilevanza in concreto“.

Ed in tal senso, le SS.UU. hanno osservato che “…potranno venire in rilievo, oltre all’accertamento della comprovata mafiosità del gruppo associante, la qualità dell’adesione ed il tipo di percorso che l’ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell’affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali anche con riferimento all’accertamento dei poteri di chi sceglie, di chi presenta e di chi officia il rito dei nuovi adepti, la tipologia del reciproco impegno preso, la misura della disponibilità pretesa e/o offerta ed ogni altro elemento di fatto che, sulla base di tutte le fonti di prova utilizzabili e di comprovate massime di esperienza, costituisca circostanza concreta, capace di rendere inequivoco e certo il contributo attuale dell’associato a favore della consorteria mafiosa“.

Di assoluto rilievo, inoltre, è il passaggio in cui le SS.UU., in coerenza con le premesse ricostruttive di cui hanno dato ampiamente conto, hanno chiarito che, ai fini della prova della “partecipazione”, rilevano “…i comportamenti di fatto – precedenti e/o successivi al rituale di affiliazione – non necessariamente attuativi delle finalità criminali dell’associazione, ma tuttavia capaci di dimostrare in concreto l’adesione … e di rivelare una reciproca vocazione di irrevocabilità (intesa nel senso di una stabile e duratura relazione, potenzialmente permanente) testimoniandosi in fatto e non solo nelle intenzioni il rapporto organico tra singolo e struttura” aggiungendo che “… la messa a disposizione non solo costituisce l’effetto dell’ammissione al gruppo, ma indica un comportamento oggettivo e non solo intenzionale, attuale e non meramente ipotetico, che finisce così per concretizzare e rendere riconoscibile, sotto il profilo dinamico della partecipazione, non potendo questo effetto condizionarsi in negativo e legarsi esclusivamente alla successiva – e, a volte, solo eventuale – chiamata per l’esecuzione di un incarico specifico, essendo l’adepto già inglobato nel gruppo e pronto per le necessità attuali o future della consorteria“.

In altri termini, le SS.UU. hanno insistito sulla necessità di appuntare la attenzione sulla esistenza di fatti e condotte che siano emblematici e rappresentativi della partecipazione al sodalizio, quand’anche non necessariamente manifestatasi nel compimento di reati-fine o di fatti funzionali alla sua attività esterna, ma che siano espressione certa della militanza nella associazione di cui il soggetto è parte manifestando tale partecipazione nel collaborare al suo funzionamento, alla sua organizzazione, alla conservazione della sua integrità anche sul piano del persistente controllo del territorio nel quale opera ed agisce.

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