Motivazione delle ordinanze cautelari e segnali di autonomia valutativa del giudice (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 19751/2024, udienza del 17 aprile 2024, ha ricordato che, in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, successivamente all’introduzione delle modifiche apportate dalla legge n. 16/4/2015, n. 47, la previsione dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza non abbia carattere innovativo, né miri ad introdurre un vacuo formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante.

Ciò che occorre è che dall’ordinanza emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante. L’aggettivo autonoma è, infatti, riferito specificamente alla valutazione e non all’esposizione dei presupposti di fatto del provvedimento, sicché, rispetto a quest’ultima, anche dopo la riforma, è consentito il rinvio – per relationem o per incorporazione – alla richiesta del PM, mentre dall’atto dovrà emergere il giudizio critico del giudice sulle ragioni che giustificano l’applicazione della misura (tra le tante, Sez.1, n. 8323 del 15/12/2015 dep. 2016, Rv. 265951).

In altri termini, la necessità di autonoma valutazione da parte del giudice procedente è compatibile con un rinvio per relationem o per incorporazione della richiesta del PM, che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (cfr. anche Sez. 5, n. 36917 del 20/6/2017, Rv. 271307; Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015 dep. 2016, Rv. 265807; Sez. 4, n. 31646 del 27/3/2018, Rv. 273429).

Tale esigenza risulta soddisfatta, dunque, anche quando il giudice ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del PM, purché dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (Sez. 3, n. 35296 del 14/4/2016, Rv. 268113).

In altri termini, in tema di misure cautelari personali, ricorre un’autonoma valutazione da parte del giudice ex art. 292, comma 2, lett. c) bis, cod. proc. pen. – anche in sede di gravame – quando venga richiamato in maniera più o meno estesa il provvedimento impugnato con la tecnica di redazione “per incorporazione”, con condivisione delle considerazioni già svolte da altri, poiché valutazione autonoma non vuol dire valutazione diversa o difforme, sempre che emerga dal provvedimento una conoscenza degli atti del procedimento e, se necessario, una rielaborazione critica degli elementi sottoposti a vaglio giurisdizionale, eventualmente con la graduazione o rigetto delle misure (Sez. 5, n. 70 del 24/9/2018 dep. 2019, Rv. 274403; conf. Sez. 5, n. 1304 del 24/09/2018, dep. 2019, Rv. 275339 – 01).

È stato anche precisato che in tema di motivazione delle misure cautelari, il difetto di originalità linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del PM non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, ma rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice (Sez. 3, n. 35720 del 6/10/2020, Rv. 280581).

Affermata, dunque, la legittimità della tecnica per incorporazione della richiesta del PM nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP, rileva il provvedimento impugnato correttamente come tutte le decisioni della Suprema Corte registratesi successivamente all’entrata in vigore della L. 47/2015, nel ribadire l’assunto per il quale la nuova disciplina, con l’esplicita previsione di una “autonoma valutazione”, non hanno innovato rispetto al passato, compresa la possibilità di fare ricorso alla motivazione per relationem, rimarcando, tuttavia, il dovere da parte di qualsiasi giudice di effettuare un reale ed effettivo vaglio critico del materiale probatorio sottoposto al suo esame e di fornire un contributo qualitativo aggiuntivo, dimostrando di aver proceduto a un esame valutativo delle argomentazioni poste a sostegno della richiesta del PM.

Appare evidente, infatti, che il legislatore è intervenuto – positivizzando un principio già ovvio nel sistema di competenze funzionali in materia cautelare – a fronte delle ricorrenti questioni in tema di motivazione apparente delle ordinanze cautelari, laddove l’estensore faccia un improprio ricorso — non solo come canovaccio espositivo dei dati di fatto raccolti, ma anche sotto il profilo dell’analisi critica e della rilevanza decisionale del materiale raccolto – ad atti delle indagini o alla richiesta del PM.

Conseguentemente, al tribunale è attribuito il potere-dovere di annullamento dell’ordinanza che non contenga l’autonoma ‘valutazione’, a norma dell’art. 292 cod. proc. pen., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.

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