Giustizia riparativa negata nel distretto giudiziario di Roma: i tanti responsabili del disastro e il rimpallo delle “valutazioni di competenza” (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

La nota presidenziale

Nulla è più grigio e burocratico di una nota di trasmissione atti da un ufficio a un altro.

Eppure, questa volta tocca superare la noia, leggerla e scriverla per intero, superare lo stupore e commentarla.

È l’8 maggio 2024 e il presidente della Corte di appello di Roma scrive al capo di gabinetto del Ministro della Giustizia.

            “Si trasmette, su segnalazione del Presidente del Tribunale di Latina, copia del provvedimento di non luogo a provvedere adottato in data 15 aprile 2024 dal presidente della sezione penale dello stesso ufficio sulla richiesta di avvio di un programma di giustizia riparativa.

            Il provvedimento è stato correttamente motivato con la considerazione che, presso la Corte di appello di Roma, non è stata ancora istituita la Conferenza locale prevista dall’art. 63 del decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022 e che, per conseguenza, non sono stati individuati gli enti a cui affidare la gestione dei centri di giustizia riparativa presso i quali dovrebbe svolgersi l’attività di mediazione.

           Quanto sopra si porta a conoscenza per le valutazioni di competenza, tenuto conto dell’importanza che la giustizia riparativa riveste per la deflazione del contenzioso penale e per la umanizzazione e personalizzazione della risposta penale.

          Sono pienamente consapevole della complessità del percorso che bisogna avviare, ma sono convinto che, con la collaborazione tra tutte le istituzioni, si potranno superare le difficoltà che sempre accompagnano l’avvio delle riforme, specie di quelle che più incidono su concezioni, quali quelle sulla pena, risalenti e radicate, ma non per questo ancora del tutto adeguate.

        L’occasione è gradita per porgere cordiali saluti.

                                                                                                                             IL PRESIDENTE DELLA CORTE

Alla nota del capo della Corte (allegata alla fine del post) sono allegati il provvedimento del giudice collegiale penale del Tribunale di Latina che dichiara non luogo a provvedere sull’istanza di un imputato di essere avviato ad un programma di giustizia riparativa e dispone invio di copia del provvedimento alla presidente di quel Tribunale e la nota della medesima presidente che trasmette a sua volta copia di quel provvedimento al presidente della Corte di appello.

Il quadro normativo

È noto che la riforma Cartabia ha attribuito un rilievo essenziale alla giustizia riparativa, attribuendole una doppia valenza: strumento rieducativo finalizzato alla riconciliazione interpersonale e sociale tra l’autore del reato e la vittima, mezzo deflattivo dei carichi della giustizia penale.

Il decreto legislativo n. 150/2022 contiene varie disposizioni per la realizzazione di tali scopi.

L’art. 61 attribuisce al Ministero della Giustizia il coordinamento nazionale dei servizi per la giustizia riparativa e le funzioni di programmazione delle risorse, di proposta dei livelli essenziali delle prestazioni e di monitoraggio dei servizi erogati.

Lo strumento di cui si avvale a tal fine il Ministero è la Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, presieduta dal Ministro della giustizia o da un suo delegato, la quale redige annualmente una relazione sullo stato della giustizia riparativa in Italia, che viene presentata al Parlamento dal Ministro della giustizia.

L’art. 63 disciplina l’istituzione dei Centri per la giustizia riparativa e le Conferenze locali per la giustizia riparativa.

I primi sono istituiti presso gli enti locali.

Le seconde sono istituite in ciascun distretto di Corte d’appello e ne fanno parte rappresentanti del Ministero della Giustizia, delle Regioni, delle Province e Città metropolitane e dei Comuni del territorio.

Spetta alle Conferenze locali, “previa ricognizione delle esperienze di giustizia riparativa in atto, sentiti gli esperti di cui all’articolo 61, comma 2, il Presidente della Corte di appello, il Procuratore generale presso la Corte di appello e il Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati del Comune sede dell’ufficio di Corte di appello, anche in rappresentanza degli Ordini distrettuali, individua, mediante protocollo d’intesa, in relazione alle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, uno o più enti locali cui affidare l’istituzione e la gestione dei Centri per la giustizia riparativa in base ai seguenti criteri: a) il fabbisogno di servizi sul territorio; b) la necessità che l’insieme dei Centri assicuri per tutto il distretto, su base territoriale o funzionale, l’offerta dell’intera gamma dei programmi di giustizia riparativa;  c) la necessità che i Centri assicurino, nello svolgimento dei servizi, i livelli essenziali delle prestazioni e il rispetto dei principi e delle garanzie stabiliti dal presente decreto“.

È stabilito inoltre che “All’attuazione delle attività di cui al presente articolo le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La partecipazione alle attività della Conferenza locale per la giustizia riparativa non dà diritto a compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese di qualunque natura o comunque denominati“.

L’art. 64 disciplina le forme di gestione. Vi si legge che i Centri per la giustizia assicurativa possono avvalersi di mediatori esperti dell’ente locale di riferimento. Possono, altresì, dotarsi di mediatori esperti mediante la stipula di contratti di appalto, ovvero avvalendosi di enti del terzo settore, o mediante una convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 56 del medesimo decreto.

L’art. 92, il cui testo originario è stato modificato dal D.L. n. 19/2024, contiene le disposizioni transitorie in materia di giustizia riparativa.

Vi si prescrive che le Conferenze locali, entro il termine di sei mesi dalla data del 31 dicembre 2023, provvedano alla ricognizione dei servizi di giustizia riparativa in materia penale erogati alla stessa data da soggetti pubblici o privati specializzati, convenzionati con il Ministero della giustizia ovvero che operano in virtù di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri soggetti pubblici.

Spetta inoltre alle Conferenze locali valutare le esperienze e i curricula degli operatori in servizio.

Esempi di esperienze applicative

Nel distretto giudiziario milanese la giustizia riparativa è stata messa in grado di funzionare.

Ne abbiamo parlato nel post “Giustizia riparativa: a Milano il primo schema operativo per l’applicazione nella pratica degli istituti previsti“, pubblicato l’8 settembre 2023 e consultabile a questo link.

Note di commento

La regolamentazione normativa della giustizia riparativa è in perfetta sintonia con tutti i luoghi comuni negativi che si possano immaginare riguardo alla legislazione nazionale: catene di responsabilità estese fino allo sfinimento (Ministero della Giustizia, Conferenza nazionale e Conferenze locali della giustizia riparativa, enti locali); procedure farraginose (audizione di numerose autorità, ricognizione delle esperienze in atto, stesura di protocolli d’intesa, obbligo di redazione di relazioni periodiche); responsabilità effettiva attribuita all’ultimo anello della catena, cioè gli enti locali, ma con la condizione che provvedano “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica“; previsione iniziale di tempistiche irrealistiche e quindi inattuabili e successiva corsa ai ripari con proroghe corpose.

In parole povere, come spesso avviene nel nostro Paese, il Legislatore vagheggia e teorizza principi mirabili, l’Esecutivo e la maggioranza politica che lo sostiene vantano l’ulteriore tappa di civiltà giuridica raggiunta grazie ai loro sforzi, la dottrina prende posizione con la consueta divisione tra entusiasti e detrattori, magistratura e avvocatura si schierano anch’esse, fiorisce la convegnistica.

Nel frattempo, a quasi nessuno sembra importare che si devono fare le nozze con i fichi secchi e che, comunque, tali fichi non si trovano in mezzo alla strada ma vanno cercati, assemblati e organizzati con cura a pena di fallimento.

Sempre nel frattempo, quasi nessuno ritiene di dover fare qualcosa in prima persona, di impegnarsi direttamente e di stimolare l’impegno degli altri, di contribuire con l’immaginazione, la creatività e le proposte concrete.

La nota che ha dato spunto a questo post è esemplare di questa ineffabile inerzia.

Si comincia a Latina e il collegio si dice costretto a non provvedere sulla domanda dell’imputato di dare avvio ad un programma di giustizia riparativa. Segue la trasmissione degli atti alla Presidente del locale Tribunale per le valutazioni di competenza.

Si rimane a Latina e la suddetta Presidente ritiene di non potere far altro che trasmettere gli atti al Presidente della Corte di appello di Roma per le valutazioni di competenza.

Ci si sposta nella Capitale e il suddetto Presidente, non prima di avere speso belle e nobili parole sulla giustizia riparativa e avere rilasciato l’attestato di avere bene operato al collegio di Latina per il non luogo a provvedere, trasmette gli atti al Capo di gabinetto del Ministro della Giustizia per le valutazioni di competenza. Beninteso, l’occasione è gradita per porgere cordiali saluti.

Si ignora se l’autorità destinataria abbia risposto alla nota e, in caso positivo, in che termini.

In attesa di saperne di più, possiamo solo registrare il dato dell’inapplicabilità della giustizia riparativa in uno dei più grandi distretti giudiziari italiani ed europei.

La conseguenza immediata è che viene a mancare l’apporto deflattivo sul quale si contava anche ai fini del raggiungimento tempestivo degli obiettivi del comparto giustizia del PNRR e, ciò che più dovrebbe contare, nessuno degli imputati che ne avrebbe diritto ha la possibilità di accedere ad una giustizia che doveva costituire uno dei pilastri della riforma Cartabia.

Al disastro organizzativo ed al fallimento della riforma che ne è conseguenza si aggiunge poi un ulteriore danno strutturale: quello della credibilità persa per strada da vertici politici, amministrativi e giudiziari che assistono inerti a quel fallimento, che non riescono anche solo ad immaginare un’iniziativa, uno stimolo, un colloquio con gli enti locali del territorio in cui operano per capire cosa fare, uno sguardo alle esperienze che hanno funzionato per capire come imitarle.

È un vero peccato, è una scommessa persa quasi irrimediabilmente per l’incapacità di chi avrebbe dovuto farla funzionare ed ha perso il treno.

Soprattutto, è un danno irreparabile per chi, avendo commesso un reato, prova a redimersi scegliendo la strada che lo stesso Legislatore gli indica, e per chi, avendo patito un reato, potrebbe liberarsi almeno in parte delle sue conseguenze attraverso un percorso di riconciliazione.

Ma, a quanto pare, le alte sfere hanno ben altro di cui occuparsi.

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