Un ventilatore come simbolo di potere castale (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Capita a tutte le civiltà, comprese quelle millenarie, di decadere e scomparire dopo avere raggiunto l’apogeo.

Quando inizia a manifestarsi, il declino è visibile nelle idee, nella progettualità, nelle realizzazioni concrete: le discussioni piccine prendono il posto dei grandi dibattiti culturali, le brutture seguono alla bellezza, le opere di piccolo cabotaggio seguono a quelle memorabili.

E poi ci sono anche i piccoli segni, quelli che incidono soprattutto nelle relazioni umane, sulle loro forme e sui loro luoghi.

Così sta accadendo nell’amministrazione della giustizia.

È di ieri la notizia di un incendio nel palazzo romano di via Cavour, sede della Corte di cassazione, che sembrerebbe essere stato causato dal cortocircuito di una presa multipla cui erano collegati vari dispositivi.

Allarme, intervento dei Vigili del fuoco, sgombero dell’edificio ma per fortuna nessun danno a persone o cose.

Un fatto isolato? No, tutt’altro.

Si apprende da testimoni oculari, sempre nella giornata di ieri, che in altre sedi di giustizia della Capitale varie udienze sono state funestate dall’elevata temperatura e dalle sue conseguenze: finestre sbarrate per lavori in corso, assenza o malfunzionamento dei climatizzatori, presenti in lotta col sudore, la disidratazione e i cali pressori.

E, siccome vale sempre l’aurea regola del primum vivere, deinde philosophari (prima pensa a campare, poi fai filosofia), scolorano sullo sfondo i giudizi in corso e l’attenzione generale è rivolta a un oggetto del desiderio: il ventilatore.

Tutti amerebbero essere almeno sfiorati da un refolo d’aria e invece no, l’ambìto dispositivo è rivolto verso il banco dei giudici, valendo anche per il fresco le gerarchie di potere della giustizia.

Un modesto ventilatore diventa così un simbolo di potere e l’aria che smuove arriva solo a chi è seduto dalla parte giusta.

E tutti gli altri? Chiaro, si sono seduti dalla parte del torto, vale a dire quella del sudore e dei collassi incombenti, perché gli altri, quelli della ragione e quindi del fresco, erano già occupati.

Se non è un segno di decadenza e della prossima scomparsa di questa civiltà, non sapremmo cos’altro potrebbe esserlo.

Abbiamo cercato tra le cronache segnali di protesta, di disagio, di insofferenza di tutti quelli seduti dalla parte sbagliata ma non ne abbiamo trovati e abbiamo concordato con uno dei tanti aforismi di Leo Longanesi: “Quando potremo dire tutta la verità non la ricorderemo più“.

È proprio vero, quando si vive il declino l’unica preoccupazione è sopravvivere, poi si vedrà.

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