Ingiusta detenzione: indennizzo “sospeso” per pendenza procedimenti penali (di Riccardo Radi)

Segnaliamo per la sua particolarità una sentenza della Cassazione che ha stigmatizzato la decisione della Corte di appello di Roma in materia di ingiusta detenzione che ha ritenuto “prima di procedere alla liquidazione attendere l’esito” di procedimenti pendenti.

La Suprema Corte sezione 4 nella sentenza 23678/2024 ha preliminarmente ribadito che è esclusa – in forza dell’inderogabile applicazione del principio di fungibilità della detenzione – l’esistenza di una facoltà di scelta tra il ristoro pecuniario di cui all’art. 314 cod. proc. pen. e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta (sez. 4, n.33671 del 14/6/2016, Rv. 267443-01), nella specie, deve però rilevarsi che è la stessa Corte della riparazione ad avere ancorato la disposta sospensione della liquidazione alla sola pendenza di procedimenti penali, il cui esito potrebbe determinare i presupposti di una fungibilità rilevante a norma dell’art. 314, comma 4, cod. proc. pen., senza specificare se, rispetto ad essi, sia intervenuta una condanna, sia pur non definitiva.

L’art. 314, comma 4, primo periodo, cod. proc. pen., infatti, esclude il diritto alla riparazione per quella parte della custodia cautelare che sia stata computata ai fini della determinazione della misura della pena a norma dell’art. 657 cod. proc. pen., cosicché al giudice della riparazione spetta di verificare che la custodia sia stata eventualmente computata dall’organo dell’esecuzione, ma non anche di sospendere la liquidazione del quantum in attesa della definizione di procedimenti penali ancora pendenti, il cui esito potrebbe risolversi addirittura nella costituzione di ulteriori titoli, validi ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione.

Infatti, in tema di esecuzione, il criterio di fungibilità previsto dall’art. 657 cod. proc. pen. impone al pubblico ministero di tener conto, a fini di scomputo, di tutti i periodi di custodia cautelare in precedenza sofferti dal condannato (sempre che la misura sia stata subita successivamente alla commissione del reato per cui va determinata la pena da eseguire), derivandone, come sopra già precisato, l’esclusione di una facoltà di scelta, da parte dell’interessato, tra il ristoro pecuniario e lo scomputo dalla pena da espiare della custodia cautelare ingiustamente sofferta (sez. 4, n. 50327 del 24/10/2018, Rv. 274051-01).

A tali fini, peraltro, vanno certamente computati anche i periodi di custodia cautelare relativi ad altri fatti, per i quali il condannato abbia già ottenuto il riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, stante la inderogabilità della disciplina, fermo restando che, al fine di evitare che l’interessato consegua una indebita locupletazione, il giudice investito della richiesta di riparazione può sospendere il relativo procedimento, ove gli risulti l’esistenza di una condanna non ancora definitiva a pena dalla quale possa essere scomputato il periodo di custodia cautelare cui detta richiesta si riferisce, e che, ove la somma liquidata a titolo di riparazione sia stata già corrisposta, lo Stato può agire per il suo recupero esperendo l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 cod. civ. (Sez. U, n. 31416 del 10/7/2008, Cascio, Rv. 240113- 01).

Ciò in quanto il criterio di fungibilità previsto dall’art. 657 cod. proc. pen., improntato al “favor libertatis”, configura, in combinato disposto con il comma 4 dell’art. 314 cod. proc. pen., una “riparazione in forma specifica” per l’ingiusta privazione della libertà personale che prevale rispetto alla monetizzazione di cui al medesimo art. 314, introducendo una forma di ”compensazione” per il periodo di detenzione ingiustamente subito, secondo un meccanismo compatibile con l’art. 5 CEDU, il quale opera soltanto in caso di violazione delle prescrizioni da esso poste ai paragrafi 1, 2, 3 e 4, e non può essere oggetto di disapplicazione per contrasto con l’art. 6 della Carta di Nizza, in assenza di collegamento tra la materia in oggetto e il diritto dell’Unione Europea (sez. 3, n. 43453 del 17/9/2014, Rv. 260328-01; sez. 4, n. 33671 de114/6/2016, Rv. 267443-01).

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