Dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio: quando sono idonee a fondare la base esclusiva di una condanna (di Riccardo Radi)

Una recente sentenza della Cassazione ci permette una interessante disamina sull’articolo 512 cpp e la loro base “esclusiva e determinante” dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di “adeguate garanzie procedurali”.

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 13384/2024 ha stabilito che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione – avente natura di “diritto consolidato” – espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/ Germania, la base «esclusiva e determinante» dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto.

In applicazione del principio, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata sul rilievo che le puntuali e logiche dichiarazioni predibattimentali della persona offesa risultavano corroborate dal riconoscimento fotografico dell’autore del reato dalla stessa effettuato con certezza. nonché dalle dichiarazioni rese dal teste di polizia giudiziaria circa analogo riconoscimento avvenuto, nel corso delle indagini, ad opera di un informatore.

Punto di partenza dell’evoluzione giurisprudenziale dell’ultimo decennio, in materia, è la decisione Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D.F. Rv. 250199, la quale consacrò il principio secondo cui “Le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 Conv. EDU, fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale“.

Oggetto di interpretazioni difformi, che avevano motivato la rimessione, era la nozione di “assoluta impossibilità” dell’esame dibattimentale, postulata dall’art. 512-bis cod. proc. pen. ai fini della lettura delle dichiarazioni predibattimentali rese da persona residente all’estero, essendo ai tempi controverso se tale condizione dovesse identificarsi nella impossibilità totale e definitiva di ottenere la presenza del dichiarante.

Nel percorso ricostruttivo seguito, le Sezioni Unite individuarono anzitutto le ragioni ispiratrici della disposizione che sono state ricondotte all’esigenza di armonizzare la disciplina delle letture col principio del contraddittorio di cui al novellato art. 111 Cost., l’esigenza di garantire, per quanto possibile, la dialettica delle parti nella fase acquisitiva della prova, l’esigenza di conformare l’ordinamento interno agli obblighi internazionali.

Alla luce del novellato art. 111 Cost., con le circoscritte e tassative eccezioni di cui al comma quinto (consenso dell’imputato, accertata impossibilità di natura oggettiva, provata condotta illecita in danno del dichiarante), la Corte ritenne che si imponesse un’interpretazione restrittiva dei presupposti applicativi dell’art. 512-bis cod. proc. pen., anch’esso contenente una previsione derogatoria rispetto al metodo dialettico di assunzione della prova; e che la lettura delle dichiarazioni predibattimentali, intanto potesse valutarsi legittima, in quanto il giudice avesse esplorato senza successo tutte le possibilità ed adoperato ogni strumento utile a disposizione al fine di consentire la dinamica “fisiologica” di escussione dei testi.

Nel descritto scenario, un deciso mutamento di prospettiva si deve alla pronuncia della Corte di Strasburgo, Grande Camera, 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito, la quale stabilì che la violazione del principio di equità processuale espresso dall’art. 6, §§ 1 e 3, lett. d), CEDU va esclusa quando rilevino elementi sufficienti, ovvero solide garanzie procedurali, idonee a controbilanciare l’applicazione della regola della prova unica o determinante.

Introducendo un elemento di flessibilità che smussava il rigore del precedente orientamento, la Corte dei Diritti si pose nell’ottica dell’equità complessiva, dell’intero processo, disponendo che fossero apprezzati contestualmente tutti quei contrappesi idonei a compensare, nel loro insieme, l’oggettiva restrizione delle prerogative della difesa derivata dall’utilizzazione di una prova decisiva – perché capace di incidere sull’alternativa condanna/assoluzione — non verificata in contraddittorio.

In linea di continuità con detta pronuncia si pose Corte EDU, Grande Camera, sentenza 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania, che ne ribadisce i contenuti e la necessità che il giudice scrutini la compatibilità delle dichiarazioni rese da un testimone assente con le garanzie convenzionali.

All’esito della svolta europea, le pronunce rese dalla giurisprudenza di legittimità hanno proseguito nella lettura adeguatrice delle norme interne rispetto alla garanzia convenzionale. Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, Mellone, Rv. 276531, ha puntualizzato la nozione di “garanzie procedurali” idonee a compensare il deficit di contraddittorio, che ha individuato anzitutto nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e, sotto altro profilo, nella compatibilità di tali contenuti con i dati di contesto.

La stessa decisione chiarisce, in proposito, come la verifica dell’esistenza di “adeguate garanzie procedurali“, possa essere eventualmente anche alternativa alla verifica dell’esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori. Sez. 6, n. 50994 del 26/03/2019, D., Rv. 278195 ha evidenziato come la sentenza Corte EDU Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito sia stata realmente uno spartiacque. Ed invero, se in precedenza era consentito – secondo la nozione europea di corroboration – un uso solo indiretto della fonte di prova non verificata, cioè un uso meramente confermativo di una prova raggiunta aliunde, a partire dalla detta pronuncia europea, mutata la regola di giudizio, la irripetibilità dell’atto dichiarativo dovuta ad un fatto impeditivo oggettivo ed assoluto non preclude l’utilizzabilità piena di quelle dichiarazioni rese in fase investigativa, ma a condizione che sussistano altri elementi corroborativi della loro attendibilità.

La portata del principio è stata successivamente precisata da Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, Rv. 279148, nel senso che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all’interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, caso Al Khawaja e Tahery c/Regno Unito e 15 5 dicembre 2015, caso Schatschaachwili c/Germania, la base “esclusiva e determinante” dell’accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di “adeguate garanzie procedurali“, individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata.

In motivazione la Corte ha precisato che ciò che rafforza la credibilità della dichiarazione predibattimentale non è il contenuto omologo e derivato della dichiarazione de relato, quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdotti nel fascicolo del dibattimento attraverso l’art. 512 cod. proc. pen. (Sez. 2, n.15492 del 05/02/2020, C., Rv. 279148; Sez. 4, n. 44902 del 12.10.2023, n.m.).

Tale più recente giurisprudenza, prendendo atto delle sopravvenute sentenze della Corte di Strasburgo “supera” l’approdo ermeneutico delle Sezioni Unite n. 27918 del 2010 cit. segnando un rilevante intervento di interpretazione conformativa effettuato sull’art. 512 cod. proc. pen., teso ad adeguare le garanzie interne a quelle convenzionali, nella materia della capacità dimostrativa di dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio chiarendo che non ogni sentenza della Corte Edu genera l’obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avvallato dall’intervento di una pronuncia di Grande camera.

La natura di diritto consolidato deve essere senz’altro riconosciuta alle pronunce di Grande Camera che hanno chiarito l’estensione delle garanzie previste dall’art. 6 della Convenzione, e segnatamente le sentenze Tahery Al Kawaja v. Regno Unito (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011) e Schatschaschwili v. Germania (Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015); queste due sentenze hanno così superato il precedente orientamento della stessa Corte di Strasburgo che riteneva non compatibile con le garanzie convenzionali le condanne fondate su testimonianze cartolari che costituivano l’elemento “decisivo e determinante” dell’accertamento di responsabilità.

Posti tali principi, nel caso in esame, la Corte territoriale, ponendosi nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche, ha individuato una serie di bilanciamenti procedurali che sostengono la valutazione in ordine alla credibilità dei contenuti accusatori delle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa acquisite ex art. 512 cod. proc. pen.

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