Segnalazione di operazioni sospette: i doveri di vigilanza del direttore della filiale di un istituto di credito (di Vincenzo Giglio)

Cassazione civile, Sez. 2^, ordinanza n. 11440/2024, camera di consiglio del 29 febbraio 2024, ha chiarito i contorni del dovere di vigilanza del direttore di banca sulle operazioni sospette.

Vicenda giudiziaria sottostante al ricorso

Con decreto del febbraio 2015 il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito MEF) ha sottoposto ad una sanzione pecuniaria AP, direttore pro tempore di una filiale dell’istituto di credito XXX, e lo stesso istituto quale obbligato in solido, avendoli ritenuti responsabili della violazione amministrativa prevista dall’art. 3 della legge n. 197/1991 per non aver segnalato operazioni sospette riconducibili ad una società olandese con la movimentazione di danaro risultante da due bonifici rintracciabili.

Sia AP che XXX hanno proposto opposizione al Tribunale di Roma avverso il suddetto decreto e, dopo il suo rigetto, hanno proposto appello alla Corte di appello di Roma, ottenendone l’annullamento.

Ricorso per cassazione

Contro la suddetta sentenza di secondo grado il MEF ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo.

Il Ministero ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.l. n. 143/1991 (come convertito, con modifiche, nella legge n. 197/1991), nella versione “ratione temporis” riferibile al caso di specie, e “secondo la lettura datane dalla Suprema Corte”, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la circostanza per cui la provvista fosse stata creata con strumenti tracciati e che non vi fossero elementi di sospetto in merito alla provenienza delittuosa delle somme era idonea ad escludere l’obbligo di segnalazione ancorché le operazioni successive di prelievo di contanti potessero far nascere il sospetto di una successiva azione illegale.

Il MEF, in particolare, ha inteso confutare la ricostruzione della configurazione degli elementi costitutivi della violazione prevista dalla predetta norma come operata nella sentenza impugnata in base ai fatti rimasti accertati (contestando il percorso motivazionale della pronuncia), sul rilievo che, a tale scopo, la previsione legale non postula necessariamente la compresenza di un reato di riciclaggio, ma sanziona anche la sola omessa segnalazione di operazioni sospette come ritenute sussistenti per l’emergenza di un “vorticoso giro di operazioni” tali da indurre a sospettare che il denaro, i beni e le utilità ricollegabili alle compiute operazioni “possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale”.

Secondo la prospettazione del MEF si sarebbe dovuto, quindi, ritenere che, nel caso di specie, erano riscontrabili numerosi indici di anomalia, soprattutto in considerazione della circostanza che la provvista dei prelevamenti in contanti, effettuata per complessivi euro … era stata creata mediante l’accredito di somme tramite bonifici bancari e, dunque, con operazioni tracciate e rientranti nell’ambito dell’operatività societaria. 

Hanno resistito con un congiunto controricorso entrambe le parti intimate, le quali hanno anche depositato memoria.

Decisione della Corte di cassazione

Il motivo è fondato.  

…Cornice normativa

Prima di esaminare la fattispecie concreta a cui è rivolta la sentenza impugnata, è opportuno chiarire la cornice normativa e il quadro giurisprudenziale in materia.

Sul piano normativo si osserva che:

(a) secondo la disciplina del D.L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 3, commi 1 e 2, (“Provvedimenti urgenti per (…) prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”), come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197 del 1991, e del D.Lgs. n. 153 del 1997 (“Integrazione dell’attuazione della Dir. n. 91-308-CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita”) e, ancora, del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56 del 2004, gli “intermediari” (ossia gli operatori e i professionisti indicati dalle disposizioni in esame) hanno l’obbligo di segnalare alla competente autorità di controllo (Ufficio Italiano Cambi) ogni operazione che, per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività del soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possa provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648-ter, cod. pen.;

(b) nella prospettiva di “ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali” e al fine di “evitare forme di arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge” e assicurare la “omogeneità di comportamento del personale degli intermediari” (cfr. la premessa delle “istruzioni operative”), la Banca d’Italia, in applicazione del D.L. n. 143 del 1991, art. 4, comma 3, lett. c), ha emanato, nel febbraio 1993, le “Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio” (cd. decalogo), aggiornate nel novembre 1994 e rinnovate il 12 gennaio 2001, ai sensi del D.L. n. 143 del 1991, art. 3-bis, comma 4, (aggiunto dal D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 153), dirette a superare la genericità della disciplina applicativa della Dir. n. 91-208-CEE. 

Con tali istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie.

Nella seconda parte del “decalogo” (intitolata “Indici di anomalia”), al punto 1.2, si stabilisce che sono sospette di riciclaggio “frequenti operazioni per importi di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante” e, ancora, il “prelevamento di ingenti somme”, mentre al punto 2.1. si pone riferimento, quale indice di anomalia, al “prelevamento di denaro contante per importi rilevanti, salvo che il cliente rappresenti particolari esigenze”;

(c) l’Ufficio Italiano Cambi, nel provvedimento del 24 febbraio 2006, in tema di istruzioni applicative “in materia di obblighi di (…) segnalazione delle operazioni sospette per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario” a carico di una serie di soggetti rivestenti diverse qualità e funzioni, afferma (parte IV, art. 4, lett. g) che nell’individuazione delle operazioni sospette deve aversi riguardo (tra gli altri) al seguente criterio generale: “ingiustificato impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell’operazione”; (d) analoga disciplina (riferibile alle operazioni realizzate a far data dal 1° gennaio 2008), è dettata dall’art. 41, del D.Lgs. n. 231 del 2007, recante la riforma della normativa antiriciclaggio.

…Quadro giurisprudenziale

Sul piano giurisprudenziale va evidenziato che costituisce principio di diritto consolidato (v. Cass. n. 8699/2007, Cass. n. 20647/2018 e, di recente, Cass. n. 2129/2024), quello secondo cui in materia di sanzioni amministrative per violazioni della disciplina antiriciclaggio, l’obbligo di segnalazione a carico del responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo di operazioni che a suo avviso, sulla base dei parametri indicati dalla legge, potrebbero provenire da taluno dei reati indicati nell’articolo 648-bis del codice penale, stabilita dall’art. 3, primo e secondo comma, del D.L. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito nella L. n. 197/1991) non è subordinata all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione, in base al loro personale convincimento, dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio.

…Esame della fattispecie concreta

Passando dalla cornice dogmatica alla fattispecie concreta sottoposta all’esame della Corte di appello di Roma, si rileva che la sentenza impugnata si è discostata dal chiaro dato normativo, non si è attenuta agli indirizzi giurisprudenziali di legittimità e non ha valorizzato specifiche circostanze fattuali che avrebbero dovuto indurre AP, nella qualità, a valutare la necessità di provvedere alla conseguente segnalazione delle operazioni oggetto di contestazione e non ritenere, invece, che non potesse essere ravvisabile alcun elemento di sospetto, quanto alla provenienza delittuosa del denaro, all’atto della percezione di quanto confluito sul conto corrente della su menzionata società olandese, prescindendo movimentata. dalla univoca sintomaticità dell’elevata somma.

Né – a discarico della posizione di AP – può valere la circostanza che la provvista fosse avvenuta mediante sistemi tracciabili.

In contrario, in virtù dell’accertato accreditamento delle somme in questione mediante bonifici sul conto corrente di detta società estera, doveva sorgere (circostanza fattuale, peraltro, presa in considerazione dalla stessa Corte di appello) il sospetto di una possibile consumazione di condotta di reato (oltretutto, poi, effettivamente perseguita sulla base di indagini compiute dalla Guardia di finanza ed accertata a carico di soggetti che avevano truffato l’imprenditore accreditante) e ciò, in particolare, per effetto della circostanza che gli importi erano stati prelevati con più operazioni frazionate quasi interamente in contanti, comportamento che avrebbe dovuto indurre tempestivamente AP a prendere in considerazione che potesse trattarsi di un’operazione anomala, siccome potenzialmente idonea a costituire uno strumento di elusione delle disposizioni dirette a prevenire e sanzionare l’attività di riciclaggio.  Inoltre, la circostanza oggettiva che le operazioni erano consistite in frequenti prelevamenti in contanti per somme rilevanti (€. …) non poteva di certo essere semplicisticamente minimizzata.

Del resto, la ricordata previsione di cui al punto 2.1. del decalogo della Banca d’Italia è poi nella sostanza confluita nell’art. 41 del d. lgs. n. 231/2007, che – pur non applicabile “ratione temporis” nel caso di specie – ha, in un certo senso, tipizzato l’elemento del sospetto in questo ambito con riferimento alle ipotesi in cui si faccia un ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, allorquando il prelievo o il versamento – ipotesi, perciò, alternative – in contante con intermediari finanziari sia pari o superiore ad una soglia di euro 15.000,00, importo massimo, quindi, entro la cui misura non può – di per sé – ritenersi configurabile una situazione di sospetto.

Anche il riferimento al mancato allarme da parte del sistema informatico Gianos (il quale, peraltro, elabora i dati verificabili non in tempo reale rispetto alle operazioni di prelievo o versamento) non avrebbe potuto certamente costituire una fattore tale da esonerare AP da una – comunque imprescindibile – sua diretta attività di accertamento mirata e basata su elementi soggettivi e oggettivi che si trovavano, in ogni caso, in suo possesso e che erano tali da far sorgere nello stesso il sospetto (bastando – va sottolineato – solo questa condizione e non la certezza o verosimile certezza) dell’anomalia dell’operazione in oggetto.    

…Principio di diritto

Deve, quindi, trovare conferma il già richiamato principio, in base al quale, in materia di sanzioni amministrative per violazioni della disciplina antiriciclaggio, l’obbligo di segnalazione a carico del responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo di operazioni che a suo avviso, sulla base dei parametri indicati dalla legge, potrebbero provenire da taluno dei reati indicati negli artt. 648-bis e 648ter cod. pen., stabilita dall’art. 3, primo e secondo comma, del d.l. 3 maggio 1991, n. 143 (convertito nella legge n. 197 del 1991) non è subordinato all’evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure all’esclusione, in base al loro personale convincimento, dell’estraneità delle operazioni ad una attività delittuosa, ma ad un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, ad essere strumento di elusione alle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio, giudizio che – nella fattispecie – la Corte di appello di Roma non ha, con la sentenza qui impugnata, condotto valorizzando la pluralità degli indici sintomatici complessivi come in precedenza evidenziati, che non avrebbero potuto escludere la concreta ed univocamente indiziante anomalia sospetta dell’operazione esaminata, da cui sarebbe dovuto sorgere l’obbligo in capo ad AP di procedere alla dovuta segnalazione prevista dalla legge.

…Accoglimento del ricorso

In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il derivante rinvio della causa alla Corte di appello di Roma.

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