Occupazione abusiva di immobili: condizioni per il riconoscimento dello stato di necessità (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 46064/2023, udienza del 22 settembre 2023, offre un’utile ricognizione della giurisprudenza di legittimità riguardo alla causa di giustificazione dello stato di necessità, con specifica attenzione alla sua eventuale applicazione alle fattispecie di occupazione abusiva di immobili.

La Corte di cassazione ha da tempo affermato che, ai fini del riconoscimento dell’esimente dello stato di necessità, nel concetto di danno grave alla persona, secondo la formulazione dell’art. 54 cod. pen., rientrano anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l’integrità fisica in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompresa anche l’esigenza di un alloggio, che è uno dei bisogni primari della persona. Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, mediante l’inclusione dei diritti inviolabili, impone peraltro una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione dell’esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità e dell’inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate (Sez. 2, n. 24290 del 19/03/2003, Rv. 225447-01; Sez. 3, n. 5924 del 18/03/1983, Rv. 159613-01).

La più recente giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che l’abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona – che, come si è detto, ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost. – sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo, con la conseguenza che la stessa esimente può essere invocata solo in relazione a un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa (Sez. 2, n. 10694 del 30/10/2019, dep. 2020, Rv. 278520-01, Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, Rv. 263296-01; Sez. 2 n. 19147 del 16/04/2013, Rv. 255412-01).

In applicazione di tali principi, la Suprema Corte, per citare solo qualche caso: ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto configurabile l’esimente in relazione all’occupazione arbitraria di un alloggio di proprietà dello I.A.C.P., in quanto l’imputata, dopo un litigio con il marito, con il quale condivideva un alloggio insalubre, si era trovata con la propria figlioletta priva di riparo, in una situazione così grave ed eccezionale che l’amministrazione comunale del luogo aveva poi requisito l’appartamento per destinarlo a residenza temporanea del nucleo familiare della donna (Sez. 2, n. 24290 del 19/03/2003, cit.); ha escluso la ricorrenza della scriminante in relazione all’occupazione di un alloggio di un A.T.E.R. che era stato occupato da parte di una donna in stato di gravidanza e con minacce di aborto e dal di lei coniuge, entrambi svolgenti regolare attività lavorativa, situazione questa che escludeva l’assoluta necessità in vista di un pericolo inevitabile (Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, Rv. 253035-01); ha escluso la sussistenza della scriminante, invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza della coniuge (Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, cit.); ha annullato con rinvio, per difetto di motivazione, la sentenza di merito che aveva ritenuto l’imputata responsabile del reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dello I.A.C.P. senza in alcun modo prendere in esame la rappresentata esistenza di condizioni che avrebbero potuto rendere configurabile lo stato di necessità (Sez. 2, n. 35580 del 27/06/2007, Rv. 237305-01).

Quanto all’onere probatorio, è stato chiarito che, ai fini del riconoscimento di una causa di giustificazione, l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione, essendo tenuto a fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze altrimenti ignoti che siano in astratto idonei, ove riscontrati, a configurare in concreto la causa di giustificazione invocata, mentre incombe sulla pubblica accusa l’onere della “prova negativa”, con la conseguenza che, nel dubbio sull’esistenza dell’esimente, il giudice deve giungere a una pronuncia di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ex art. 530, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 35024 del 09/10/2020, Rv. 280304-01).

Principio che è stato affermato proprio in relazione a una fattispecie in tema di occupazione di edificio di edilizia popolare, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva escluso la causa di giustificazione dello stato di necessità nonostante le imputate avessero compiutamente e dettagliatamente allegato una situazione di estremo disagio, e in particolare l’impossibilità di procurarsi altrimenti un alloggio all’indomani dell’esecuzione dello sfratto per morosità dall’alloggio che occupavano in precedenza.

Rammentati tali principi, si deve rilevare che è vero che, nel passaggio della motivazione della sentenza impugnata che è stato più volte citato dalla ricorrente («nessuna prova è stata fornita in ordine all’assoluta impossibilità di potere dimorare temporaneamente presso parenti o amici o, comunque, di trovare altrove un rifugio temporaneo»), la Corte territoriale sembra porre erroneamente a carico dell’imputata un onere di prova, e non di mera allegazione – come è stato chiarito dalla citata Sez. 2, n. 35024 del 09/10/2020 – delle condizioni per la configurabilità dell’invocata causa di giustificazione.

Tale errore, tuttavia, non risulta avere avuto un’influenza decisiva sulla decisione.

Questa si basa, in effetti, essenzialmente sul fatto che gli elementi che erano stati allegati dall’imputata, costituiti dal proprio stato di indigenza (come è stato evidenziato dal giudice di primo grado) e dalla conseguente impossibilità di dare un alloggio ai propri due figli gemelli in tenera età, non si potevano ritenere di per sé sufficienti a integrare l’invocata scriminante dello stato di necessità. Tale conclusione risulta in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale, lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio, con l’esclusione, perciò, in linea di massima, di situazioni di pericolo non contingenti ma permanenti, quale è, appunto, l’esigenza abitativa, qualora non sia transeunte e derivante dalla stretta e immediata necessità «di salvare sé od altri dal pericolo di un danno grave alla persona».

Il che non è possibile ritenere, come correttamente ha fatto la Corte d’appello, sulla base del mero stato di indigenza ed esistenza di figli in tenera età; tanto più che, come è stato pure sottolineato dalla Corte di cassazione (Sez. 2, n. 9655 del 16/01/2015, cit.), gli alloggi di edilizia popolare sono destinati proprio a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso, però, delle procedure pubbliche e regolamentate.