Persona offesa nei reati di maltrattamenti, atti persecutori, violenza sessuale ecc.: la domanda di ammissione al patrocinio è semplificata (di Riccardo Radi)

Ancora una volta si registrano provvedimenti di merito che mortificano la volontà legislativa di garantire il gratuito patrocinio, indipendentemente dalla disponibilità economica della donna, per i reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, d.P.R. n. 115 del 2002 per la chiara volontà di incoraggiare le denunce di reati particolarmente odiosi, che proprio a causa della loro natura risultano molto difficili da affrontare.

La Cassazione sezione 4 con la sentenza numero 13398/2024 ha stabilito che la persona offesa di uno dei reati indicati dall’art. 76, comma 4-ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti da tale disposizione, sicché la relativa istanza deve soddisfare i soli requisiti di cui all’art. 79, comma 1, lett. a) e b), del citato d.P.R., limitatamente all’indicazione del processo, se già pendente, cui l’istanza si riferisce e delle esatte generalità dell’interessato, non essendo necessario riportare i codici fiscali e le generalità dei componenti del suo nucleo familiare, né le allegazioni previste alle lett. c) e d) del medesimo comma.

Fatto

Con ordinanza resa in data 20 aprile 2023 il Tribunale di Avellino rigettava l’opposizione proposta da L.C. avverso il diniego dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

A motivo della decisione il Tribunale rilevava che la ricorrente, pur rientrando nella categoria dei soggetti aventi diritto al patrocinio a spese dello Stato poiché persona offesa del reato di cui all’art. 612 cod. pen., non aveva fornito i dati richiesti a mente dell’art. 79 DPR n.115/2002, avendo l’istante documentato la propria istanza senza indicare le generalità e il codice fiscale dei componenti della propria famiglia anagrafica.

Pertanto, la certificazione della L.C. non poteva ritenersi conforme al modello legale di cui all’art. 79, lett. a) e b) del DPR n.115/2002.

Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso la L.C.

Decisione

L’art. 76 co. 4-ter DPR 115/02, introdotto dall’art. 4, comma 1, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, (convertito dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni), prevede che, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, possa prescindersi dai limiti reddituali per la persona offesa per i reati di cui agli articoli: 572 (maltrattamenti in famiglia), 583-bis (pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili), 609-bis, 609- quater, 609-octies (violenza sessuale) e 612-bis (atti persecutori), nonché, ove commessi in danno di minori, per i reati di cui agli articoli 600 (riduzione in schiavitù), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e alienazione di schiavi), 609- quinquies (corruzione di minorenne) e 609- undecies (adescamento di minorenni).

L’art. 79 del DPR 115/02, rubricata “contenuto dell’istanza”, prevede testualmente che “… L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:

a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente,

b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;

c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Re pubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76;

d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti, dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione“.

Come esposto nella narrativa del ricorso, con il provvedimento impugnato l’istanza della ricorrente, persona offesa in un procedimento penale instaurato ai sensi dell’art 612-bis cod. pen, è stata dichiarata inammissibile poiché la predetta aveva omesso di indicare il proprio codice fiscale e le generalità dei familiari conviventi, requisito richiesto dalla lettera b) dell’art. 79 sopra citato.

Tanto premesso, è stato già affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. 4, n. 13497 del 15/02/2017, Rv. 269534 01; Sez. 4 – n. 16272 del 05/04/2022, Rv. 283026 – 01) che la persona offesa da uno dei reati elencati dall’art. 76, comma quarto – ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è sempre ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dallo stesso articolo.

Si è osservato che “in mancanza di una espressa disposizione legislativa, il giudice non potrebbe negare l’ammissione al beneficio solo sulla base della mancata allegazione della dichiarazione sostitutiva di certificazione, da parte dell’interessato, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste dall’art. 76 cit., dato che la norma in parola (il ridetto comma 4-ter) non individua massimi reddituali idonei ad escludere il diritto in argomento; sicché la produzione di tale attestato s’appalesa del tutto superflua e, perciò, la sua mancanza è inidonea a fondare una pronuncia di rigetto”.

Si è altresì affermato che la ratio di tale previsione risiede nella esigenza di assicurare alle vittime di determinate tipologie di reati, già colpite da situazioni di particolare disagio, un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale, con conseguente sostegno ed incoraggiamento a denunciare gli abusi commessi a loro danno.

Pertanto, le persone offese di uno dei reati indicati dall’art. 76, comma 4 ter, DPR n.115/2002, non hanno alcun obbligo di corredare la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato con l’autocertificazione relativa alla propria situazione reddituale, essendo del tutto ininfluente l’accertamento dei limiti di reddito per la fruizione del beneficio, concedibile sempre, e in deroga ai predetti limiti, in ragione della condizione rivestita dal richiedente.

Tali essendo gli approdi interpretativi e le loro fondate ragioni, che si ritiene di dover ribadire e condividere, la logica conseguenza non può che essere la totale irrilevanza, ai fini del riconoscimento delta pretesa, dell’onere di fornire indicazioni utili esclusivamente all’accertamento del limite reddituale, quali sono, certamente, i requisiti di cui alla lettera b) del citato articolo 79 DPR n.115/2002 ( codice fiscale della parte richiedente e generalità e codice fiscale dei familiari conviventi).

La contraria interpretazione, quale quella proposta nel provvedimento impugnato, stride con la finalità della norma e la sua corretta applicazione, come declinata dalla giurisprudenza citata, ormai ferma sulla affermazione che il beneficio deve essere riconosciuto a tutte le persone offese dei reati elencati dall’art. 76, comma 4 ter, del Testo Unico sulle spese di giustizia, a prescindere dal loro reddito.

A ciò si aggiunga che vieppiù stride con la accertata finalità della legge la previsione della conseguenza della inammissibilità della richiesta a fronte della mancata indicazione di requisiti del tutto irrilevanti, in quanto, come detto, funzionati solo a monitorare l’ammontare del reddito che, nei casi in questione, non costituisce presupposto per l’ammissione al patrocinio.

Tanto chiarito, deve dunque rilevarsi che l’affermazione secondo cui “la persona offesa di uno dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito stabiliti dalla medesima disposizione, sicché la relativa istanza deve limitarsi ad indicare i requisiti di cui alle lett. a) e b) dell’art. 79, comma 1, del citato decreto, non richiedendosi l’allegazione prevista alla lett. c) della norma,” affermazione contenuta nelle sentenze sopra citate, non può certamente essere letta in modo formalistico e strettamente letterale.

E’ infatti evidente che il riferimento alla lettera b) dell’art. 79 ( ossia l’indicazione delle generalità dell’interessato e dei componenti della famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali) va considerato limitatamente a quanto effettivamente funzionale alla richiesta, ossia nel senso che deve ritenersi obbligatoria l’indicazione delle esatte generalità dell’interessato, senza alcuna necessità di riportare, nell’istanza, anche i codici fiscali e le generalità dei componenti del nucleo familiare.

Va anche considerato che il mancato raccordo tra la disposizione di cui all’art. 79 del DPR n.115 del 2002, che stabilisce il contenuto dell’istanza di ammissione, e l’art. 4, comma 1, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, (convertito, con 3 modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni) che ha inserito il comma 4 ter nel corpo dell’articolo 76, non può certamente autorizzare una interpretazione contraria a quella qui indicata, e fatta propria nel provvedimento impugnato.

Si tratta, invero, di una strada interpretativa imposta da una lettura costituzionalmente orientata delle norme di riferimento.

La Corte costituzionale, con la sentenza n.1/2021, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in ordine al citato art. 76, comma 4 ter, ha difatti sottolineato che il criterio che guida l’applicazione della norma “non è il reddito, ma la condizione di vulnerabilità” delle vittime, nella maggior parte donne.

In questo senso, voler garantire il gratuito patrocinio indipendentemente dalla disponibilità economica della donna è indicatore della volontà di incoraggiare le denunce di tali reati, che proprio a causa della loro natura risultano molto difficili da affrontare.

Il fine della norma, dunque, consiste nel poter offrire “un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima” e nell’incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.

Con la sentenza costituzionale del 2021, quindi, viene definitivamente sancita l’obbligatorietà del gratuito patrocinio nei casi di cui all’art. 76, comma 4 ter cit., rilevandosi come tale valutazione sia “del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore“.

Di conseguenza, l’interpretazione secondo cui sarebbe necessario, a pena di inammissibilità della richiesta, fornire elementi di conoscenza utili esclusivamente per la determinazione del reddito, è in palese contrasto con la funzione della norma così come descritta dal giudice delle leggi.

Si impone, quindi, l’annullamento della decisione impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Avellino.