Ingiusta detenzione patita a seguito di estradizione passiva: i chiarimenti della Cassazione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 22688/2023, udienza del 14 marzo 2023, ha offerto un utile quadro riassuntivo dello stato dell’arte giurisprudenziale attorno all’ingiusta detenzione derivante da procedure estradizionali.

In tema di estradizione, la riparazione per ingiusta detenzione è disciplinata solo con riferimento alla estradizione attiva.

L’art. 722-bis, cod. proc. pen., stabilisce, infatti, che «la custodia cautelare all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione, nei casi indicati dall’art. 314».

Sulla base di tale dato normativo, la Corte di legittimità aveva sostenuto che «per l’esplicita esclusione dell’applicazione dei parametri previsti dall’art. 273 e 280 cod. proc. pen. operata dall’art. 714, comma 2, cod. proc. pen., l’arresto a fini estradizionali non può dar luogo al diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione» (Sez. 6, n. 1648 del 22/04/1997, Rv. 208145; Sez. 6, n. 31130 del 08/07/2003, Rv. 226208).

Tale risalente orientamento è stato rivisto alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 231/2004 con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24 della Costituzione, nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio o di applicazione provvisoria della misura custodiale su domanda dello stato estero che si accerti carente di giurisdizione.

La Corte costituzionale ha stabilito che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione va ricollegato alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione “ex post” e che, pertanto, l’art. 314 cod. proc. pen. può trovare applicazione anche nel caso in cui la lesione derivi da un titolo di detenzione che trova origine nell’ambito della procedura di estradizione.

A fronte di tale principio, le Sezioni unite con la sentenza n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251691, chiamate a decidere se «la misura coercitiva a fini estradizionali perda efficacia nel caso in cui lo Stato richiedente non prenda in consegna l’estradando nel termine di legge a causa della sospensione dell’efficacia, disposta dal giudice amministrativo, del provvedimento ministeriale di concessione dell’estradizione» hanno affermato che, ai fini dei riconoscimento del diritto alla riparazione, gli estremi dell’ingiusta detenzione devono essere valutati anche nei confronti dei soggetti di cui è richiesta l’estradizione. Il collegio riunito ha sottolineato, tuttavia, che, nel compiere questa valutazione, non si deve fare riferimento ai parametri ricavabili dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. la cui applicabilità è esclusa esplicitamente dall’art. 714, comma 2, cod. proc. pen. ma si deve verificare, invece, se risulti accertata ex post l’insussistenza delle «condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione» che, ai sensi dell’art. 714, comma 3, cod. proc. pen., legittimano l’applicazione di misure coercitive.

Ne consegue che, in caso di sentenza irrevocabile favorevole all’estradizione, la detenzione eventualmente patita – a tal fine – dall’estradando non può considerarsi ingiusta e non può costituire, pertanto, titolo per un favorevole epilogo della procedura di cui agli artt. 314 e 315 cod. proc. pen.» (così testualmente Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 – dep. 2012, Marinaj, Rv. 251691, in motivazione).

Occorre, dunque chiedersi come si atteggi il diritto alla riparazione nel caso di custodia subita nel corso di una procedura di estradizione passiva. Le situazioni che possono venie in rilievo, infatti, sono diverse in ragione della fase in cui interviene la misura e delle condizioni che, nelle diverse fasi, devono sussistere perché una misura possa essere applicata.

A tal fine vale la pena ricordare che nella procedura di estradizione passiva l’applicazione di misure cautelare può avvenire in tre diverse ipotesi:

  • dopo il pervenimento della domanda di estradizione. L’art. 714 cod. proc. pen. prevede che la persona della quale è domandata la estradizione possa essere sottoposta a misure coercitive su richiesta del Ministro della Giustizia. Si osservano in quanto applicabili le disposizioni del titolo I del libro IV riguardanti le misure coercitive ad eccezione degli 273 e 280 cod. proc. pen., e si deve tenere conto dell’esigenza di garantire che la persona della quale è domandata la estradizione si sottragga alla eventuale consegna (art. 714 comma 2). Le misure coercitive non possono essere disposte se vi sono ragioni per ritenere che non sussistano le condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione (art.714 comma 3). Le misura disposte dalla Corte di appello sono revocate se dall’inizio della loro esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello abbia pronunciato la sentenza favorevole alla estradizione, ovvero, in caso di ricorso per cassazione contro tale sentenza, un anno e sei mesi senza che sia stato esaurito il procedimento davanti all’autorità giudiziaria e sono revocate, altresì, se sono trascorsi tre mesi dalla decisione del Ministro favorevole alla estradizione senza che l’estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente ( art. 715, commi 4 e 4 bis);
  • prima del pervenimento della domanda di estradizione. L’art. 715 cod. proc. pen. prevede che la misura sia disposta su domanda dello Stato estero e a richiesta motivata del Ministro della Giustizia. La misura può essere disposta se ricorrono le seguenti condizioni: a) lo Stato estero ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà, ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione; b) lo Stato estero ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e delle pene, nonché gli elementi per l’esatta identificazione della persona; c) vi è il pericolo di fuga (art. 715, comma 2). Le misure sono revocate se entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione non sono pervenuti la domanda di estradizione e i documenti a sostegno della domanda (art. 715 comma 6);
  • nei casi di arresto da parte della polizia giudiziaria della persona nei confronti della quale sia presentata domanda di arresto provvisorio, se ricorrono le condizioni di cui all’art. 715 comma 2 cod. proc. pen. L’art. 716 comma 3 cod. proc, pen, prevede che in esito alla convalida dell’arresto possa essere applicata la misura coercitiva. Tale misura è revocata se il Ministro della giustizia non ne chiede il mantenimento entro dieci giorni dalla convalida (art. 716, comma 4), oltre che se entro quaranta giorni dalla predetta comunicazione non sono pervenuti la domanda di estradizione e di documenti a sostegno della domanda (art. 716, comma 5).

La sentenza Sez. 4, n. 52813 del 19/09/2018, Maroci, Rv. 275197, nell’analizzare le condizioni alle quali sussiste il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione nella procedura di estradizione passiva ha chiarito che:

  • il diritto alla riparazione non presuppone che la detenzione sia stata instaurata in violazione degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Per le ipotesi di misure coercitive da adottare nei confronti della persona “della quale è domandata l’estradizione”, l’art. 714 cod. proc. pen. contiene un’espressa indicazione in tal senso; per l’ipotesi dell’arresto da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 716 cod. proc. pen., e per l’ipotesi dell’applicazione provvisoria di misure cautelari nei confronti della persona la cui domanda di estradizione non sia ancora pervenuta, ai sensi dell’art. 715 cod. proc. pen, pur in assenza di analoga previsione, avuto riguardo alla struttura degli istituti, appare ragionevole ritenere che valga la stessa preclusione e che non debbano trovare applicazione gli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Da un lato, infatti, tali ipotesi sono caratterizzate da una delibazione che, salvo per il profilo concernente il pericolo di fuga, attiene a condizioni meramente procedurali (ovvero che lo Stato estero abbia dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione; che esso abbia fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e delle pene previste per lo stesso, nonché gli elementi per l’esatta identificazione della persona); dall’altro l’espressa previsione da parte dell’art. 715 1comma 2 cod. proc. pen. (richiamato anche dall’art. 716, cod. proc. pen.) di un giudizio ‘sostanziale’ limitato alla ricorrenza del pericolo di fuga conferma l’estraneità ad esso della verifica delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280, cod. proc. pen.;
  • le misure coercitive disposte nell’ambito di una procedura di estradizione passiva trovano nel pericolo di fuga il presupposto atto a giustificare l’applicazione del provvedimento limitativo della libertà personale; esso può essere inteso come pericolo di allontanamento dell’estradando dal territorio dello Stato richiesto, con conseguente rischio di inosservanza dell’obbligo assunto a livello internazionale di assicurarne la consegna al Paese richiedente; la sua sussistenza deve essere motivatamente fondata su elementi concreti, che abbiano cioè uno stretto legame la realtà di fatto e che non siano basati su presunzioni o preconcette valutazioni di ordine generale, richiedendosi dunque che le circostanze prese in esame siano specifiche e rivelatrici di una vera propensione e di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte dell’estradando (Sez. 6, n. 28758 del 09/04/2008, dep. 2008, RV 240322);
  • con riferimento alle ipotesi di detenzione patita ex art. 714 cod. proc. pen., la ingiustizia della detenzione discende dalla insussistenza del pericolo di fuga e delle condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione (secondo il dictum delle SS UU Marinai); con riferimento alle ipotesi di detenzione patita in via provvisoria ex art. 715 cod. proc. pen. o ex art. 716 cod. proc. pen., la ingiustizia non può essere data dalla insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione, e ciò per la ridotta base di giudizio del giudice nazionale chiamato ad applicare tali disposizioni e per la possibilità che, ove la domanda di estradizione non venga presentata dallo Stato estero, non sia oggettivamente possibile verificare la insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione.

La sentenza Maroci chiarisce, quindi, che il diritto alla riparazione per la detenzione subita a fini estradizionali deve essere accertato, tenendo presente la varietà delle situazioni. Così, per esemplificare, nel caso in cui all’arresto eseguito ai sensi dell’art. 716 cod. proc. pen., non sia seguita la convalida, purché la statuizione sia diventata definitiva, ovvero nel caso di applicazione provvisoria di misura coercitiva ai sensi dell’art. 715 cod. proc. pen., revocata ai sensi del comma 6, o definitivamente annullata a seguito del ricorso previsto dall’art. 719 cod. proc. pen., il diritto alla riparazione non richiede altra condizione positiva. Si tratta di situazioni assimilabili alla detenzione in virtù dei titoli precautelari (arresto in flagranza e fermo), che come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.109/1999, può dare luogo alla ingiustizia e alla conseguente riparazione. Per contro quando alle misure precautelari sia seguita la prosecuzione del vincolo, in quanto sia pervenuta la domanda di estradizione, ovvero la misura sia applicata direttamente dopo la presentazione della domanda di estradizione, si determina una situazione speculare a quella prevista dall’art. 314 comma 1 cod. proc. pen. e il diritto alla riparazione sarà condizionato alla pronuncia di una sentenza sfavorevole alla estradizione.

Così ricostruita la ingiustizia della detenzione in relazione alle peculiari caratteristiche dell’istituto dell’estradizione passiva, deve porsi il tema della rilevanza di un eventuale comportamento doloso o gravemente colposo del soggetto estradando. In linea generale, il giudice della riparazione, chiamato a valutare se colui che è stato sottoposto a misura cautelare abbia diritto a equo indennizzo, è tenuto a verificare se via abbia dato causa o abbia concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.

Come è noto, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, prevista formalmente solo per l’ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen (relativa al prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) opera, pur in difetto di espressa previsione, anche nell’ipotesi di c.d. ingiustizia formale di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen (relativa al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o manutenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.) a meno che si versi nell’ipotesi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663; Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, Rv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, Rv. 270099). Ne consegue che il giudice della riparazione, chiamato a valutare l’ingiustizia della detenzione subita a fini estradizionali dovrà, dunque, accertare se ricorra o meno la condizione ostativa al riconoscimento del diritto concretantesi nella condotta dolosa o gravemente colposa della persona che sia stata causa o concausa del vincolo (in tal senso sez. 4 n. 52813 del 19/09/2018, Maroci, cit e, da ultimo Sez. 3, n. 554 del 27/09/2022, Rv. 283921). Occorre, tuttavia, chiedersi quando e a quali condizioni la condotta del soggetto estradando possa essere stata causa o concausa della instaurazione e della protrazione del vincolo, ovvero, in altri termini, rispetto a quale parametro deve valutarsi la incidenza di tale condotta.

Nel caso di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nell’ambito di un procedimento concluso con sentenza di proscioglimento (art. 314 comma 1 cod. proc. pen.), ovvero nell’ambito di un procedimento in cui con decisione irrevocabile sia stata accertata la insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare (314 comma 2 cod. proc. pen.), la condotta del soggetto rileva laddove abbia creato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale. Nel caso di riparazione per l’ingiusta detenzione patita in conseguenza di vicende successive alla condanna, connesse alla fase della esecuzione (è noto che a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 310 del 1996, l’art. 314 cod. proc. pen. è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione), rileva il comportamento doloso o colposo dell’interessato che sia stato concausa di errori o ritardi nell’emissione del nuovo ordine di esecuzione recante la corretta data del termine di espiazione della pena (Sez. 4, n. 17118 del 14/01/2021, Rv. 281151; Sez. 4 n. 57203 del 21/9/2017, Rv. 271689).

Il collegio ritiene che, .in relazione a tutte le ipotesi di ingiusta detenzione patita da soggetto estradando, la condotta integrante la condizione ostativa potrà inerire essenzialmente al presupposto del pericolo di fuga. Ciò vale certamente nei casi di misura cautelare applicata a norma degli artt. 715 e 716 cod. proc. pen. in cui, a fronte della ricorrenza di presupposti formali che attengono alla esistenza di date condizioni, il giudice della cautela è tenuto a verificare quale presupposto legittimante la misura la sussistenza del pericolo di fuga ed è rispetto a tale presupposto che potrà essere valutato se il soggetto agente abbia tenuto una condotta tale da creare l’apparenza di tale pericolo. Ma analogo principio si ritiene debba valere anche nel caso in cui la misura cautelare sia stata applicata, dopo il pervenimento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero, ai sensi dell’art. 714 cod. proc. pen.

Vero è che in tale ultimo caso, il presupposto dell’adozione della misura è duplice, ovvero, in positivo, la necessità di garantire che la persona della quale è domandata la estradizione non si sottragga alla consegna (formula con la quale si allude, appunto, al pericolo di fuga) e, in negativo, che non vi siano ragioni per ritenere che non sussistano le condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione. Tuttavia, rispetto al secondo presupposto, che potrebbe essere riassunto come “prognosi di estradabilita”, non sembra potersi configurare, anche in astratto, una incidenza della condotta del soggetto estradando. Tale requisito, per consolidata giurisprudenza, viene inteso nel senso che l’autorità giudiziaria italiana è tenuta ad accertare, con una sommaria deliberazione, che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea a evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l’esistenza di elementi a carico dell’estradando (Sez. 6 n. 9758 del 30/01/2014, Rv258810; sez 6 n. 16287 del 19/04/2011, Rv249648). Si tratta, dunque, di valutazione meramente formale che l’autorità giudiziaria deve compiere sulla base della documentazione che deve essere allegata a sostegno della domanda e rispetto alla quale nessuna incidenza può avere la condotta del soggetto estradando sottoposto a misura.

Nel caso in esame B. era stata tratta in arresto dalla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 716 cod. proc. pen. e, in esito alla convalida, era stata sottoposta alla misura della custodia cautelare in carcere; nel termine di legge di cui all’art. 716, comma 4 cod. proc. pen.

Il Ministro di Giustizia aveva chiesto il mantenimento della misura.

Pervenuta la domanda di estradizione da parte della Repubblica della Moldavia, la Corte di appello di Bologna l’aveva accolta con una prima sentenza annullata dalla Corte di cassazione. L’annullamento della prima sentenza era stato motivato dalla Corte di legittimità sulla base del rilievo per cui l’autorità giudiziaria italiana è tenuta ad accertare con una sommaria delibazione che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea a evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello stato richiedente, l’esistenza di elementi a carico dell’estradanda: nel caso di specie- secondo la sentenza di annullamento a fronte della accertamento della doppia punibilità (essendo la normativa moldava sovrapponibile a quella interna in tema di concorso di persone) la descrizione della condotta attribuita a B. era “scarsamente compatibile con la prospettata partecipazione al sequestro di persona, posto che quest’ultima- avendo evidentemente consapevolezza dell’avvenuto sequestro del cittadino turco avrebbe approfittato della circostanza per perpetrare un furto ai suoi danni”, ma “la consapevolezza dell’avvenuta commissione di un reato non integra l’ipotesi concorsuale, né nell’ordinamento interno, né in quello moldavo”.

Con successiva sentenza, a seguito del pervenimento di ulteriori informazioni, la Corte di appello di Bologna con sentenza del 14.7.2021, irrevocabile, aveva rigettato la domanda di riparazione per l’insussistenza delle condizioni di legge ed aveva revocato la misura.

Essendo stata pronunciata sentenza irrevocabile di rigetto della richiesta di estradizione, sussisteva in astratto in capo a B. il diritto alla riparazione per la detenzione ingiustamente patita.

La Corte della riparazione era tenuta, nel valutare la domanda, ad accertare l’esistenza o meno della condizione ostativa, ovvero se il soggetto istante avesse contribuito con una sua condotta dolosa o gravemente colposa all’adozione della misura ovvero al mantenimento della stessa. La Corte di appello, nel caso in esame, nel compiere tale verifica, ha valutato che il comportamento tenuto dalla estradanda, consistito nell’essere stata ella consapevole del sequestro del cittadino turco e nell’avere approfittato di tale circostanza per sottrargli il computer dalla camera di albergo ove era stato prelevato, integrasse la condizione ostativa: tale comportamento -hanno sostenuto i giudici- aveva causalmente contribuito a creare l’apparenza di un previo accordo con gli autori del sequestro di persona e della rapina e, dunque, l’apparenza del concorso in tali reati. In tal modo, tuttavia, i giudici hanno valutato l’incidenza della condotta dolosa o colposa della richiedente rispetto alla estradabilità, equiparando tale requisito, nella sostanza, alla gravità del quadro indiziario, in violazione della previsione di cui all’art. 714 comma 2 cod. proc. pen., secondo il quale non trovano applicazione nella procedura di applicazione delle misure cautelari.  all’estradando gli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., e hanno così valorizzato la condotta della richiedente in quanto incidente su un presupposto, che, invece, esulava dal perimetro di valutazione demandato alla Corte di appello in sede di applicazione della misura. Il presupposto della estradabilità, cui pure fa riferimento l’art. 714, comma 3, cod. proc. pen, non sottende, come visto, alcun sindacato sulla gravità del compendio indiziario, ma attiene alla verifica che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea a evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l’esistenza di elementi a carico dell’estradando: rispetto alla esistenza di tali elementi, da compiersi alla stregua della completezza della documentazione inviata dallo Stato richiedente, il comportamento del soggetto sottoposto a misura non può esplicare alcuna efficacia sinergica.

L’ordinanza impugnata deve, pertanto„ essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bologna, che nel nuovo giudizio dovrà attenersi ai principi su indicati e valutare la sussistenza in concreto di una condotta dolosa o gravemente colposa della richiedente incidente sul requisito applicazione della misura cautelare rappresentato dal pericolo di fuga.