Detenzione domiciliare concessa per motivi di salute: parametri per la valutazione della revoca in caso di violazioni (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 1 con la sentenza numero 22253 depositata il 3 giugno 2024 ha stabilito che ai fini della revoca della detenzione domiciliare concessa nel caso in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della pena per motivi di salute, debbono essere valutate comparativamente le esigenze di tutela della collettività con quelle del rispetto del principio dell’umanità della pena per verificare se la situazione attuale del soggetto sia compatibile con il ripristino della detenzione in carcere.

La Suprema Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell’art. 147 cod. pen., comma 1, n. 2, mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 ord. pen.

Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio, obbligatorio o facoltativo, della esecuzione della pena per gravi condizioni di salute, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione.

Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal Codice penale.

Se, invece, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento della pena e per un periodo predeterminato e prorogabile, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter, ord. pen., che espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare e non ne sospende l’esecuzione e richiede, per l’effetto, una duplice valutazione del Tribunale, che deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari, rilevanti sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari o sul piano della gravità e durata della pena da scontare, mirando tale polifunzionale regime, per un verso, all’esigenza di effettività dell’espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, a una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità.

In coerenza con tale finalità è stato affermato il principio, secondo il quale ” la revoca della misura alternativa in precedenza concessa nei casi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p. è condizionata all’accertamento della persistenza delle pregresse precarie condizioni di salute per verificare – nell’ambito di una valutazione comparativa (…) tra le esigenze di tutela della collettività e quelle del rispetto del principio della umanità della pena – se la situazione attuale di salute del soggetto sia compatibile con il ripristino della detenzione in carcere” (Sez. 1 n. 44579 del 09/12/2010, Rv. 249121; in termini Sez. F n. 34286 del 21/08/2008, Rv. 240666 : “Nel caso di una situazione di salute particolarmente grave e tale da giustificare la incompatibilità con il regime carcerario non è (…) sufficiente la valutazione della condotta del soggetto, pur se contraria alla legge, come previsto per la detenzione domiciliare ordinaria, dovendo invece essere sottoposte a valutazione e comparazione anche le condizioni sanitarie del soggetto, la cui salute può essere sacrificata soltanto in presenza di condotte altamente negative e del tutto incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere“.

A tali condivisi principi, che impongono una valutazione comparativa tra le esigenze di tutela della collettività e quelle del rispetto del principio dell’umanità della pena sotto il profilo della sua abnorme afflittività in caso di accertata grave infermità fisica, il provvedimento non si è attenuto.