Interesse ad impugnare: un caso in cui è stato escluso dalla Cassazione con motivazioni non persuasive (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n. 15937/2024, udienza del 14 marzo 2024, ha ritenuto, in adesione all’orientamento espresso da Sez. 6, 28 aprile 2017, n. 20328 e Sez. 4, 1° luglio 2016, n. 27101, che non vi sia alcun interesse a contestare la legittimità della attribuzione a carico dell’imputato di una circostanza aggravante ove la stessa non abbia svolto alcun concreto ruolo nella determinazione del trattamento sanzionatorio inflitto a carico del ricorrente, in quanto ritenuta sub-valente rispetto alle circostanze attenuanti generiche.

Il collegio di legittimità ha deciso in tal senso, dichiarando pertanto inammissibile il motivo di ricorso, “pur consapevole della esistenza di un diverso orientamento (vedi Sez. 1, 11 agosto 2014, n. 35429, secondo la quale, sussiste l’interesse all’impugnazione dell’imputato al solo fine di ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante anche quando gli siano state concesse le circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza su tale aggravante, poiché costituisce suo diritto vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestagli; nel medesimo senso anche Sez. 6, 3 maggio 2013, n. 19188)“.

Commento

La decisione qui annotata appare censurabile per varie ragioni.

Si consideri anzitutto che il ricorrente, in conseguenza dell’inammissibilità del ricorso, è stato condannato, oltre che al pagamento delle spese processuali, anche al pagamento della somma di € 3.000 a favore della cassa delle ammende, in virtù del disposto dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.

Tale articolo è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 186/2000 “nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione in caso di inammissibilità del ricorso possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.

Nell’occasione la Consulta chiarì che “la natura sanzionatoria della condanna in esame esige la valutazione della condotta del destinatario della sanzione, anche in relazione all’elemento soggettivo. È pertanto incompatibile con il principio di eguaglianza una norma che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto il ricorso per cassazione, poi dichiarato inammissibile, ragionevolmente fidando nell’ammissibilità e quella del ricorrente che invece non versi in tale situazione, al punto da essere definito dall’ordinanza <<temerario>>.  In questa prospettiva la norma denunciata – in quanto dà rilievo all’errore prescindendo dalla sua causa e quindi dall’aspetto soggettivo della sua determinazione – si risolve nell’irragionevole assoggettamento alla stessa disciplina di situazioni che identità di trattamento non meritano. Possono infatti verificarsi casi nei quali l’errore tecnico causativo dell’inammissibilità del ricorso non sia percepibile al momento della sua proposizione, come nell’ipotesi di un imprevedibile mutamento di giurisprudenza che induca la Corte di cassazione a ritenere inammissibili ricorsi per il passato pacificamente non considerati tali, sulla base di una variazione del criterio di apprezzamento della causa di inammissibilità. In tali evenienze estreme la rigida applicazione della sanzione secondo il criterio della soccombenza non è conforme al principio posto dall’art. 3 della Costituzione“.

Se dunque un imprevedibile mutamento giurisprudenziale era già sufficiente, nell’opinione della Corte costituzionale, ad escludere la colpa del ricorrente, dovrebbe ritenersi che, a maggior ragione, essa andrebbe esclusa allorché, al momento della proposizione del ricorso, l’indirizzo interpretativo su cui questo è fondato non sia stato esplicitamente abbandonato e risulti quindi compreso tra le opzioni possibili.

C’è poi una seconda ragione, strettamente collegata alla prima.

Il collegio della quarta sezione penale ha esplicitato l’esistenza di un contrasto, liquidandolo come fosse una notizia a margine.

Non ha quindi ritenuto necessario chiarire perché ha scelto un indirizzo interpretativo piuttosto che un altro.

Pare che tale iter contraddica la pertinente regolamentazione normativa.

Basti qui ricordare che, ai sensi dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen., il presidente della Corte di cassazione, “su richiesta del procuratore generale, dei difensori delle parti o anche di ufficio, assegna il ricorso alle sezioni unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni“.

A sua volta, l’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., prevede che “Se una sezione della corte rileva che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto giurisprudenziale, su richiesta delle parti o di ufficio, può con ordinanza rimettere il ricorso alle sezioni unite“.

A dispetto di questa disciplina, il presidente è rimasto inerte e lo stesso deve dirsi del collegio.

Infine, ancora una volta in connessione con le questioni precedenti, pare tutt’altro che persuasiva la scelta di negare l’esistenza dell’interesse ad impugnare del ricorrente, legandola esclusivamente all’ininfluenza a fini sanzionatori di una circostanza aggravante.

Non solo per le ragioni valorizzate dall’indirizzo contrario, coincidenti con il diritto dell’imputato a non vedersi considerato colpevole di una circostanza che potrebbe in ipotesi essere stata riconosciuta erroneamente ma anche per la concreta influenza che il suo riconoscimento potrebbe generare in un processo ove, come risulta dall’epigrafe, vi è stata costituzione di parte civile.

Si consideri infatti che la circostanza aggravante di cui si parla è quella dell’aver commesso il fatto con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale che, all’epoca dei fatti, era contemplata dall’art. 589, comma 2, cod. pen.

Nel caso di specie, tale violazione era stata individuata nell’avere l’imputato omesso di dare la precedenza ad un motoveicolo proveniente dalla sua destra.

Si ignora, per assenza di riferimenti nella decisione qui annotata, quale sia stata la regolamentazione della pretesa risarcitoria della parte civile ma, almeno in astratto, la circostanza dell’omessa precedenza pare avere un innegabile rilievo sulla distribuzione della colpa tra investitore e vittima.