Reato continuato: non è illegale la pena determinata in virtù di passaggi intermedi viziati ma comunque non eccedente i limiti generali previsti dalle norme codicistiche (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 15438/2024, udienza del 7 febbraio 2024, ha ribadito che non è illegale la pena che risulti conclusivamente legittima, pur essendo stata determinata seguendo un percorso argomentativo viziato.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, in motivazione), “pena legale”, è soltanto quella “positiva”, ovvero prevista dall’ordinamento giuridico, e quindi quella non eccedente, per specie e quantità, i limiti previsti dalla legge […] attraverso la predeterminazione di limiti astratti per ciascuna specie di pena, e di limiti edittali riferibili a ciascun reato, il legislatore fissa – per ciascuna pena e per ciascun reato – il minimum cui possa riconoscersi concreta valenza rieducativa ed il limite massimo oltre il quale la pena perderebbe la predetta valenza e si risolverebbe nell’inflizione di una mera e non rieducativa sofferenza.

Ciò premesso, la giurisprudenza di legittimità (cfr., in sintesi, Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, non mass. sul punto) è ferma nel qualificare come “illegale”la pena”quando non corrisponde, per specie ovvero per quantità (sia in difetto che in eccesso), a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal Codice penale. L’ambito dell’illegalità della pena si riferisce anche ai classici casi di illegalità ab origine, costituiti, ad esempio, dalla determinazione in concreto di una pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per quel certo reato, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali“.

Plurime decisioni hanno precisato che non si configura un’ipotesi di illegalità della pena quando essa sia frutto di un vizio nell’iter di determinazione della sua entità, alla quale sarebbe stato possibile giungere attraverso diversa modulazione dei vari passaggi intermedi, a partire dall’individuazione della pena base e fino agli aumenti o alle riduzioni per le singole circostanze concorrenti (cfr., ad esempio, Sez. 6, n. 32243 del 15/07/2014, Rv. 260326; Sez. 6, n. 22136 del 19/02/2013, Rv. 255729; Sez. 2, n. 20275 del 07/05/2013, Rv. 255197).

L’illegalità della pena rileva anche in relazione alla funzione cui essa assolve: «se i limiti edittali di pena astrattamente previsti rappresentano la valutazione di disvalore del fatto incriminato compiuta dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità – seppure ancorata al limite della ragionevolezza – la pena concretamente inflitta esprime e, al contempo, “misura” il giudizio di responsabilità per un determinato fatto illecito» (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, non mass. sul punto).

Il principio è stato sviluppato in riferimento a casi nei quali l’illegalità della pena risulti sopravvenuta, conseguendo a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio. Alle stesse conclusioni si è già pervenuti in relazione alla pena applicata su richiesta delle parti ai sensi degli articoli 444 e seguenti del vigente codice di rito, in base al rilievo che le peculiarità che caratterizzano la “individuazione” della sanzione in questo rito speciale non comportano deroghe ai principi suindicati. Invero, nel “patteggiamento” non è richiesto un accertamento positivo della responsabilità penale, ma solo un accertamento negativo della non punibilità, attraverso la constatazione della insussistenza delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129, comma 1, cod. proc. pen.: «tuttavia, mentre in relazione alla responsabilità il giudice può limitarsi ad un accertamento negativo funzionale alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità, la verifica in ordine alla correttezza della qualificazione giuridica, all’applicazione delle circostanze e alla congruità della pena impone un controllo positivo. In questi ultimi casi, l’estensione del controllo attribuito al giudice è pieno, non sommario e bilancia il contenuto negoziale del rito, come del resto ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 313 del 1990 in cui, riconoscendo il ruolo determinante e non notarile del giudice nel controllo della pena nel “patteggiamento”, ha fatto esplicito richiamo all’art. 27, terzo comma, Cost., ribadendo il suo collegamento con il “principio di proporzione fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall’altro”» (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, non mass. sul punto).

Sulla base delle considerazioni sinora svolte, può, pertanto, dirsi che, nell’ambito della categoria dell’illegalità della pena, non rientra la sanzione che risulti conclusivamente legittima, pur essendo stata determinata seguendo un percorso argomentativo viziato (cfr. Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348 e Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934, quest’ultima inerente ai problemi sanzionatori derivati da un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, ed in particolare da una novella legislativa sfavorevole, la prima inerente ali approdi della sentenza P. in ordine al concetto di illegalità della pena, in generale e nel patteggiamento).

In effetti, come già chiarito dalle Sezioni unite, la nozione di pena illegale non può estendersi «sino al punto da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, a meno che ciò non comporti la determinazione di una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità. In altri termini, la pena è illegale (…) non quando consegua ad una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero sia superiore ai limiti previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore»: la pena non prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, «è una pena che attesta un abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, con usurpazione dei poteri esclusivi del legislatore» (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, non mass. sul punto).

Infine, con la sentenza n. 47182 del 31/03/2022, Savini, le Sezioni unite hanno ulteriormente ribadito che vi è diversità tra i concetti di pena “illegale” (in presenza della quale è consentito il ricorso contro le sentenze di patteggiamento) e di pena meramente “illegittima”, perché determinata in violazione di legge, affermando, con riferimento al caso esaminato, che, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali astratti, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di violazione di legge che, ove non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità del motivo di ricorso.

Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “Allorquando nella determinazione della pena finale, in ipotesi di reato continuato, si indichi come pena base quella più bassa (ovvero più alta) del limite edittale normativamente previsto ma non si eccedano i limiti generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65, 71 e seguenti e 81 terzo e quarto comma, cod. pen., non ricorre un’ipotesi di illegalità della stessa, dovendosi aver riguardo alla misura finale complessiva della pena, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge“.