Reati punibili con l’ergastolo e rito abbreviato: una relazione conflittuale (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 7^, ordinanza n. 15758/2024, udienza del 28 marzo 2024, ha ricostruito il mutevole rapporto tra reati punibili con l’ergastolo e giudizio abbreviato.

È necessario preliminarmente ricostruire il quadro normativo, nel cui ambito va inserita la questione dedotta in giudizio.

La Corte costituzionale, con sentenza del 22-23 aprile 1991 n. 176, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 c.p.p., comma 2, ultimo periodo per eccesso di delega ex art. 76 Cost., nella parte in cui prevedeva che potevano avvalersi del giudizio abbreviato anche coloro che fossero condannati alla pena dell’ergastolo; per essi infatti era previsto che, alla pena dell’ergastolo, venisse sostituita quella della reclusione di anni 30.

Secondo la Corte costituzionale, l’art. 2, punto 53 della legge di delega legislativa, conferita al governo per l’emanazione del codice di procedura penale, era da interpretare nel senso che la previsione del giudizio abbreviato riguardasse solo i reati punibili con pene detentive temporanee o pecuniarie, con esclusione quindi dei reati puniti con la pena dell’ergastolo. L’art. 442 c.p.p. è stato successivamente modificato dall’art. 30 della L. 16 dicembre 1999, n. 479, entrata in vigore il 2 gennaio 2000, che ha inserito, al comma 2, dopo il primo periodo, il seguente: “Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni 30“, in tal modo reintroducendo, ma solo per il futuro, la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato anche per i reati puniti con la pena dell’ergastolo.

È poi intervenuto il D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 4-ter convertito con modificazioni nella L. 5 giugno 2000, n. 144, entrata in vigore 1’8 giugno 2000, alla stregua del quale: – le disposizioni di cui sopra sono state ritenute applicabili anche ai processi per i quali, sebbene fosse scaduto il termine per chiedere il giudizio abbreviato, non era ancora iniziata l’istruzione dibattimentale alla data dell’8 giugno 2000; – nei processi penali per reati puniti con la pena dell’ergastolo, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. (8 giugno 2000) e nei quali, prima della data di entrata in vigore della L. n. 479 del 1999, di cui sopra, era scaduto il termine per proporre la richiesta di giudizio abbreviato, l’imputato, nella prima udienza utile successiva all’8 giugno 2000, poteva chiedere che il processo, ai fini dell’art. 442 c.p.p., comma 2, fosse immediatamente definito, anche sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416 c.p.p., comma 2.

Detta richiesta doveva essere presentata: a) – nel giudizio di primo grado prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale; b) – nel giudizio di appello, qualora fosse stata disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. dell’istruzione medesima; c) – nel giudizio di rinvio, 603 c.p.p. e prima della conclusione qualora fossero ricorse le condizioni di cui alle precedenti lett. a) e b). 

È poi intervenuto il D.L. 24 novembre 2000, n. 341, entrato in vigore il 24 novembre 2000, convertito con modificazioni nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, entrata con in una vigore il disposizione 21 gennaio di 2001, interpretazione il quale, autentica: – con l’art. 7, comma 1 ha specificato che l’espressione “pena dell’ergastolo”, contenuta nell’art. 442 c.p.p., comma 2, ultimo periodo doveva intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno; – con l’art. 7, comma 2 ha aggiunto all’art. 442 c.p.p., comma 2 il seguente ulteriore periodo: “Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo“; – con l’art. 8, comma 1 ha stabilito che, nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore del D.L. (24 novembre 2000), qualora fosse stata applicabile ovvero fosse stata applicata la pena dell’ergastolo con isolamento diurno, se fosse stata formulata richiesta di giudizio abbreviato, ovvero fosse stata formulata la richiesta di cui al D.L. n. 82 del 2000, art. 4-ter, comma 2 di cui sopra, convertito, con modificazioni, nella L. n. 144 del 2000, l’imputato poteva revocare la richiesta nel termine di giorni 30 dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. (e cioè dal 21 gennaio 2001); ed in tal caso il processo si sarebbe svolto secondo il rito ordinario dallo stato il cui esso si trovava al momento della proposizione della richiesta.

A seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 341 del 2000, l’imputato Scoppola che aveva chiesto ed ottenuto di essere giudicato con il rito abbreviato dopo l’entrata in vigore della legge Carotti, in sede di appello – poiché la pena dell’ergastolo inflittagli nel primo grado di giudizio era stata inasprita dall’isolamento diurno – ha visto ridotta la pena all’ergastolo con la sola eliminazione dell’isolamento diurno.

Il predetto si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando la violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, con decisione in data 17.9.2009, ha accertato la non equità del trattamento sanzionatorio, perché inflitto in violazione degli artt. 6 e 7 della suddetta Convenzione, essendo stato condannato lo Scoppola dalla Corte di assise d’appello di Roma con sentenza in data 10.1.2002 all’ergastolo, nonostante lo stesso avesse la legittima aspettativa di non subire una pena superiore a trent’anni di reclusione, per aver scelto di essere giudicato con un rito che, nel momento in cui era stato chiesto, prevedeva la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione.

La Corte EDU, con la suddetta decisione, ha ritenuto che la modifica dell’art. 442 c.p.p., comma 2, come introdotta dalla legge Carotti, non presentasse alcuna ambiguità, in quanto indicava chiaramente che la pena dell’ergastolo era sostituita da quella della reclusione ad anni trenta, senza alcuna distinzione tra la condanna all’ergastolo con o senza isolamento diurno. Quindi la specificazione introdotta dal D.L. n. 341 del 2000, secondo la Corte EDU, doveva essere considerata non l’interpretazione autentica della suddetta norma introdotta dalla legge Carotti, ma una nuova norma che stabiliva la riduzione di pena da applicare, per la scelta del rito abbreviato, in caso di condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno. La suddetta Corte ha anche precisato che la norma in questione ha natura sostanziale e non processuale, e quindi non poteva essere applicata retroattivamente per il principio secondo il quale, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo. Lo Stato italiano si è adeguato alla decisione della Corte EDU, sostituendo nei confronti dello Scoppola la pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione.

È quindi evidente che presupposto essenziale per chiedere l’estensione degli effetti della sentenza Scoppola è l’ammissione al rito abbreviato, mentre non vi sarebbe alcuna ragione per estendere lo sconto di pena a condannati che non hanno chiesto o non hanno potuto chiedere l’ammissione al rito abbreviato, essendo lo sconto di pena indissolubilmente legato alla scelta di essere giudicati con il rito abbreviato, il quale consente che il processo sia deciso sulla base degli atti di indagine compiuti nel corso delle indagini preliminari.

La sentenza Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651, affida al giudice dell’esecuzione – investito mediante apposito incidente della richiesta di sostituzione in pena detentiva temporanea dell’ergastolo, inflitto con sentenza irrevocabile in applicazione dell’art. 7 di_ 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, dichiarato costituzionalmente illegittimo (da Corte Cost. n. 210 del 2013, per violazione dell’art. 117 Cost., in riferimento all’art. 7, par. 1, della CEDU, a seguito della sentenza della Corte di Strasburgo, GC, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia) – il compito di accertare, avvalendosi dei suoi poteri di controllo sulla permanente legittimità della pena in esecuzione, l’eventuale diritto del condannato a beneficiare di tale trattamento più favorevole, incidendo se del caso sul giudicato e provvedendo alla sollecitata sostituzione.

E, tuttavia, come chiaramente esplicitato dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 236 del 2013, sentenze n. 57 del 2016 e n. 147 del 2021), ciò postula l’assoluta identità tra il caso deciso dalla Corte EDU, a cui ci si debba adeguare, e il caso oggetto del procedimento di cui si discuta, giacché ogni diversa ipotesi verrebbe ad esorbitare dai limiti propri del giudizio esecutivo.

Nel caso giudicato dalla Corte EDU, il ricorrente (avvalendosi della riapertura dei termini, disposta dall’art. 4-ter d.l. n. 82 del 2000) aveva chiesto il giudizio abbreviato, e vi era stato ammesso, prima dell’entrata in vigore dell’art. 7 di. n. 341 del 2000 (quando era previsto che la condanna all’ergastolo con isolamento diurno, che avrebbe dovuto essergli inflitta, andasse sostituita con la pena di trenta anni di reclusione), ma, nonostante ciò, per effetto della sopravvenuta norma interpretativa, era stato condannato all’ergastolo.

La Corte EDU aveva in ciò ravvisato una violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione, ritenendo che l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., ancorché contenuto in una legge processuale, fosse norma di diritto penale sostanziale, rientrante nel campo di applicazione dell’art. 7, paragrafo 1, della CEDU, e che lo Stato italiano avesse violato sia il diritto del ricorrente a un processo equo, sia il diritto all’applicazione della legge più favorevole.

La sentenza Sez. U, n. 34233 del 19/04/2012, Giannone, Rv. 252932-01, ha esaustivamente precisato che, nella consecuzione di discipline riguardanti la compatibilità tra il rito abbreviato e la pena dell’ergastolo, l’individuazione della disposizione che prevede la pena più favorevole non può essere ancorata al mero dato formale delle diverse leggi succedutesi tra la data di commissione dei reati e la pronuncia della sentenza definitiva, ma presuppone la coordinazione di tale dato, di per sé neutro, con le modalità e con i tempi di effettivo accesso al rito speciale, da cui direttamente deriva, in base alla legge vigente, il trattamento sanzionatorio da applicare. In altre parole, il meccanismo sanzionatorio di favore è condizionato al verificarsi di una fattispecie complessa, integrata dalla commissione di reati punibili con l’ergastolo e dall’avvenuta ammissione dell’interessato al rito speciale; elementi questi che, in quanto inscindibilmente connessi tra loro, devono concorrere entrambi, perché possa da allora porsi un problema di successione di leggi penali nel tempo e trovare così applicazione, in caso di condanna, la comminatoria punitiva prevista dalla legge più favorevole tra quelle di seguito in vigore.

È dirimente quindi accertare se il condannato aveva o meno acquisito nel proprio patrimonio giuridico il diritto ad essere processato in rito abbreviato secondo le modalità più favorevoli, esistenti anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 341 del 2000.

Tale accertamento preliminare ha esito negativo per il ricorrente il quale non ha mai conseguito tale diritto, risultando per tabulas che il rito abbreviato, da lui richiesto – nel giudizio di appello sia all’udienza celebratasi in data 11 aprile 2000 sia all’udienza deI20 giugno 2000 – non gli venne concesso sulla base delle norme processuali pro tempore vigenti (l’art. 30 della legge n. 479 del 1999 applicabile sulla base del principio del principio “tempus regit actum”, nel primo caso, l’art. 4-ter, comma 3, della I. 5.6.2000, n. 144 nel secondo caso), con decisione immune da vizio all’esito del giudizio di cassazione (Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 5 275324; Sez. 1, n. 4075 del 04/12/2012, dep. 25/01/2013, Rv. 254212).

Deve essere pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.