Beniamino Zuncheddu: un colpevole che l’ha fatta franca? (di Riccardo Radi)

Il titolo è la logica conseguenza della lettura della sentenza della Corte di appello di Roma che Terzultima Fermata ha analizzato per comprendere come si è arrivati a scrivere:  “Zuncheddu Beniamino fu condannato perché il teste oculare dichiarò di averlo riconosciuto come l’aggressore, nonché per aver fornito un alibi falso, tuttavia oggi va mandato assolto dai delitti a lui ascritti ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p., e quindi non con assoluzione piena, perché all’esito dell’istruttoria oggi svolta residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all’eccidio in discorso, commesso verosimilmente da più di un soggetto, uno dei quali – diversamente da quanto opinato nell’istanza di revisione – non era un cecchino provetto”.

La sentenza assolve Beniamino Zuncheddu per non aver commesso il fatto, ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. ed a pagina 72, par. 8, della sentenza si legge testualmente l’incipit sopra riportato.

La motivazione della sentenza consta di 73 pagine che abbiamo letto e che proviamo a sintetizzare per i lettori di Terzultima Fermata che potranno, comunque, farsi una propria idea leggendola per intero nel link allegato.

I Giudici sottolineano subito a pagina 3 che “L’unica prova nuova, intesa come elemento che certamente non era stato valutato” sono alcune intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate dalla Procura di Cagliari a seguito di un esposto presentato dall’avv. Mauro Trogu (pagina 3 della sentenza).

Ebbene questa prova nuova sembra quasi infastidire il collegio che a pagina 24 dopo aver ribadito che “In finale l’unica prova nuova realmente tale” sono le intercettazioni, si lascia andare alla considerazione che le intercettazioni sono state disposte a seguito dell’apertura di un procedimento che “trattasi di iscrizione assai inconsueta” e “in altre parole, si è trattato di indagini a carattere esplorativo nella speranza di riuscire ad ottenere le prove nuove necessarie per presentare un’istanza di revisione ai fini della risoluzione del giudicato” (pagina 25).

Quindi indagini a carattere esplorativo, Beniamino Zuncheddu deve ringraziare l’iniziativa della Procura Generale di Cagliari, che non avrebbero sortito alcun effetto se:” E’ però evidente che effettuare intercettazioni in relazione a soggetti che non hanno motivo di parlare tra loro di fatti così risalenti reca un’evidente rischio di attività di indagine poco proficua, se non addirittura dai risultati nulli.

Si è quindi provveduto da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Cagliari, ad introdurre un elemento testo a smuovere le acque, per così dire, e cioè la convocazione presso il proprio ufficio, al fine di ascoltarli a S.I.T. dei protagonisti principali del procedimento penale originario” quindi il sopravvissuto ed unico teste oculare e i suoi familiari” (pagina 25).

Altro aspetto che lascia perplessi nella lettura della motivazione è la considerazione che Beniamino Zuncheddu, persona con modesti mezzi economici, ha avuto la possibilità di nominare “ben due consulenti” per trascrivere le intercettazioni telefoniche (pagina 6).

La Corte si sofferma sulla circostanza rimarcando che all’udienza del 28 settembre 2021 “la difesa depositava un elaborato redatto da consulenti tecnici a difesa (nominati dopo il deposito della relazione peritale senza espressa autorizzazione del collegio)”.

Non solo c’è questa mancanza ma solo grazie: “In ogni caso, nulla opponendo il Procuratore Generale, il collegio acquisiva la relazione redatta dai C.T. difesa seppur nominati in numero superiore a quello consentito dall’art. 225 cpp”.

A questo punto la considerazione che francamente appare ultronea che l’avvocato Trogu inizialmente aveva detto che non avrebbe nominato consulenti perché Zuncheddu non aveva la possibilità e “Tuttavia la scarsità dei mezzi economici non gli aveva impedito di nominare ben due consulenti” (pagina 6).

Dopo le prime 14 pagine che ricostruiscono l’evolversi delle udienze ed anche qui si percepisce la sottolineatura che, se la revisione è durata 3 anni, non è dipeso dai giudici.

La revisione è pervenuta alla cancelleria della Corte di appello di Roma il 17 dicembre 2020 e la sentenza c’è stata il 26 gennaio 2024.

Non è superfluo ricordare che solo dopo la presenza in aula del pubblico (come dovrebbe essere normalmente visto e ricordato il principio sancito dall’articolo 471 cpp) c’è stata una accelerazione nella fissazione delle udienze, basti il dato che la prima udienza si è tenuta l’11 febbraio 2021 e solo il 28 marzo 2023 veniva “dichiarata ammissibile l’istanza di revisione”, dopo 2 anni costellati da numerosi rinvii.

Riprendendo la lettura della motivazione leggiamo a pagina 19 che Beniamino Zuncheddu “è un pregiudicato” in quanto “a 18 anni è stato condannato per falsa testimonianza … ma tale condanna non fu dissuasiva” a 24 anni è stato condannato per furto.

I precedenti dello Zuncheddu sono ripresi in motivazione quando si dice che la ritrattazione del teste oculare non sia stata spontanea (egli ha chiarito di essere stato minacciato dopo che è iniziata la pressione mediatica) e che il Sovrintendente di polizia ha vigorosamente negato di avere mostrato al teste la foto del sospettato, già inserita in banca dati perché egli era “pluripregiudicato”.

Poi la Corte di appello si sofferma sulle due circostanze dell’incipit (alibi falso e Zuncheddu “non era un cecchino provetto”) che vengono così riassunte dai giudici nel provvedimento di rigetto alla correzione della sentenza presentato dalla difesa ai sensi dell’art. 115 bis cpp: “ZUNCHEDDU Beniamino è stato assolto da questa Corte dai delitti a lui contestati (triplice omicidio volontario premeditato e tentato omicidio volontario premeditato, nonché detenzione e porto illegali di arma comune da sparo) ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p., con formula “per non aver commesso il fatto”, in quanto, come chiarito in motivazione, venuta meno la prova-cardine costituita dalla testimonianza del teste oculare PINNA Luigi, unico sopravvissuto all’eccidio, non residuava la possibilità di pervenire ad una affermazione di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio;

– è stato altresì chiarito in motivazione che la tesi sostenuta nell’istanza di revisione secondo la quale egli, affetto da una malformazione congenita ad un braccio, non avrebbe potuto essere autore ditale delitto, non si è confrontata con l’oggettiva circostanza che egli mancò per due volte il bersaglio, nonostante le condizioni estremamente favorevoli del luogo (il teste PINNA ha chiarito che era talmente angusto che “non occorreva prendere la mira” e del resto la condizione dei luoghi è comprovata dai verbali di ispezione dell’epoca;

che si trattasse di cecchino maldestro è comprovato dal fatto che egli mirava a colpire il PINNA in testa ed invece con un colpo attinse la gamba e con l’altro la spalla, essendo riuscito ad uccidere solamente il PUSCEDDU perché costui aveva il volto in prossimità della canna del fucile, tanto che il colpo fece fuoruscire materia cerebrale dal cranio del predetto;

– è stato infine chiarito che un ulteriore elemento che condusse alla condanna del detto imputato è stato l’alibi falso (e non meramente fallito) da lui fornito, di talché, per l’appunto, non v’era luogo all’assoluzione piena ai sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p.

Nelle pagine 33 ss e 45 ss la Corte si sofferma su questi due aspetti.

Infine, la corte stigmatizza “l’attenzione mediatica riservata a questa vicenda”, a dire il vero tutta questa attenzione mediatica io non l’ho percepita se non nelle battute finali.

Ricordo chiaramente udienze dove l’aula vuota vedeva il sottoscritto unico spettatore e già questa presenza suscitò nel giudice relatore la “curiosità” di capire cosa stessi a fare in aula.

La Corte di appello in realtà sembra confondere il principio della pubblicità dell’udienza, cardine del nostro sistema processuale, con la presunta mediaticità che certamente non c’è stata nel processo Zuncheddu se non nell’ultima udienza per l’attesa del verdetto.

Eppure la Corte a pagina 66 si sofferma su questo aspetto e scrive: “la già esile speranza di poter pervenire ad una ricostruzione veritiera ed attendibile dello svolgimento dei fatti dopo trent’anni, è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda, tale per cui sono state divulgate disinvolte ricostruzioni dei fatti arricchite da discutibili commenti, giudizi personali, congetture, valutazioni unilaterali prive del dovuto contraddittorio (e quindi lacunose e parziali) che hanno inciso sulla genuinità dei testi, che invece avrebbero forse potuto offrire qualche spiraglio di verità se fosse stato lasciato libero il campo alla memoria di ciascuno di essi, non influenzata da narrazioni preconfezionate”.

Parole che non devono essere commentate.

A questo punto dobbiamo solo sottolineare un aspetto, questa sentenza assolve a malincuore Beniamino Zuncheddu e nella motivazione si sofferma ad usare alcune locuzioni che renderanno impervia la strada dell’indennizzo.

La sentenza assolutoria non può essere impugnata dall’imputato assolto con la formula perché non ha commesso il fatto in quanto difetta l’interesse, non essendo possibile raggiungere un risultato più soddisfacente dal punto di vista giuridico ma alcune locuzioni contenute nell’incipit all’inizio dell’articolo, sembrano ledere  la presunzione di innocenza sancita dall’art. 27, comma 2, Cost., dall’art. 6, par. 2, CEDU, dall’art. 48 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, dalla Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016.

Ma questa è un’altra storia che verrà raccontata prossimamente.