L’avvocato, l’investigatore privato e le indagini difensive: chi è meglio che faccia cosa (di Andrea Pedicone)

Quanti avvocati, con l’introduzione dell’ex articolo 38 disp. att. c.p.p. prima, e della legge 397/2000 poi, si sono immaginati di agire come il famosissimo Perry Mason? D’ora in poi potrò fare indagini o le potrò delegare, esattamente come un P.M…ma è davvero così?

Il documento denominato “Regole di comportamento del penalista nelle investigazione difensive”, approvato dal Consiglio delle Camere Penali, all’articolo 3 prevede per l’avvocato “il dovere di valutare la necessità o opportunità di svolgere investigazioni, sia ai fini delle determinazioni inerenti alla difesa stessa, sia per l’ipotesi di un impiego dei risultati nel procedimento”.

Nella realtà, un avvocato spesso nomina periti e consulenti di varia natura, ma quasi mai ipotizza di svolgere autonomamente indagini difensive, ed ancor meno di delegarle ad un investigatore privato. E ciò per varie ragioni. La prima, forse quella maggiormente ostativa, è di natura economica. La seconda, non meno importante, è che soltanto da poco più di un decennio per iniziare a svolgere la professione di investigatore privato sono necessari la laurea, un master di specializzazione e tre anni di pratica, oltre ad una formazione continua. Non sarebbe di nessuna utilità far svolgere indagini ad un soggetto magari anche bravo ma poco preparato, il quale potrebbe produrre un risultato fantastico ma inutilizzabile. La conoscenza della norma da parte dei professionisti delegati dall’avvocato è fondamentale. Da ultimo, vi è un problema culturale. Le persone ancora ignorano o diffidano dell’istituto delle indagini difensive e, spesso, non sono collaborative con il difensore/investigatore che si rivolge a loro.

Proviamo però ad addentrarci nei meandri della norma tentando di individuare chi è bene che faccia cosa e per quali ragioni.

L’investigatore privato può essere utile nell’analisi degli atti di indagine. Questa figura professionale non di rado proviene dalle Forze di Polizia, e comunque ha spesso un approccio e una mentalità che non sempre appartengono agli avvocati. Un punto di vista simile a quello della “controparte”, fornito da chi conosce determinati meccanismi, soprattutto se vissuti dall’interno ed in prima persona, può essere di grande aiuto.

Nel regime di indagini difensive, il detective privato esprime il suo massimo potenziale nell’eseguire le attività di cui al 1° comma dell’articolo 391bis c.p.p., vale a dire il colloquio investigativo non documentato.

Infatti, in sede di verbalizzazione del colloquio investigativo l’avvocato assume la veste di pubblico ufficiale ai sensi dell’articolo 357 c.p., con la conseguente applicabilità del relativo statuto penalistico, tra cui l’articolo 479 c.p. (cfr. Cassazione penale, SS.UU., sentenza 28/09/2006 n. 32009). Egli è pertanto obbligato a riportare completamente quanto gli viene riferito, anche se sfavorevole al suo assistito.

Al contrario, l’investigatore privato – oltre a godere delle garanzie di cui all’articolo 200 c.p.p., di quelle previste dai commi 2 e 5 dell’articolo 103 c.p.p., e di quelle di cui all’articolo 334bis c.p.p. – non ricoprendo la qualifica di pubblico ufficiale può conferire con chiunque senza avere l’obbligo di riportare fatti ed eventi svantaggiosi per l’assistito. Può quindi essere inviato in “avanscoperta” per apprendere ciò di cui è a conoscenza il potenziale teste, riferire soltanto quanto utile all’assistito e consentire all’avvocato di calibrare ed orientare le proprie domande, sia in sede di verbale di indagini difensive sia nel corso del dibattimento, evitandogli di addentrarsi in vicoli tortuosi e pericolosi.

Naturalmente, come precisato in premessa, è indispensabile che l’investigatore conosca il perimetro all’interno del quale gli è consentito agire, nonché i propri doveri deontologici e procedurali (con particolare riguardo agli obblighi di cui al 3° comma dell’articolo 391bis c.p.p.).

Per quanto attiene all’acquisizione di documenti regolamentata dall’articolo 391quater c.p.p., si ritiene più efficace l’azione diretta del legale. Come anticipato, vi è ancora molta resistenza nell’assecondare le indagini difensive. Una richiesta proveniente da un avvocato ha certamente un peso specifico maggiore di quella che ha quale mittente un investigatore privato, seppur ritualmente incaricato ed autorizzato. I veri limiti di questa attività investigativa risiedono nella mancanza di un termine entro il quale la P.A. deve evadere o rifiutare la richiesta, nonché nell’assenza di un obbligo di evasione, circostanza che consente ai burocrati di non assumersi responsabilità, costringendo l’avvocato a rivolgersi al P.M., scelta che può rivelarsi un boomerang.

Per quanto attiene invece le ispezioni, i sopralluoghi ed i rilievi di cui all’articolo 391sexies c.p.p., sono necessarie competenze tecniche raramente proprie del difensore. Va da sé che in tali circostanze la presenza del legale può essere utile per coordinare le attività di specie, che debbono però essere necessariamente compiute da professionisti competenti.

La vera sfida – impervia e soprattutto lunga – è di arrivare ad una effettiva parità tra accusa e difesa, eliminando i tanti e grandi limiti che gravano sullo strumento delle indagini difensive, che potranno però essere superati attraverso una rivoluzione che deve coinvolgere l’intero sistema giustizia e che, innanzitutto, deve essere di natura culturale. La Giustizia non è una gara. Giustizia non significa far condannare od assolvere quante più persone possibile. La Giustizia non si compone di tanti orticelli, ognuno dei quali gestito da singoli magistrati ed avvocati. La Giustizia è un terreno comune a tutti gli appartenenti alla società, e non soltanto agli operatori del diritto, che va seminato, arato, lavorato duramente per raggiungere l’unico vero risultato che interessa: il rispetto per i diritti degli altri. Nel mentre, Perry Mason se la ride.