Rinnovazione del dibattimento: obbligatoria se la richiesta consegua alla violazione del diritto alla prova (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 13076/2024, udienza del 14 febbraio 2024, ha ribadito che il giudice di appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento quando la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, che non sia stato esercitato o per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o perché la ammissione della prova, ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente negata da quel giudice (così, Sez. 6, n. 7197 del 10/12/2003, dep. 2004, Cellini Rv. 228462 – 01; nel caso esaminato, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di appello di rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento, in quanto doveva essere applicato il comma secondo dell’art. 603 cod. proc. pen – con conseguente obbligo di rinnovazione del dibattimento – avendo il giudice di primo grado, su istanza della parte civile, dichiarato la decadenza dal potere di richiedere l’ammissione dei testi ritualmente indicati dall’imputato nelle liste ex art. 468 cod. proc. pen., solo adducendo l’omessa citazione degli stessi all’udienza, con ciò negando irragionevolmente il diritto alla prova, in quanto la valutazione circa l’ammissione dei testimoni prescinde dalla loro effettiva presenza all’inizio dell’udienza, presenza che è unicamente funzionale a garantire un più ordinato svolgimento del processo, e che diviene necessaria dopo che sia stata disposta dal giudice l’assunzione della testimonianza stessa; nello stesso senso Sez. 5, n. 12099 del 02/02/2023, non massimata).

Dagli atti risulta che la prova testimoniale della difesa fu ammessa dal Tribunale di Milano all’udienza del 4 ottobre 2021; il Tribunale all’udienza del 21 febbraio 2022 ha dichiarato decaduta la parte dall’espletamento della prova per testimoni perché il teste, presente in udienza, avrebbe dovuto essere escusso con l’ausilio di un interprete – essendo cinese e non parlando la lingua italiana – circostanza non indicata dalla difesa in precedenza.

Va rilevato che l’art. 143-bis, comma 1, cod. proc. pen. prevede che «L’autorità procedente nomina un interprete … quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana».

Come affermato da Sez. 3, n. 23941 del 22/04/2021, Rv. 281347, in motivazione, il riferimento alla persona che «deve» fare una dichiarazione si attaglia alla persona del testimone che, ai sensi dell’art. 198, comma primo, cod. proc. pen. ha, tra gli altri, l’obbligo «di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte».

L’art. 143-bis, comma 1, cod. proc. pen., affida all’autorità giudiziaria procedente la nomina dell’interprete; pone come condizione per la sua applicabilità, esclusivamente, la condizione che il teste non conosca la lingua italiana; non pone a carico della difesa alcun onere di comunicazione preventiva rispetto ad un teste regolarmente citato e presente in udienza né ipotesi di decadenza.

Ne consegue che – poiché la richiesta di rinnovazione dell’istruzione era riconducibile alla violazione del diritto alla prova – la Corte di appello avrebbe dovuto ammettere la prova ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen. e non avrebbe dovuto valutarne la rilevanza. Per altro, è inconferente il richiamo, operato dalla Corte di appello, alla trattazione orale, tenuto conto che il comma 4 dell’art. 598-bis cod. proc. pen. è entrato in vigore il 30 dicembre 2022 e l’udienza si è celebrata il 12 aprile 2023.

Commento

Un giudice di primo grado che dichiara decaduta la difesa dall’assunzione di una testimonianza già ammessa e con il teste citato e presente in udienza, motivando sulla base dell’omesso ma inesistente obbligo di preavvisare che si trattava di persona di nazionalità cinese che non parlava la lingua italiana.

Una Corte di appello che, a fronte della richiesta dalla difesa di rinnovare il dibattimento per l’assunzione della prova illegittimamente negata, la rigetta per difetto di rilevanza, senza cogliere il punto essenziale, cioè l’avvenuta violazione del diritto alla prova e gli effetti che ne derivavano.

Poi, fortunatamente, l’intervento della Suprema Corte che mette fine a questa sequenza di gravi violazioni procedurali.

Tre gradi di giudizio, cui seguirà un nuovo dibattimento in appello e, ove occorra, un ulteriore passaggio in Cassazione, per una decisione di primo grado di arrogante noncuranza verso la difesa cui è stato imputato pretestuosamente di non avere fatto ciò che non era tenuta a fare.

Questa volta le regole sono state ripristinate ma quante altre volte la loro violazione si consuma nel silenzio?